venerdì 26 marzo 2010

Carriere


I crimini di padre Murphy lasciano in ombra quelli di padre Neuberg. Nella prima delle due lettere che il vescovo di Milwaukee invia a Ratzinger e a Bertone – a nessuna delle due sarà data risposta – si segnalano gli abusi sessuali su minori che padre Neuberg ha commesso “in recent years” (poche righe in fondo alla lettera). La carriera criminale di padre Murphy, che vanta 200 bambini sordomuti fra le vittime dei suoi abusi, dà a padre Neuberg la statura di un principiante, nel raffronto. E proprio questo colpisce.
Gli argomenti coi quali la nota della Sala Stampa Vaticana del 24 marzo pretende di dimostrare che Ratzinger e Bertone non abbiano colpe nella gestione del caso Murphy sono inutilizzabili per spiegare perché non si sia fatto nulla per stroncare la carriera a un principiante. Ammesso e non concesso – ripeto: ammesso e non concesso – che padre Murphy fosse ormai diventato inoffensivo e che i suoi crimini meritassero l’oblio, quelli di padre Neuberg non avrebbero meritato un tempestivo interessamento della Congregazione per la Dottrina della Fede?
Sappiamo che non lo meritarono, non sappiamo se anche a padre Murphy fu data questa opportunità, quando era un principiante.

Le opinioni stanno prima dei fatti



Severissimo editoriale de Il Foglio, stamane, a commento di ciò che s’è visto a Rai per una notte, ieri sera, dalle 21 in poi.


giovedì 25 marzo 2010

Critica cinematografica nel mentre si gira


L’entrata di Marco Travaglio è da rifare, la scena è venuta di schifo. Andatura meccanica, disinvoltura zero e poi, mio dio, quella borsa da magistrato ambulante, da cavadenti a domicilio. Rifare, rifare, e date all’eroe una Spalding & Bros., meglio se a tracolla, ché stropiccia divinamente la giacca di velluto. E soprattutto dite all’eroe di essere più sciolto, ché pare abbia inghiottito l’asta di un trombone.

Musica. Non male, ma la telecamera era poco empatizzante sui primi piani.

Sul numero di Cornacchione ho una sola perplessità: ma Cornacchione – esattamente – a chi piace? A me pare un Maurizio Milani da sobrio, ma ancora mezzo stordito. Se devo fare il critico cinematografico nel mentre si gira, ehm, direi che anche stavolta Cornacchione mi fa cagare. Al montaggio va via.

Pezzo di Travaglio: può andare ma, potendolo rifare, dite all’eroe di non proporzionare la captatio all’ampiezza della platea del pubblico presente. Un’arena come quella scalda e strappa qualche cedimento al gigionismo, sia, ma la peculiarità dell’evento multimediale impone una certa solennità. Solennità, però, non rigidità – diteglielo.

Floris ha un bel completino, che solo chi davvero ama il cinema avrà capito essere una citazione: è copia esatta del terzo da sinistra nella scena di American gigolò in cui Richard Gere abbina cravatte, camicie e giacche, non so se adesso avete presente.

Prima ancora che inizi a parlare, mi alzo in piedi per tributargli il rispetto che merita. Appena ha finito, Daniele Luttazzi mi pare valga tutta la serata. Perfetto.

Basta, mi rifiuto di fare la critica cinematografica ad un film in cui recita Morgan.

C’è chi ha il dono della sintesi




Il pusher avrebbe avuto la droga dal carabiniere

Ok, un carabiniere che si comporta così disonora l’Arma. Ma pure un pusher che resta senza roba butta fango su tutta la categoria.

