giovedì 19 maggio 2011

“Proprio non posso”

Marina Terragni scrive: “Il diritto di aborto non esiste, diversamente da quello che molti credono” (Sette, 19.5.2011). Almeno in relazione alla legislazione oggi vigente in Italia, questo è senza dubbio vero. Infatti, come ci viene rammentato, “la legge 194/78 stabilisce solo il mesto e basico diritto di una donna a non lasciarci la pelle se decide di abortire per preservare «la sua salute fisica e psichica»”. Qui, però, le cose si complicano: ciò che non è riconosciuto come diritto in principio, infatti, lo diventa di fatto, perché la “salute psichica” di una donna sta pure nel non essere costretta a portare avanti una gravidanza indesiderata. È dunque da rettificare l’assunto riduttivo – odiosamente riduttivo – in base al quale la legge 194/78 servirebbe solo ad evitare di ricorrere all’aborto clandestino, come se a questo fosse sempre possibile ricorrervi. Non è così, ovviamente, e la legge non si fa carico soltanto della possibilità di interrompere una gravidanza in modo meno rischioso, ma della stessa possibilità di abortire, entro certi limiti e a certe condizioni. È di pacifica evidenza, tuttavia, che nel riconoscere il primato della salute psichica della donna su una gravidanza che la metta in pericolo viene riconosciuto – di fatto, dicevamo – il diritto di aborto. E questa è cosa giusta, sebbene ad alcuni possa dispiacere. Si tratta di coloro che ritengono che la salute psichica di una donna sia compatibile con il portare avanti una gravidanza indesiderata e ritengono che sia lecito convincerla o costringerla in tal senso, per quel “suo bene” che in fondo non è mai davvero “suo”.
Anche Marina Terragni cede a questa tentazione e sembra dar giudizio positivo sul fatto che negli anni Settanta sia stata respinta la richiesta della “semplice depenalizzazione”, avanzata da “una parte del movimento delle donne”. Si trattava di una richiesta ragionevole, ma doveva essere ipocritamente preservato, almeno formalmente, il tradizionale controllo che la società pretende di esercitare sulla donna fertile: l’aborto era concesso, ma solo in cambio di una (auto)certificazione di indisponibilità per motivi di “salute”. Nel rispetto dell’ipocrisia si poteva così concedere alla donna quello che comunque non le si sarebbe potuto negare. Nessun diritto le è mai riconosciuto a gratis e qui doveva pagare con una menzogna: non le era concesso dire “non voglio”, doveva dire “proprio non posso”.

Uno straordinario monumento

Da ieri, con un solo colpo d’occhio, chi arriva a Roma dall’estero via treno vede cosa è diventato questo paese. Mi astengo dal mettere qui sopra unimmagine della statua di Giovanni Paolo II che da ieri è dinanzi alla Stazione Termini, perché è troppo brutta anche per essere esposta al biasimo. Per la stessa ragione taccio dell’autore, e così gli faccio pure un favore. Dico solo che si tratta di uno straordinario monumento al neoclericofascismo di questo nostro inizio di terzo millennio: un imponente pisciatoio.


mercoledì 18 maggio 2011

Segnalazione

Una misura di quanto siano bui i nostri tempi è data da quel misto di stupore e compassione che tocca a chi non ama autopromuoversi, per amor di galateo, o proprio non ne è capace, e preferisce evitare. L’autorevolezza è tanto ambita, oggi, che non ci si fa mai troppo scrupolo nell’assumerne assai più di quanto si sia in grado di reggerne, con effetti anche tragicomici; poi ci sono, invece, questi tizi un po’ strani, molto schivi, che, va’ a capire se per eleganza o per timidezza, fanno fatica anche ad accennare un io. Si può anche sospettare che l’eccesso di modestia sia tutto tattico, ma comunque non ne traggono molto e dal buio dei nostri tempi continuano a emergere quasi solo narcisisti e sbruffoni, che si suonano la marcia trionfale da soli. Misteri viventi, diresti tra Bartleby e Oblomov.
Insomma, era per dire che questi tizi non dovremmo perderceli, dovremmo dar loro l’attenzione che non chiedono, sarebbe il caso che passasse voce quando danno un segno, per quanto discreto. Perciò segnalo che Massimo Bordin tiene da qualche tempo una rubrica quotidiana sul nuovo Riformista di Emanuele Macaluso, ma ne ha fatto solo un vago e rapido cenno, alcuni giorni fa, nel corso della sua rassegna stampa su Radio Radicale, e come a scusarsi di avere la zip dei pantaloni inceppata: il suo Tra le righe vale il prezzo dell’intero giornale. Senza gli Angelucci e Polito era già diventato ricomprabile, adesso viene proprio voglia.


