martedì 28 agosto 2012

«Da quel banco si levi con desiderio per venire a Nostro Signore che lo chiama».


Occorre tornare sulla Vocazione di San Matteo del Caravaggio e all’«interpretazione controcorrente» che Sara Magister ne ha dato a metà luglio, sollevando «un “caso”» che ai primi d’agosto stava diventando «sempre più avvincente» (i corsivi sono di Sandro Magister cfr. Malvino, 18.8.2012), perché ci sono novità. In favore della tesi che San Matteo non sia il personaggio anziano e barbuto al centro del gruppo che sta attorno al banco da esattore, ma il giovane imberbe a capo chino che ne è seduto a un capo, scende pure padre Joseph N. Tylenda, dell’Università di Scranton in Pennsylvania. C’è di più: rivendica la primogenitura della tesi, che avrebbe formulato quasi dieci anni fa in una guida turistica (The Pilgrim’s Guide to Rome’s Principal Churches, 1993). 
Ricapitolando. Ad essere convinti che San Matteo non sia il personaggio che per quattro secoli è parso tale ai contemporanei del Caravaggio e a tutta la posterità, ora sono almeno in quattro o cinque: un giornalista di Avvenire, un teologo valdese, il gesuita in Pennsylvania, Sandra Magister e il suo babbo. Contro il parere di Rouchès, di Marangoni, di Voss, di Briganti, di Longhi, di Berenson, di Bora, di Strinati, di Calvesi, insomma di tutti i più prestigiosi storici dell’arte da quando il Caravaggio è diventato oggetto di studio.
Propendere per la lettura piana offerta da costoro contro l’«interpretazione controcorrente» della Magister – mi è stato fatto notare da un lettore – pone il dubbio che si stia incorrendo in una fallacia da argumentum ad auctoritatem. Perché non potrebbe aver ragione lei e torto tutti gli altri? Cazzo, è vero, mi son detto, e allora mi sono messo a cercare.

Tanto ho cercato che sono arrivato a trovare un documento che penso tagli la testa al toro. Il dipinto di cui stiamo parlando si trova nella Cappella Contarelli, che sta nella chiesa di San Luigi dei Francesi. Il cardinal Contarelli (al secolo Mathieu Cointrel) fu il committente dei tre dipinti del ciclo e quindi anche di quello che qui abbiamo preso in oggetto. Morì una quindicina d’anni prima che fosse realizzata, ma aveva dato indicazioni dettagliatissime all’esecutore testamentario sul come dovessero essere concepiti quei tre istanti topici della vita dell’evangelista. Per la Vocazione di San Matteo scrisse: «Da quel banco San Matteo, vestito secondo che parerà convenirsi a quell’arte [di esattore delle imposte], si levi con desiderio per venire a Nostro Signore che, passando lungo la strada con i suoi discepoli, lo chiama».
Ora, a me pare evidente che l’abbigliamento del giovane col capo chino sul tavolo non sia troppo differente per foggia e qualità da quello degli altri due soggetti di età più o meno simile. Sono i due soggetti di maggiore età a vestire in modo distinto e senza dubbio più acconcio al mestiere di riscossore delle tasse. Dei due, a reggere sul naso delle lenti attraverso le quali guarda le operazioni in corso sul banco, uno è in piedi, distratto da ciò che sta avvenendo, mentre l’altro – quello in cui tutti, per secoli, hanno visto San Matteo – ha l’inequivocabile postura di chi sta per alzarsi dal tavolo a cui è seduto: basta fare attenzione alle sue gambe.
Questo San Matteo risponde pienamente alla richiesta della committenza: ritrae l’evangelista nell’atto di «levarsi con desiderio per venire a Nostro Signore che lo chiama» e quel dito col quale oppone un ultimo indugio nel chiedere «chi, io?» è l’ultima sua ritrosia.
Si guardino le masse del quadricipite femorale e del tricipite surale dell’arto inferiore destro: sono nella tensione che precede l’alzarsi in piedi, mentre l’arto inferiore sinistro è piegato al ginocchio a far da fulcro per la torsione di 90 gradi sul busto che sarà necessaria a farsi largo tra il bordo del tavolo e il personaggio che siede sulla sua sinistra, il cui braccio destro è sollevato nel gesto di scostarsi per lasciargli il passo, altrimenti inspiegabile.
Superfluo rammentare i rapporti che a quei tempi intercorrevano tra artista e committente: per il primo non c’era possibilità di venir meno alle indicazioni di chi ordinava l’opera. Con un committente che gli chiedeva di raffigurare un San Matteo nell’atto di alzarsi dal suo banco di esattore per seguire Cristo, Caravaggio si sarebbe preso la libertà di raffigurarlo in tutt’altro modo? Da poco gli era stato rifiutato il primo dei dipinti del ciclo (la prima versione di San Matteo e l’angelo) perché non corrispondente al dettato del committente (l’angelo era troppo sensuale e si prendeva troppa confidenza con l’evangelista): avrebbe deliberatamente cercato analogo infortunio?