Pensate a Cartagine





Non sanno più che cazzo inventarsi. Francesco Agnoli, per esempio, invita a chiudere un occhio su tanti preti pedofili con questo argomento: “Chi ha costruito le ruote degli esposti, gli ospedali, le scuole per i bambini, anche quelli poveri, nel Medioevo? Chi ha edificato moltissime delle nostre scuole professionali per salvare milioni di ragazzi, nell’Ottocento, dallo sfruttamento nelle industrie? Chi ha insegnato all’Europa il rispetto per i bambini? Chi ha imposto piano piano l’idea che le spose devono essere consenzienti, spostando gradatamente l’età del matrimonio un po’ «pedofilo» dell’antichità, sin dall’epoca di Costantino?” (*). Come se Mengele pretendesse la concessione delle attenuanti perché medico, e chi può permettersi di dir male della medicina?
“Ricordiamo per un attimo cosa fu il mondo antico, precristiano. A Roma, a Sparta, ad Atene, presso tutti i popoli, i bambini malformati, handicappati, non voluti, venivano uccisi, fatti schiavi, venduti come cose. Non solo di fatto, ma anche in linea di diritto. Era normale. In tanti casi, presso i greci, presso i popoli nordici, presso i fenici dei bambini venivano sacrificati alle divinità per chiederne il favore…”. Come se il dentista che ti ha levato per sbaglio un dente sano invece di quello malato si giustificasse chiedendoti di ricordare per un attimo quale bassa macelleria fosse l’odontoiatria presso i cartaginesi e presso gli ittiti.
“Il cristianesimo costruì i primi orfanotrofi – scrive l’Agnoli – sostanzialmente sconosciuti sino ad allora”. Come a dire che, grati a Gesù per aver detto: “Lasciate che i bambini vengano a me”, dovremmo chiudere un occhio sugli abusi che i preti compiono sugli orfanelli. E invece “qualcuno fa presto a dimenticare, accecato dall’odio ideologico”.



(*) Il Foglio, 25.3.2010 (grazie alla segnalazione di Nicola Bergonzi)

Impressions


Ieri chiedevo ai blogger del Cannocchiale, almeno quelli che ho in blogroll, di spedirmi via email un copia-incolla dei loro post, almeno di tanto in tanto, visto che non riesco a connettermi col server della piattaforma e sento la mancanza della loro scrittura. Chiedevo pure: “Di tanto in tanto potreste inviarmi pure il copia-incolla di qualche post di Mario Adinolfi che vi sia sembrato particolarmente idiota? Lo userei come osso di seppia per farci affilare il becco al mio canarino”. E proprio oggi me ne hanno spedito uno.
Mario Adinolfi scrive: “Sto diventando pazzo. Sono qui da sette anni, ho un blog che ha fatto milioni di impressions, ma mi sembra di aver messo un motore da Ferrari in una carrozzeria da Fiat Cinquecento (quella nuova). Perché il Cannocchiale non funziona mai? È un problema solo mio o riscontrate difficoltà anche voi?”. E qui sono palesemente in debito di una risposta.

Caro Mario,
apprezzo molto il gesto carino, e ti ringrazio. A tuo modo, con roboante discrezione, mi fai sapere che anche tu mi segui con costanza e che continuerai a farlo anche se ho dovuto traslocare dal Cannocchiale a Blogspot. Grazie, mi fa piacere di sapere che sei fra le mie impressions.
E però ti devo dire che il canarino ha dato uno sguardo e s’è voltato di culo. Puoi fare di più, non deludermi.
Ciao,
Malvino

«Ho fatto qualcosa di male?»

“La polizia ha interrotto una piccola manifestazione dell’Associazione di vittime americane di preti pedofili Snap che si stava svolgendo in piazza Pio XII a Roma di fronte al Colonnato di Piazza San Pietro. I quattro rappresentanti dell’Associazione, due donne e due uomini, che stavano parlando con i giornalisti dopo le rivelazioni del New York Times sui silenzi dell’allora cardinale Joseph Ratzinger su un caso di abusi su centinaia di bambini nel Wisconsin, sono stati portati via nelle auto della polizia per accertamenti. Subito prima gli agenti avevano chiesto loro i passaporti. La presidente di Snap, Barbara Blaine, ha chiesto più volte in inglese: «Ho fatto qualcosa di male?»” (ansa.it, 25.3.2010).

La domanda è solo apparentemente ingenua: la signora chiedeva se siamo davvero un paese così di merda. Domanda retorica, perché la risposta era nei fatti: le vittime di preti pedofili non hanno diritto di manifestare, la loro stessa presenza disturba il nostro augusto ospite in Vaticano, smammare.  