Non dare per eterno il dodo



Suppongo abbiate letto Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza di Julian Jaynes (Adelphi, 1984) e conosciate la tesi della nascita del divino nell’uomo in virtù di quel particolare artefatto neurologico che porta a concepire un altro da sé, dentro il sé, imperativo.
Brillantemente argomentata, la tesi di Jaynes non ha trovato consistenti obiezioni., almeno finora. Grosso modo: lungo il corso della nostra evoluzione neuroencefalica c’è stato un momento in cui alcune dispercezioni sensoriali, prodotte da un dato livello di connessione tra i due lobi cerebrali (corrispondente a quel dato livello evolutivo), si sono strutturate in un Dio. Cedendo alla sintesi brutale: quello fu il momento in cui creammo Dio. Conseguentemente, fu anche il momento in cui l’organizzazione della comunità umana prese la forma teocratica, che avocò ai suoi interpreti il privilegio imperativo.
Un libro eccezionale per acume e chiarezza. Andrebbe consigliato a chi non manca mai affermare prontamente che allora la fede è naturalmente umana, e la religione cosa assai fisiologica, ogni qual volta una scoperta in campo neurologico dimostra che, sì, nel nostro cervello persistono strutture che sembrano dare realtà a dispercezioni.
Non è dimostrata l’esistenza di Dio sul piano metafisico, caro Berlicche, ma è dimostrato il fatto che il piano metafisico è un artefatto fisico. Il nostro cervello ha creato Dio e gli ha dato modo di replicarsi in strutture che tendono a riprodursi finché possono, secondo le leggi che reggono l’evoluzione. Insomma, caro mio, non dare per eterno il dodo solo perché ti pare insostituibile nel paesaggio di Mauritius, e peraltro assai carino: l’evoluzione può estinguerlo.


Rettifica



Keko dice che si deve “dubitare, dubitare, sempre dubitare”, e ha ragione. Mi tocca dunque fare pubblica ammenda per non averlo fatto nel rilanciare da queste pagine, lo scorso 21 aprile, una notizia – una bufala, in realtà – che mi era stata segnalata da un lettore (fonte indicata: corriereinformazione.it) e della quale avevo trovato conferma su primaonline.it (fonte indicata: italpress.com): Nichi Vendola, Luca Sofri e Mario Adinolfi al vertice della classifica dei 35 top opinion leader italiani che usano efficacemente i social network e in particolare Facebook sapendosi trasformare così in social influencers”. Non era vero e non ho dubitato abbastanza. Rimando al post di Keko per i dettagli della faccenda e chiedo scusa ai miei lettori, ma implorando le attenuanti generiche: il degrado del paese non rendeva verosimile quella bufala? Per converso: il paese è meno degradato di quanto pensassi? 

Adesso mi è passato un po’

