giovedì 20 settembre 2012

Metti Maometto...


Capita sempre più spesso che l’attualità riproponga questioni che ho già affrontato in altre occasioni – ed è il caso delle violenze che hanno fatto seguito alla diffusione del trailer di The Innocence of Muslims riaprendo la discussione sulla libertà di espressione, soprattutto sui suoi limiti – e questo mi procura un certo imbarazzo. Appuntare l’attenzione sulla specificità del caso eludendo la questione di fondo? Riciclare il già detto? Rimandare con un link al post in cui ritengo di aver spiegato meglio la mia posizione al riguardo? Soluzioni zoppe, sicché sempre più spesso preferisco «bucare la notizia». Senza scrupoli, devo dire, perché stare dietro all’attualità è un’ansia che mi ha abbandonato da tempo. Talvolta, quando mi prende nostalgia di quell’ansia, risolvo con una citazione, una foto, un video, e affido al titolo un commento laconico, che non di rado sono costretto a constatare troppo ambiguo, almeno stando a quanto mi ritorna dalle reazioni dei lettori.
Con la parodia del Profeta che ha sollevato tanto tumulto da parte dei musulmani più zelanti volevo proprio incorrere in questo genere di infortunio e stavo costruendo un rebus parecchio blasfemo (M etti Mao M etto…), tanto per ribadire che la permalosità di un credente non fa argomento circa il rispetto che egli pretende sia dovuto al suo Dio da chi lo ritiene un aborto psichico. Lho lasciato perdere dopo aver letto un post di Leonardo. Non già perché convinto dalle sue ragioni, anzi. Insomma, sono costretto a ripetermi, a riciclare il già detto. Ed eccomi qui.

Sforzandomi di non banalizzarle, sintetizzerei le ragioni di Leonardo in questo modo: sbeffeggiare Maometto non mina la fede dei musulmani, anzi la rafforza, ed è causa di una violenza che fa più vittime tra i musulmani che tra i non credenti. Ad una occhiata superficiale, regge. Poi basta porsi qualche domanda e largomento implode. La satira religiosa, per esempio, ha per fine il minare la fede altrui? La satira religiosa può ragionevolmente essere considerata causa della violenza in questo caso e in quelli analoghi? Se a Bengasi sono morti più musulmani che addetti allambasciata degli Stati Uniti, si è errato un calcolo? E questo calcolo il calcolo che legittima o meno la satira – deve tener conto delle possibili vittime della possibile violenza, oltre che mirare a prevederne i numeri che cadono in questo o quel campo?
Delle feroci pene alle quali sono stati sottoposti per secoli i blasfemi nelloccidente cosiddetto giudaico-cristiano residua solo il paternalistico «scherza coi fanti ma lascia stare i santi», pallida ombra lunga della lapidazione prescritta dal Levitico. Suona come formula di convenienza, dove ciò che conviene è il risparmiarsi noie. Non troppo lontano sta Leonardo: lascia stare Maometto, sennò procuri danni innanzitutto ai maomettani. Dietro questo tipo di calcolo mi sembra di intravvedere una visione pedagogica della satira: gli umoristi dovrebbero essere la quinta colonna di un partito progressista transnazionale. Spiace dirlo, non si può pretendere.   

5 commenti:

  1. Sullo scopo della satira sono d'accordo con con la tua interpretazione del post di Leonardo e con la tua risposta, ma secondo me su un'altra cosa hai capito male quello che lui dice: il suo punto mi pare sia che è troppo comodo fare una battaglia per la libertà di espressione tramite satira anti-maomettana quando a rischiare non sei tu ma altri. Non mi pare che a lui interessi se questi altri sono musulmani o meno ("com'è successo a Stevens e alla sua scorta"), il punto è solo che sono *altri* rispetto a chi fa la satira. Ne approfitto per segnalarti un errore di battitura: hai scritto due volte "santi" dimenticando i "fanti" ;-)

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  2. Si scherza coi Fanti, e si lasciano stare i Santi (piccolo refuso..).

    Ripescando a mò di esempio una vecchia storia: non trovi vi sia una differenza tra la pubblicazione delle famose vignette satiriche su Maometto da parte del giornale danese, e l’ostentazione delle stesse da parte di Calderoli in tv, con la faccia di merda di chi vuol solo provocare (sempre morti,sempre a Bengasi)?