Il marcio dentro

Un prete compì abusi sessuali su almeno 200 bambini sordomuti in una scuola cattolica del Wisconsin e il vescovo a capo della diocesi in cui si erano consumati gli eventi informò della cosa la Congregazione per la Dottrina della Fede, senza avere risposta. Il prefetto era troppo preso dai suoi libri e probabilmente la cosa gli scivolò dalla mente, il segretario faceva il commentatore sportivo in tv e non avrà avuto tempo, boh, e però furono più sordomuti dei bambini abusati nel Wisconsin. Allora il vescovo riscrisse. Ancora silenzio.
Oggi, divenuti rispettivamente Papa e Segretario di Stato, i due dovrebbero darne conto, e allora mandano un gesuita che cura le relazioni col secolo a biascicare frasi sconnesse. E intanto si viene a sapere che il prete è morto, e che in vita non subì mai una punizione, se non quella d’essere spostato in segreto di parrocchia in parrocchia. Si viene a sapere, anzi, che quando ci fu possibilità di farlo giudicare almeno da tribunale ecclesiastico, per l’età avanzata e la salute malcerta, fu graziato prim’ancora d’essere giudicato, dall’ex commentatore sportivo.
Tutto questo dovrebbe limpidamente dimostrare che Ratzinger e Bertone sono del tutto estranei alla vicenda, così dice il gesuita di cui sopra. Se i suoi argomenti non vi sembrano convincenti, presumibilmente covate un pregiudizio anticristiano.

Prova del nove. Nel sottotetto di una chiesa si scoprono i resti di una ragazza stuprata e assassinata più d’una dozzina d’anni fa, ma il parroco e il suo vice sapevano di quel cadavere da almeno due mesi prima del rinvenimento, e non ne avevano fatto parola con nessuno, nemmeno una telefonata in Questura. Riescono a vivere col marcio dentro, come se niente fosse.

Can. 401 § 2


“Papa Ratzinger informanoha accolto le dimissioni di monsignor John Magee, vescovo di Cloyne, in Irlanda, coinvolto in un’inchiesta su presunti casi di pedofilia. Il presule aveva presentato le sue dimissioni all’inizio di marzo 2009…”. Un intero anno è trascorso tra la presentazione delle dimissioni e la loro accettazione, ieri “annunciata ufficialmente dalla sala stampa vaticana in una nota, in cui si precisa che la rinuncia al governo pastorale avviene «in conformità al canone 401 paragrafo 2» del Codice di Diritto Canonico”. Che recita: “Il Vescovo diocesano che per infermità o altra grave causa risultasse meno idoneo all’adempimento del suo ufficio, è vivamente invitato a presentare la rinuncia all’ufficio”.
Non era infermo, e dunque doveva esservi “grave causa”, di una tale “gravità” che la presentazione della “rinuncia all’ufficio” è “vivamente” richiesta, e a fronte di ciò Benedetto XVI ha lasciato trascorrere un anno intero. Chi sarebbe responsabile di ogni cosa “grave” ripetutasi a Cloyne in quest’anno, il vescovo o il papa?

All'anima de li mejo mortacci tua




“Trent’anni fa moriva monsignor Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador, ucciso a sangue freddo mentre celebrava la Santa Messa vespertina nella cappella dell’ospedale della Divina Provvidenza” (Giulio Albanese – Avvenire, 24.3.2010).

“Un personaggio scomodo per il regime che governava allora lo stato dell’America Centrale, l’unico uomo capace di alzare la voce contro i crimini, le violenze, le persecuzioni che venivano perpetrate. L’unico capace di fare i nomi e cognomi scomodi dei signori della morte. […] Tra i suoi confratelli nell’episcopato spesso vi erano contiguità con il regime (come avveniva in tutti gli stati del centro e sud America sotto dittatura), ma Romero era un Vescovo innamorato del suo popolo che non poteva tollerare la situazione che vedeva sotto i suoi occhi. […] Spesso si è parlato di incomprensioni tra monsignor Romero e Giovanni Paolo II. Senza trovare giustificazioni, occorre però contestualizzare il tutto al clima degli anni Ottanta quando la Chiesa si trovava essa stessa a convivere nel clima di guerra fredda che contrapponeva Usa e Urss” (Edoardo Caprino – ffwebmagazine, 24.3.2010).

“È inconcepibile che qualcuno si dica cristiano e non assuma, come Cristo, un’opzione preferenziale per i poveri. [...] Prendiamo sul serio la causa dei poveri, come se fosse la nostra stessa causa, o ancor più, come in effetti poi è, la causa stessa di Gesù Cristo” (Oscar Romero, 9.9.1979).