In campagna elettorale si può chiudere un occhio sulle bestialità che scappano ai contendenti, basta considerarli effetti collaterali della voglia di vincere. Certo, sarebbe meglio evitare urla, insulti, colpi bassi. Soprattutto sarebbe meglio evitare lo stupro della logica, dell’evidenza, della memoria. Sarebbe bello sentire dei programmi, leggerci dentro dei progetti, discutere delle idee che li hanno realizzati, cercare di capire a quale immagine di società corrispondano queste idee. Sarebbe bello, ma si sa che la democrazia non nasce dalla trascendenza del bello, e che ha il suo prezzo: ciò che parte dal basso – per legge fisica – ha tendenza a tornarvi.
Bene, voto dal 1975 e non ricordo un punto basso come quello al quale siamo con queste amministrative del 2011: questa campagna elettorale sta facendo pagare un prezzo altissimo alla democrazia, un prezzo che ritengo insostenibile. Tanta volgarità non l’avevo mai vista. Mai sentito gridare così forte per dire menzogne tanto sfacciate.
C’è di più. A differenza di sempre, stavolta è evidente la sproporzione di bestialità che scappano agli uni e gli altri contendenti: quasi tutte escono di bocca da uomini e donne del centrodestra. Almeno finora – ma mancano pur sempre altre 48 ore alla chiusura della campagna elettorale – le opposizioni sembrano aver rinunciato alla quota minima di bestialità che spetta a chi compete.
Si dice che stavolta le opposizioni stiano evitando di fare il gioco di Silvio Berlusconi, rinunciando a farsi coinvolgere in un tipo di contesa che può vincere solo lui, per l’insuperabile maestria in bassezze che riscuotono sempre successo. Pare che le opposizioni – quasi tutte – non vogliano commettere ancora l’errore di accettare la sfida e scendere nel campo dove sarebbero destinate a soccombere: quasi costrette, come per unica alternativa possibile, parlano di idee, progetti, programmi.
Vi avevano perso l’abitudine e si vede che sono impacciate, parecchio confuse, si aggrappano a stampelle retoriche, talvolta instabili. Anche se solo alla meno peggio, rigettano le provocazioni. Prevale una composta indignazione, e sembra resistenza passiva. Ma è altresì evidente che questa sia una scelta obbligata. Pare si faccia strada la rassegnazione, e non rincorre più Silvio Berlusconi col sarcasmo.
Mi è stato difficile scrivere in questi giorni. Scrivevo, rileggevo e mi autocensuravo. Non riuscivo a scrivere altro che del prezzo che questo centrodestra dovrà prima o poi risarcire alla democrazia, non riuscivo a pensare ad altro che a un’intera classe dirigente ammazzata a randellate e appesa a gocciolare sangue, ai suoi servi in fuga sparsa, braccati uno ad uno, costretti ad ingoiare tutte le bugie dette e scritte in questi giorni, ma insieme ai loro denti. Adesso mi è passato un po’ e perciò rimetto mano alla tastiera.
Solo per dire – in fin dei conti, per non dire altro – che questo Lupi che interrompe continuamente Boeri, che elude ogni domanda, che cerca la rissa pronto a ritrarsi nel vittimismo (Ottoemezzo, 11.5.2011) è un vero maleducato. Troppo sanguigno. Troppi denti.




Al solito


Sconsigliandone la lettura a chi non tolleri il macabro, riporto qui sotto la lettera che uno studente di medicina invia a Giuliano Ferrara (Il Foglio, 18.5.2011).


Un racconto tragico, ma qualche commento è necessario.
Cominciamo col dire che un feto di circa dieci centimetri corrisponde pressappoco ad una 13ª settimana gestazionale e a quell’epoca ha una cavità addominale che a stento può accogliere un mignolo: impossibile “affondarvi le dita alla ricerca delle ovaie”, che peraltro a quellepoca hanno dimensioni tali da non poter essere identificate con certezza ad occhio nudo. Per il torace vale più o meno lo stesso discorso, ma precisando che nella cassa toracica di un feto di 13 settimane gestazionali sarà praticamente impossibile trovare ancora polmoni laddove sia già stata effettuata un’autopsia.
Ma può darsi che ad Ancona si pratichi una anatonopatologia tutta speciale e allora su tutto questo converrà sospendere il giudizio. Però anche ad Ancona dovrebbe essere vigente la stessa legge che norma per il resto dItalia la sepoltura dei feti espulsi ad epoca inferiore alla 20ª settimana gestazionale, laddove i genitori ne abbiano fatto richiesta, e questa non fa cenno all’impiego del feto morto a fini didattici, neanche dietro liberatoria. Se il racconto è interamente veritiero, c’è pensare che il professore abbia commesso quanto meno una leggerezza nel cedere, senza neppure troppa resistenza, alle richieste del signor Chelli e della sua amica.
Ma è interamente veritiero, questo racconto? C’è da sospettare non lo sia, almeno in un punto: o si è voluto ridurre le dimensioni del feto (e dunque la sua età gestazionale) per dare dignità di persona a qualcosa che può altrimenti vedersela riconosciuta anche a 7-8 settimane, ma con adeguato mezzo di ingrandimento; o si è voluto spacciare per feto con richiesta di seppellimento un aborto di quelli che Il Foglio definirebbe eugenetico, motivato dall’assenza dell’encefalo, non già “asportato perché causa dell’aborto, ma perché mai formatosi (e qui, in un caso che sarebbe di anencefalia, a dimostrare la persona non basterebbe il mezzuccio splatter).