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  3. @ Nonnawiki

    Io semplicemente penso che fare satira non sia fare una lotta per la libertà di espressione, ma più banalmente voglia dire esercitarla. Credo che sia l'ambiguità su questo punto a muovere molti dei commenti critici verso gli autori della satira, ma questa ambiguità va rimossa altrimenti tutto l'argomento diventa fallacia tipo straw man.

    Per questo Malvino, a mio parere correttamente, sostiene che i fattori citati (cui prodest o, in questo caso, cui nocet) non rientrino neanche vagamente nel calcolo che si è tenuti a condurre. Mi sembra, perciò, che abbia risposto esattamente nel merito, avendo capito benissimo il punto di vista di Leonardo, ma avendolo rigettato.

    Poi, a posteriori, e secondo la sensibilità di ciascuno, senza dubbio è lecito porsi le domande che si pone Leonardo ed eventualmente modificare i propri comportamenti: ma una eventuale scelta di questo tipo (auto censoria, per esempio) non ha nulla a che fare con - né modifica - il significato della satira o la sua funzione, ma rientra nel complesso delle valutazioni e decisioni politiche, strategiche e sociali. A prima vista, peraltro, sembra anche una considerazione sensata e saggia quella di arretrare prudentemente se non fosse che, se resa funzionale e organica, tale considerazione avrebbe lo stesso effetto della censura. Per questo, credo, anche chi fa il calcolo può poi optare ugualmente per procedere come aveva pianificato sin dal principio, ed è forse questa valutazione ad essere confusa per ostinazione gratuita o mal calcolata.

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    1. Il suo è un ottimo intervento; peraltro la ringrazio perchè mi ha aiutato a capire diversi punti, delle varie posizioni espresse, cui ad una prima lettura non avevo saputo dare il giusto peso.
      Tuttavia vorrei fare un paio di - modeste, anzi probabilmente meschine - considerazioni.
      Innanzitutto in un mondo ideale sarei completamente d'accordo con la posizione ultralibertaria, quale ad esempio quella espressa qui da Greenwald [che, noto en passant, aggiunge un ulteriore elemento fattuale alla discussione su The Innocence of Muslims, laddove rimarca che - traduco come posso - "la corte suprema americana, più di 40 anni fa ed all'unanimità, ha stabilito che "i diritti costituzionali di libertà di parola e libertà di stampa non permettono ad uno stato [federato] di vietare o prescrivere di esprimersi pubblicamente a favore all'uso della forza"" (per cui se anche si volesse tentare di far passare una data azione per un deliberato incitamento alla violenza, quello rientrerebbe comunque tra le libertà costituzionalmente garantite al cittadino americano)].
      Il punto però è: esiste davvero una libertà del genere?, non è forse vero che c'è tuttora un nocciolo di cose indicibili, o quantomento indicibili da parte di un particolare sottinsieme sociale?, Irving non è forse andato in galera?, oppure, come nota Greenwald stesso, non è forse vero che negli USA si finisce in galera solo perchè si aggiunge il canale di notizie di Hezbollah ad un boquet di canali per la tv via cavo?
      Perchè, io credo, solo laddove vi fosse già la più completa libertà di parola, allora la prima proibizione - o soltanto il primo tentativo di messa all'indice, o persino la prima autocensura - potrebbe (e dovrebbe!) comportare una vera e propria chiamata alle armi; ma altrimenti se, almeno da parte di alcuni e/o relativamente a determinati ambiti, questa libertà va ancora conquistata, allora ognuno combatterà la sua battaglia come meglio crederà, e nel farlo non avrà affatto - almeno non inizialmente - l'obbligo (morale o strategico che sia) di spendersi affinchè si possano disegnare vignette che canzonino il profeta.

      E allora, sempre poichè la realtà è quella che è, forse anche l'idea di associare un compito, una funzione, una resposabilità, o delle regole di condotta più o meno precisi ad un corpo più o meno preciso di attori sociali - penso alla satira, o al giornalismo - si sposta su un piano quasi metafisico. Ed a quel punto probabilmente rientrano in gioco le posizioni più pragmatiche, come è pure quella di Leonardo nel limite in cui va a preoccuparsi di chi, alla fine della strofa, ci sta lasciando le penne.

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  4. La giustificazione addotta da Pio XII, o da chi per lui, di non essere mai intervenuto in difesa degli ebrei, era quella di voler evitare ritorsioni contro i cattolici tedeschi.
    Confidavano nella benevolenza di Hitler.
    Una scelta che pesa sei milioni di morti innocenti.
    Le belve sanno annusare la paura nelle loro prede.

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