“«Lei, signor arcivescovo, deve sforzarsi di avere una relazione migliore con il governo del suo Paese. Un’armonia tra lei e il governo salvadoregno è quanto di più cristiano ci sia in questi momenti di crisi. Se lei superasse le proprie divergenze con il governo, potrebbe lavorare cristianamente per la pace». Tanto insistette il Papa che l’arcivescovo decise di smettere di ascoltare e chiese di essere ascoltato. Parlò timidamente, ma deciso: «Ma, Santo Padre, Cristo nel Vangelo ci dice di non essere venuto a portare la pace, ma la spada». Il Papa fissò Romero negli occhi: «Non esageri, signor arcivescovo!»” (María López Vigil, Piezas para un retrato).

“Dentro le mura di questa Cattedrale riposano i resti mortali di Monsignor Oscar Arnulfo Romero, zelante Pastore che l’amore di Dio e il servizio ai fratelli portarono fino al sacrificio stesso della vita in forma violenta, mentre celebrava il Sacrificio del perdono e della riconciliazione. Per lui, come per gli altri venerandi Pastori che nel loro tempo hanno guidato il gregge dei fedeli salvadoregni, rivolgiamo la nostra preghiera a Dio giusto e misericordioso, affinché la sua luce risplenda in perpetuo su di essi, che si sacrificarono per tutti e invitarono tutti a ispirarsi a Gesù, che ebbe compassione delle moltitudini nel momento stesso in cui si impegnava a forgiare un mondo più giusto, umano e fraterno, nel quale vogliamo tutti vivere” (Giovanni Paolo II, 6.3.1983).

mercoledì 24 marzo 2010

“Come ha detto papà…”

Ormai maturo, Renzo Bossi debutta (46:40-54:14).

Tutti mazziniani

Davvero impressionante



Libero pubblica una foto del piccolo Silvio Berlusconi Boahene, nato cinque anni fa in Ghana, cui il babbo ha dato il nome del nostro premier in segno di gratitudine: non annegati, non bruciati vivi, i Boahene sono immigrati grati.
Boahene junior è opportunamente mascherato con pecetta elettronica salvaprivacy, come se andando in giro con quel nome non sia comunque riconoscibile a vita, e – potenza del nome – è l’immagine sputata di Silvio Berlusconi, di cui imita una posa che esibisce in foto, invitando al raffronto.
Davvero impressionante, l’integrazione ha i suoi risvolti inquietanti.

Tutte impressioni


Stefano Folli rileva che “rispetto al passato l’influenza diretta [della Cei sul voto] è senza dubbio minore” (Il Sole-24 Ore, 23.3.2010), ma non ne dà una spiegazione, e però ha senza dubbio ragione, perché questa è la sensazione pressoché generale: il centrodestra vanta con poca convinzione il veto che il cardinal Bagnasco ha posto sul nome della Bonino, come se il suo valore fosse solo simbolico; dal centrosinistra si levano lamentele assai flebili, quasi solo per contestare la strumentalizzazione di una pastorale assai più articolata, e ribadendo che “la Chiesa ha il diritto di parlare”; anche i laicisti più sensibili, pur lamentando che s’è trattato dell’ennesimo intervento a gamba tesa della Cei, sono meno incazzati del solito.
Nell’aria c’è la sensazione che, perdendo nel Lazio, il centrodestra possa cominciare a perdere tutto, e che questo è possibile, che Emma Bonino può vincere, e – incredibile !/? – anche se ha la Chiesa cattolica contro.

È che lo scambio di favori tra Berlusconi e le gerarchie ecclesiastiche hanno creato un legame forte, che ha un effetto di trascinamento reciproco, in salita ma anche in discesa; e la Chiesa cattolica non sta messa troppo meglio del centrodestra, fortissima ma in crisi strutturale. Chiesa cattolica e centrodestra stanno cominciando a capire che più di così non si può, e che da adesso in poi possono solo perdere posizioni. Più di così, il Papato può solo volere la restituzione dello Stato Pontificio, e il governo Berlusconi può solo decretare la soppressione del Parlamento, la fucilazione del Capo dello Stato e l’accorpamento dei dicasteri dell’Interno e della Giustizia. Né l’una, né l’altra cosa, né entrambe insieme sono impossibili, però adesso – niente di più – paiono meno probabili, e dunque si attende, di qua fremendo, di là tremando.
Niente di sicuro, tutte impressioni. Opposte e speculari.