È probabile ti credano




Immobili abusivi che una sentenza definitiva ha già da tempo destinato all’abbattimento, per lo più costruiti senza alcuna licenza edilizia e in spregio delle leggi a tutela della sicurezza civile e territoriale, dovrebbero godere di un condono, di una moratoria, di un qualcosa che – non si è capito bene cosa e come – fermerebbe le ruspe. A Napoli, domani, Silvio Berlusconi prometterà questo. Lo ha annunciato oggi, promessa di promessa.
Vedremo, perché intanto la Lega ha subito mandato avanti Roberto Calderoli a borbottare che per principio la legge è legge e, soprattutto, è uguale per tutti (sottinteso: perché stracciare i decreti che ordinano l’abbattimento degli immobili abusivi dei soli terroni? Forse che un capannone abusivo in Veneto è il figlio della serva?), e che insomma se ne deve parlare prima, la Lega è contraria, si dissocia, certo non ne farà ragione di crisi della maggioranza di governo, ma cazzo! Probabilmente il Re Pazzo farà finta di non aver sentito e proporrà imperterrito il suo affarone ai proprietari di immobili abusivi in Campania, in cambio di un suo sindaco a Napoli. Tanto a Napoli non ci sono leghisti.


Se sei quello che si compra giudici e maggioranze parlamentari, quello che dà copertura morale agli evasori fiscali, quello che non si fa scrupoli nel ritagliare il tessuto istituzionale per confezionarsi un doppiopetto da mafioso ripulito – che ci sarà mai di tanto eccezionale? Poi, magari, con la faccia da pappagallo che fa da cicerone alla bella straniera, con l’Apicella che ti viene dietro con la chitarra, canterai quant’è bella Napule e ci dirai che stai studiando un piano nazionale di rilancio del turismo, dove il cemento aggrappato al Vesuvio e fin dentro gli scavi di Pompei sarà un’attrattiva paesaggistica al pari dei cumuli di monnezza e della disoccupazione giovanile, vivaio di pappagalli. Poi, magari, potrai pure far finta di non aver detto niente, lasciare che le ruspe abbattano gli immobili abusivi per solidarizzare coi proprietari, dire che non hai potuto mantenere la promessa perché i giudici e i comunisti ti hanno messo il bastone tra le ruote e sabotato la riforma. È probabile ti credano.