6 commenti:

  1. credo non serva una seduta spiritica per chiedere chiarimenti su ciò che è di per sé evidente

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  2. Salve Dottor Castaldi,
    capito spesso qui a leggere i suoi post. Mi chiedevo come mai si sia dato così tanto da fare per confutare una tesi - quella della Magister - che di per sé non merita alcuna attenzione tanto è sconclusionata. Lo so, mi risponderà che sono affari suoi e che sul suo blog scrive un po' ciò che vuole... mi devo far bastare questa come risposta o c'è dell'altro?

    Grazie

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    1. Ecco, il punto è proprio questo: io penso che una tesi sconclusionata meriti di essere confutata. A lasciarne inconfutata una, attecchisce. Poi c'è la faccia tosta di Sandro Magister che non si fa scrupolo di divulgare le sciocchezze di sua figlia e nessuno che lo fa notare perché scrive su l'Espresso.

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    2. In effetti il sigonr Magister ha dato tanta importanza alla bislacca teoria da farla mettere in evidenza per un bel po'sulla home page dell'Espresso, ritengo meriti perciò una risposta. Per quel che mi riguarda, a parte la tradizione assolutamente univoca, mi basta guardare la altre due rappresentazioni di Matteo nel trittico: è lo stesso uomo, pur invecchiato, che si indica con il dito nella Vocazione; ancora più somigiante, se possibile, lo ha ritratto poi pure Guido Reni, che di Caravaggio fu, se non confondo, amico personale.

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    3. Egregio Dott. Castaldi,

      Le scrivo a nome dell'associazione "Aiutiamo la figlia di Sandro Magister a guadagnarsi un posto al sole", di cui mi onoro d'essere il presidente, per significarLe tutto il nostro disappunto per l'opera demolitoria da Lei attuata nei confronti della povera dott.ssa Sandra Magister. In un paese dove tutti sono "figli o nipoti di" (e prego i Suoi cortesi lettori di non fare della facile ironia), anche la pulzella in questione ha diritto, come ogni figlio d'arte in questo suolo italico, di cercare d'approfittare del nome del babbo per scrivere tutte le cazzate che le vengono in mente, tanto qualcuno che le dia credito lo trova sempre. Cosa c'è poi di così strano in tutto ciò? Funziona così da sempre, in questa terra dove il cialtronismo ha raggiunto la sua massima espressione e dove anche il più idiota tra gli idioti può conseguire la propria sinecura, la propria congrua prebenda, purché abbia il santo giusto.
      No, arriva Lei, e le rompe le uova nel paniere.
      Mi spiace, ma devo dirle che è stato proprio un bambino cattivo.
      Distinti saluti.

      Sandro Magister

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  3. "... nessuno che lo fa notare perché scrive su l'Espresso." Questo però non lo direi. Anzi, la risposta più convincente alle tesi della Magister - data per altro quasi subito dopo la trasmissione andata in onda sabato 14 luglio su TV 2000 - l'ha data un'altra storica dell'arte, ossia Elizabeth Lev, per altro anticipando in qualche modo ciò che lei, dottor Castaldi, scrive nel presente post riguardo le richieste del committente. Lo scritto della Lev si trova qui (corredata da una risposta della stessa Magister):
    http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350300

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