Appello

Non riesco ad accedere al Cannocchiale in scrittura, e questo mi ha obbligato al trasloco, ma nemmeno in lettura, e questo mi costringe a fare un appello ai blogger del Cannocchiale che ho in blogroll: vi farebbe disturbo spedirmi una copia dei vostri post, anche a pacchetti, anche se solo di tanto in tanto? È solo una settimana, ma mi mancate.
Un’ultima cosa: di tanto in tanto potreste inviarmi il copia-incolla di qualche post di Mario Adinolfi che vi sia sembrato particolarmente idiota? Lo userei come osso di seppia per farci affilare il becco al mio canarino.

[...]


Se dietro a un grande uomo c’è sempre una grande donna, dietro Francesco Rutelli non ci può essere che Barbara Palombelli, e la misura sta in una sua lettera aperta alla “cara Emma” e alla “cara Renata”. Burbera, ma sul filo di un’ironia, forse involontaria, le rimprovera di essersi fatte coinvolgere in una campagna elettorale nella quale “le parole hanno vinto sulle immagini” sicché la politica è uscita mortificata dalla politica-spettacolo.
Cosa hanno sbagliato? Dovevano dare spazio (testualmente) ai tramonti di Palmarola, alle passeggiate selvagge di Zannone, allo charme ruvido di Ponza e Ventotene, tenere una conferenza stampa (come sopra) sul lungolago di Sabaudia o fra le querce millenarie dei Caetani, non hanno mostrato sensibilità verso i monti della Tolfa e i boschi della Faggeta...
Leggi e non capisci di che cazzo stai leggendo, non ci arrivi, come quando parla quel grand’uomo del marito.

Seppure goccia a goccia


“Se vuoi leggere Il Foglio del giorno dopo già dalla mezzanotte del giorno prima”, non basta abbonarti, come t’invita a fare ilfoglio.it, perché di tanto in tanto, anche da abbonato, non puoi. Per il numero di mercoledì 24 marzo è una di queste volte, la terza volta in poco più di un mese: sono le 5,00 e il download del pdf non è ancora possibile.
In qualche modo è un furto, credo, ma non ho motivo di denunciarlo, perché non è ai miei danni: mesi fa un abbonato (un affezionato lettore di questo blog) mi ha offerto nickname e password per poter leggere Il Foglio a sbafo.

Non ho motivo di denunciarlo, ma in qualche modo è un furto. Che tuttavia nessun fogliante della locale community lamenta, a quanto pare, e vabbe’ che anche on line si pubblica ciò che si vuol pubblicare, come in cartaceo.
Da parte dei foglianti c’è – o si vuole rappresentare – una forma di devozione assai commovente o – come dire – una devota indulgenza verso le manchevolezze del giornale ai danni del lettore. E devo dire che mi sembra il minimo: se sei indulgente verso tutte le mistificazioni e i veleni che sparge Il Foglio, se le trovi deliziose provocazioni intellettuali, come non puoi esserlo per un piccolo, sofisticatissimo furtarello di qualche centesimo di euro, che fa grasso che cola, seppure goccia a goccia?

martedì 23 marzo 2010

“Nel nome della libertà”


Qualche giorno fa, in piazza San Giovanni, i tredici che il centrodestra candida a governatori, leggendo da un foglio, hanno giurato in coro: “Nel nome della libertà, prendo il solenne impegno a realizzare nella mia regione, in sintonia con il governo nazionale, tutti i punti del Patto per l’Italia, presentato oggi dal presidente Silvio Berlusconi”.

Vabbe’ che ormai le parole sono vento, ma io vorrei sapere con quale faccia si potrà negare un significato politico all’esito di queste elezioni amministrative, comunque vadano. Voglio vedere Daniele Capezzone, per esempio, minimizzare una eventuale batosta del centrodestra argomentando che non si trattava di un referendum sul governo, tanto meno su Silvio Berlusconi, che erano elezioni amministrative e basta, voglio vedere con quale faccia.

Vabbe’ che ormai le facce sono coperchi di anime sfondate, ma io vorrei sapere pure che fine ha fatto il federalismo. Le elezioni amministrative dovrebbero essere il midollo del federalismo, qui tanto smidollato che il presidente di una regione è ridotto a rappresentante del governo centrale, del quale si impegna a seguire le direttive. Vale solo per il centrodestra, perché i candidati del centrosinistra non hanno fatto analogo giuramento, ma la quintessenza del federalismo – la Lega – non ha due dei suoi fra quei tredici? “Nel nome della libertà”, questi due poveracci hanno giurato da vassalli. Partiti per il federalismo, eccoli al feudalesimo.