Gratta quest’altro strato di agiografia

 
“Pressioni degli Alleati su Pio XII perché tacesse sui nazisti” è il titolo col quale zenit.org dà notizia della scoperta di documenti che proverebbero le pressioni subite dal Pacelli “perché mantenesse il silenzio sulla brutalità nazista” a danno degli ebrei. Se Pio XII ha taciuto – così la propaganda cattolica cerca di farci credere ormai da anni – fu “per evitare che le sue proteste avessero altre conseguenze” e adesso parrebbe che a convincerlo in tal senso ci abbiano pensato Stati Uniti e Gran Bretagna.
È necessario inoltrarsi per un bel tratto nell’articolo per scoprire che vi è prova solo della preoccupazione espressa nella corrispondenza privata tra sir Francis D’Arcy Osborne, rappresentante britannico presso la Santa Sede, e Myron Taylor, rappresentante ufficiale del presidente americano accreditato in Vaticano, e che riguardasse l’eventualità – questo è il punto davvero notevole – “che il Santo Padre lanciasse un appello via radio a favore degli ebrei d’Ungheria e che nel suo appello criticasse ciò che i russi stavano facendo nei territori occupati”.
Questo, dunque, emerge da questi documenti: forse – i due diplomatici non ne hanno certezza – Pio XII intendeva denunciare la brutalità a danno degli ebrei, sì, ma si trattava della brutalità comunista.
Avevamo bisogno di questi documenti per avere conferma del fatto che Pio XII fosse un bravo anticomunista? Lo sapevamo già. Già sapevamo che, al pari di tanti bravi anticomunisti della prima metà del Novecento, il Pacelli considerò il nazifascismo come valido antidoto alla minaccia sovietica, e continuò a crederlo anche dopo che Pio XI ebbe abbozzato una condanna ufficiale della teoria e della prassi nazionalsocialista, e in pratica continuò a crederlo fino a quando il nazismo cominciò a ritirarsi dal fronte orientale e a perdere l’Europa. E allora dov’è questa “brutalità nazista” che Pio XII avrebbe voluto condannare pubblicamente?
Sta in quello che un prete qui, un vescovo lì, un cardinale un po’ più in là avrebbero fatto intuire dal soccorso che davano agli ebrei: tutta roba già nota, che chi redige l’articolo mette a zavorra di un articoletto sul sito della Fondazione «Pave the Way», alla quale si deve la scoperta del suddetto epistolario. Roba vecchia, relativa a un effettivo interessamento di singoli esponenti del clero cattolico in favore degli ebrei fatti oggetto della brutalità nazista, roba risaputa e del tutto irrilevante al fine di spiegare il motivo che impedì a Pio XII di scomunicare i nazisti, ma non i comunisti, roba che qui sta a tentare di far confusione per insinuare nel lettore la suggestione che a far star zitto Pio XII, mentre sotto il balcone gli imbottivano un treno di ebrei rastrellati nel ghetto costruito da un suo venerabile predecessore, furono inglesi e americani. Fosse stato per il Pacelli, sarebbe sceso dai suoi appartamenti e si sarebbe steso sui binari per evitare la deportazione di quei poveretti verso i Lager. Ma gli Alleati gli fecero pressione.
Gratta quest’altro strato di agiografia e ci trovi sotto ancora merda.

martedì 17 maggio 2011

6


Era il 1978 o forse il 1979, avevo poco più di vent’anni e avevo strappato la tessera del Pci due mesi prima, quando mi proposero la candidatura come indipendente nella lista del Msi per le elezioni comunali del mio paesino natio, che a quei tempi non contava più di settemila anime, a voler dare per scontato che ve ne fosse una cadauno. Non spesi una lira per la mia campagna elettorale e raccolsi 73 preferenze.
Ero giovane, sprovveduto, non mi potevo dire propriamente di destra, insomma ero pressappoco nelle stesse condizioni di Filippo Rossi che, nonostante il grande strascico di simpatia che si tira dietro, a Latina – mi dicono – ha preso solo 6 preferenze. Ecco, volevo solo dire questo: gioventù bruciata.

Dovrebbe essere proprio così come sembra, non lo è


“Silvio ko” (Il Riformista, 17.5.2001)

“Oggi siamo al termine di un’agonia
politica” (Il Fatto Quotidiano, 17.5.2001)

“La favola è finita. Il berlusconismo come
narrazione epica e proiezione carismatica
cade sotto i colpi della nuda verità.
Non c’è più spazio per la menzogna sistematica,
la propaganda populistica, la manipolazione
mediatica” (la Repubblica, 17.5.2001)



A chi ieri notte sia andato a dormire tutto contento, stamane si sia svegliato ancora con un ottimo umore, abbia passato la giornata nella piacevole sensazione che adesso il centrodestra sia alle corde, il governo stia per cadere, Silvio Berlusconi abbia pronte le valige per Antigua – con la massima delicatezza – vorrei dire: non è così.
Anche se il centrodestra perdesse Milano e Napoli, e non è poi così certo – anche se così fosse ulteriormente evidenziata la valenza politica di quelle che in fondo erano elezioni amministrative, ma Silvio Berlusconi ha voluto trasformare in voto di fiducia al suo esecutivo, e in referendum sulla sua persona – anche se insomma tutto dovrebbe essere proprio così come sembra, non lo è.

Innanzitutto, dobbiamo considerare che Silvio Berlusconi può negare di aver mai voluto dare valenza politica a queste elezioni amministrative o  al massimo può concedere di averlo fatto per mera enfasi. Tutto lo smentirebbe, ma chi se ne fotte, hai voglia a rinfacciargli certe sue inequivocabili affermazioni di appena una settimana fa: lo hai frainteso, probabilmente hai voluto fraintenderlo, il voto del 15 e 16 maggio non era un test di governo.
Ti sembra di impazzire perché così è fatto un bozzo alla logica piana, e la realtà dei fatti ti pare stuprata, la regola dell’impegno sulla parola ti vacilla davanti sospesa nel niente, e però ti freghi: lui è Silvio Berlusconi e tiene a libro-paga il fior fior di intelligenze che ti dimostreranno quanto sei sciocchino e debole di nervi.

Ma facciamo finta – dicevamo – che il centrodestra perda Napoli e Milano. Ammettiamo che un quid porti a elezioni politiche anticipate. Con la vigente legge elettorale. E ammettiamo che il consenso raccolto da Pdl e Lega venga anche solo confermato, o perfino un po’ rimaneggiato. Numeri alla mano, il Senato va senza dubbio al centrodestra e la Camera, forse, pure.
Più forte sarebbe solo un’alleanza molto problematica. Già Fini, Casini e Rutelli si tengono insieme non si capisce bene come, e al Pd non basta il terzo polo per avere la maggioranza: come tenerli insieme a Di Pietro e/o a Vendola e/o a Grillo? Quanto durerebbe un governo Bersani? E quanto un governo Montezemolo?

Lasciamo un eventuale governo Napolitano nel suo iperuranio, perché ogni arco costituente che volesse emarginare Pdl e Lega sarebbe la cornice migliore una guerra civile, e diciamo che fino a quando la Lega non azzoppa il governo Berlusconi non si smuove niente, e non lo azzoppa neanche se Letizia Moratti perde il Comune di Milano, neanche se questo dovesse significare perdere un poco di consenso. Sennò la secessione? Per come si è ridotta, può cominciare a sentirsi costola della sinistra?
Silvio non è ko. Non è affatto al termine della sua agonia. La nuda verità dà un colpo al berlusconismo come narrazione epica e proiezione carismatica, può darsi, ma quella è roba che ha la consistenza della gomma cade, e la nuda verità vi rimbalza. Non c’è più spazio per la menzogna sistematica, la propaganda populistica, la manipolazione mediatica? Con la massima delicatezza: dovrebbe essere proprio così, non lo è.


 

Praticamente

 
 

 

lunedì 16 maggio 2011

Robin: "Sono solo proiezioni, sono solo proiezioni..."




“Sorella, lei è frigida!”


Certe stampe pornografiche di fine Settecento instillano nel libertino l’irresistibile tentazione di sedurre una suora per congiungersi a lei in amplessi acrobatici dietro la colonna di un chiostro o dentro un confessionale. Meglio se strafica, naturalmente, e il non plus ultra è la strafica novizia di clausura, ma può andar bene anche la vecchia badessa, anche un po’ cessa. Pressappoco dello stesso genere era la smania che consumava Marco Pannella, ieri sera, nel tentativo di corteggiare il generale Carlo Jean al repertorio delle sue convinzioni geopolitiche (Radio Radicale, 16.5.2011).
Non c’è niente di più triste che veder uscire dal convento il libertino che ha fatto cilecca, e bisognava vederlo, ieri sera, il poveretto. La cyberguerra? Una stronzata. Il nucleare? Conviene. Vento democratico dall’Egitto al Marocco? Scazzi tra tribù. La nonviolenza? Sì, può darsi, talvolta, un tempo, ora non più. Più tosto di una carmelitana con le stimmate, il generale. E il povero Marco Pannella a insistere, e Carlo Jean a negarsi. Per poco al libertino non scappava di bocca: “Sorella, lei è frigida!”.