O viceversa?


L’Osservatore Romano di martedì 23 marzo offre al lettore il testo della relazione con la quale Agostino Paravicini Bagliani ha aperto giorni fa, a Sulmona, un convegno su Celestino V: “colui che fece per viltade il gran rifiuto” rinunciando all’immenso potere che a quei tempi era in mano a un pontefice romano – cosa curiosa – non vi è mai nominato, mentre invece vi ricorre ben nove volte – se non me n’è sfuggita una decima – il nome di Innocenzo III, un papa che più diverso da Celestino V proprio non si può: un papa che fu l’incarnazione stessa della teocrazia cristiana, e che diede al potere del pontefice romano una forza così intensa che di poi sarebbe potuta solo scemare.
Cosa curiosa, ma forse neanche troppo, perché per capire la portata del rifiuto di Celestino V non è affatto secondario capire quanto esteso e intenso fosse, a quei tempi, il potere del papato in Italia e in Europa; e i cenni a Innocenzo III che sono nel testo di questa relazione ne danno un brillante ritratto, impressionistico e impressionante.
Innocenzo III si conferisce “plenitudo potestatis” (i laici sotto, il clero sopra e, al vertice del clero, il papa, guida politica e spirituale); si dà il titolo di “caput et fundamentum totius christianitatis” (“necessità e utilità di tutto il popolo cristiano”); si dichiara Dio in terra (gli ultimi erano stati gli imperatori romani); batte moneta, riscuote tasse, si costruisce un palazzo apostolico con caratteristiche di fortezza imperiale; si celebra in prove di egemonia culturale mettendo il tallone sul pensiero, le arti e le scienze, e asservendo tutto all’obbedienza. Un criminale, insomma, così verrebbe spontaneo dire se uno volesse cedere all’antistoricismo.

Il Bagliani non andava fuori tema, forse. Nemmeno io, però. E infatti mi sono intrattenuto su Innocenzo III partito per dare una risposta a Ernesto Galli della Loggia che, sul Corriere della Sera di domenica 21 marzo, lamentava da parte delle “società occidentali un atteggiamento sprezzante, quando non apertamente ostile, verso il cristianesimo”. Lamentava una “contestazione sul terreno dei principi”, un “radicalismo enfatico nutrito d’acrimonia” verso le stesse radici cristiane d’Italia e d’Europa. Lamentava che alla Chiesa di Roma ci si rivolga sempre più spesso con un “tono oltraggiato e perentorio che dà tutta l’idea di voler preludere a una storica resa dei conti”, con “la ridicola condanna di tutte le malefatte, le uccisioni e le incomprensioni addebitabili al cristianesimo”, e con l’antistoricistica “applicazione dei criteri di oggi ai fatti di ieri”. Lamentava che “lo stesso senso comune della maggioranza stia diventando di fatto anticristiano”, a causa di un ignorante e volgare “illuminismo divenuto chiacchiera da bar”. Lamentava “quel feroce tratto nazionale che per principio non può credere in alcuna cosa che cerchi la luce, che miri oltre e tenga lo sguardo rivolto in alto, perché ha sempre bisogno di abbassare tutto alla sua bassezza”

Col massimo rispetto per tutta questa afflizione: questo accade in reazione alle pretese del papato. Che non è più quello di Innocenzo III, certo. Ma che non lo è più, non già perché il papato abbia ceduto o distribuito potere, ma perché gliene è stato sottratto, non senza resistenze.
Le pretese odierne del papato hanno cambiato solo la forma: il papa continua a conferirsi “plenitudo potestatis” (diretta sul piano spirituale e indiretta su quello politico); non batte più moneta e non riscuote più tasse, perché la storia gli ha scippato queste prerogative, lasciandogli una rendita parassitaria, cioè da parassita, e però la sua corte è fortezza. Non è più Innocenzo III, ma per lui il Medioevo rimane il top.

Professore, chi è antistoricista? Chi è stato costretto a rinunciare alle pretese del IV Concilio Lateranense, e continua di fatto a ritenerle legittime o, invece, chi ravvede nella natura stessa del papato, sempre diversa e sempre uguale, il vero oltraggio alla storia?
Cosa offende di più la storia, professore, l’“applicazione dei criteri di oggi ai fatti di ieri” o viceversa?