 

Ci sarebbe



Ci sarebbe da piangere la morte di una dozzina di palestinesi che hanno inteso commemorare la nascita dello Stato di Israele violandone i confini al grido di “morte a Israele” e lanciando sassi ai soldati israeliani. Fate voi, a me non viene neanche una lacrima.

Pa-ta-punf


Ho letto i primi due numeri de il futurista e penso che non leggerò il terzo. Carta scadente, grafica da mal di testa, linea editoriale che parte a lingua di menelicche. Sono certo di non esagerare se dico che, a confronto con il futurista di Filippo Rossi, lo Stato di Marcello Veneziani mi diventa un settimanale brioso e stimolante (e lo Stato di Marcello Veneziani faceva cagare). Se la nuova destra è questa, ha i vizi della vecchia sinistra.

Memento ut dies festos sanctifices



Su questa idea del tenere aperti i negozi la domenica e le altre feste comandate, che a me non pare neanche tutta scema, si potrebbe consumare una insanabile rottura del feeling tra Benedetto XVI e Giuliano Ferrara, se non fosse che il secondo ha i testicoli piccoli (Corriere della Sera, 15.2.2008) e non tarderà a rimangiarsi la proposta appena qualcuno gli farà presente che è una offesa al Terzo Comandamento.


Don Seppia


Il nero in cui si avvolge per proteggersi, le tante piccole ventose sul viscido dei suoi tentacoli, una tana sicura, ricavata in una salda roccia bimillenaria. Don Seppia andava bene pure come soprannome, insomma. E invece si chiama proprio Seppia – Riccardo Seppia – il sacerdote arrestato ieri, per ripetuto abuso sessuale ai danni di un ragazzo. Beccato da totano, bisogna dire, perché intercettato nell’ambito di un’inchiesta su un traffico di droga tra Genova e Milano: Don Seppia offriva cocaina a un minore in cambio di pompini, almeno questo è quanto gli viene ascritto. Il garantismo tante volte invocato per più di un prete accusato di aver stuprato decine e decine di bambini, qui, va a fottersi e il cardinal Bagnasco lo dà già per colpevole. Probabilmente dovremo aspettare Il Foglio, martedì, per un appassionato richiamo ai diritti dell’imputato e un dolente rammarico per come la Chiesa si faccia trascinare dal mainstrem forcaiolo, sempre che non siano troppo impegnati su Strauss-Kahn.
Don Seppia è solo, al momento non c’è un cane a difenderlo. Nessuno stigmatizza la violazione della privacy che è stata fatta con quelle intercettazioni telefoniche. Nessuno prende in considerazione il fatto che il ragazzo potrebbe aver detto al prete di essere maggiorenne. Nessuno mette in conto il fatto che il ragazzo potrebbe aver detto al prete di essere nipote di un boss del cartello di Medellin, e quello gli abbia creduto, e per salvarlo dalla tossicodipendenza…
Sì, lo so, faccio ipotesi del cazzo, ma è che per il povero don Seppia nessuno spende una parola, e allora ci ho pensato io. Diciamo che, se fosse stato Vasco Rossi, adesso su Facebook c’era l’ola degli innocentisti.    

 

Qualche etto di parole


“Da gennaio ad oggi, tra i detenuti ci sono stati 24 suicidi, 337 tentati suicidi, 1858 atti di autolesionismo, 38 decessi per cause naturali. Gli stessi sindacati di Polizia Penitenziaria, a cui si sono uniti quelli che rappresentano i Direttori degli Istituti Penitenziari, protestano da tempo per le condizioni in cui sono costretti a lavorare, ma il Capo del Dipartimento, nonostante non vi siano concrete prospettive di cambiamento, ignora del tutto quanto avviene e parla ancora dei principi in cui crede, come se fossero attuati o, a breve, attuabili. Queste le sue parole pronunciate il 13 maggio a Roma” (ilcarcerepossibileonlus.it, 15.5.2011).
Per fare carriera in Italia, come un siffatto Capo di Dipartimento ha indubbiamente fatto, bisogna avere un rapporto distaccato con la realtà chiamata a governare. Basta stenderci sopra qualche etto di parole e coprire il tutto con la cura dei cazzi propri.

sabato 14 maggio 2011