venerdì 27 settembre 2013

Πολεμική τέχνη

La polemica non è che la continuazione del duello con altri mezzi. In pratica, si rinuncia ai pugni, alla spada, alla pistola, e si incrociano i propri argomenti, poco importa quanto validi o erronei, purché si ritenga che abbiano modo di risultare efficaci. Prendersi a randellate, in tal senso, può essere assai più onesto che polemizzare, perché un legno marcio va in frantumi su qualsiasi groppone, mentre un sofisma, se ben assestato, può stendere anche un brillante polemista, quando è preso alla sprovvista. Non c’è da stupirsene, perché, mentre un retto argomentare esige studio, disciplina e onestà intellettuale in ogni segmento del suo procedere, il sofisma spesso è frutto di automatismi afferenti ed efferenti al senso comune, sicché la sua efficacia non sempre dipende solo da particolari doti intellettive di chi lo produce. I sofismi di chi difende una fede, per esempio, spesso sono vecchi quanto il suo dio, e hanno la versatilità d’uso di una protesi così vecchia da aver preso ad essere vascolarizzata, diventando attiva quanto un arto. Parare un buon argomento può riuscire relativamente agevole a questi mascalzoni, perché hanno imparato l’elusione, lo stornamento, la manipolazione e tutte le altre tecniche della controargomentazione fallace quando ancora erano attaccati alle mammelle materne. Un esempio ce lo offre Bergoglio nella sua lettera a Scalfari: «Non seguirò passo passo le sue argomentazioni – scrive – ma andrò al cuore delle sue considerazioni».

Come nel duello, anche nella polemica la posta in gioco è il riuscire ad aver la meglio sull’avversario, ma le analogie non si limitano a questo, perché anche tra il polemizzare e il duellare vi è un’equipollenza che potremmo definire di tipo geometrico tra gli elementi che ne caratterizzano natura, dinamica e sviluppo, giacché terreno sul quale si consuma la sfida, competenza nell’uso dell’arma scelta, condizioni che modulano l’azione, non escluse quelle fortuite, hanno peso in egual misura. E tuttavia una sostanziale differenza resta, e ancora una volta segna un punto a favore del randello. Raramente, infatti, un duello ha termine senza che il vincitore abbia avuto soddisfazione, pur se formale, e senza che il perdente abbia fatto ammissione di sconfitta, pur se implicita; non così nel chiudersi di una polemica, dalla quale il mascalzone esce sempre con la convinzione di aver vinto o almeno col sentirsi in dovere di mostrarsene convinto. Qui si consuma un’ulteriore sfida, quella che ha per posta in gioco il riuscire a convincere almeno se stessi di esserne davvero convinti. Con due spanne di ferro nella pancia o una pallottola ficcata in fronte è assai più complicato, ma anche con due vertebre fratturate non è così semplice, mentre chi resta appiccicato al muro da argomenti schiaccianti riesce sempre a staccarsene, e questo può prolungare la polemica all’infinito, senza alcun esito, al punto da porsi la domanda: a cosa serve? Nella lettera di Ratzinger a Odifreddi, per esempio, in premessa alla contestazione dell’affermazione che la teologia sia una sorta di «fantascienza», si legge: «Ella dovrebbe per lo meno riconoscere che, nell’ambito storico e in quello del pensiero filosofico, la teologia ha prodotto risultati durevoli», come se la durata fosse certificazione di «scientificità». Anche qui, come nel precedente esempio, siamo dinanzi al limite più grosso che la polemica ha nei confronti del duello: in fondo, in fondo, in fondo, non serve a niente.

Mi è d’obbligo, a questo punto, sgombrare il campo da quanto possa essere stato frainteso nel trattare un argomento come la polemica partendo da ciò che è – πολεμική τέχνη – per arrivare a dire che si tratta di τέχνη sostanzialmente inefficace. Questo è vero, ma solo perché ogni πόλεμος, anche quando asimmetrico e privo di regole, ha per fine un diverso «aver la meglio sull’avversario», che non a caso vien detto «nemico». Voglio dire che nella continuazione del πόλεμος con una τέχνη diversa da quella che gli è propria va persa l’equipollenza geometrica tra i fini che i contendenti si propongono. Si tratta indubbiamente di un enorme salto qualitativo sul piano dell’evoluzione antropologica, ma in sostanza il salto sta tutto nel differire il fine, e invece di annichilire il nemico ci si accontenta di dimostrare che ha torto. Può anche accadere che questo si riveli di grande utilità nel risparmiarsi tutte le scocciature che derivano dall’uso della forza bruta, ma a patto che le regole della retta argomentazione siano condivise al punto da dare agli argomenti una forza univocamente ponderabile dalle parti in polemica. Bello a dirsi, impossibile a farsi quando sia patente, anche da parte di uno solo dei contendenti, l’uso di strumenti che violino o aggirino le regole della retta argomentazione: lì polemizzare è inutile, perché il contenzioso slitta inevitabilmente da ciò che è oggetto di polemica alla legittimità degli strumenti di polemica, e in pratica si è costretti a constatare che le regole non sono condivisibili. Di fatto, solo in ambito scientifico la polemica dissuade proficuamente dalla tentazione di ricorrere al randello. 

[...]  

5 commenti:

  1. Le regole non sono condivisibili perché i fini della polemica non sono gli stessi.
    Gli argomenti di chi cerca la verità per soddisfare la propria onestà intellettuale non possono essere usati contro chi vuole affermare la propria "Verità" per godere di uno status privilegiato nella società.
    E' come quando in una competizione sportiva si confrontano atleti che gareggiano per conoscere le proprie capacità tecniche e (psico)fisiche con altri che gareggiano per portare a casa a tutti i costi il primo premio.
    Corrompendo gli arbitri o dopandosi (o entrambe le cose), vinceranno (quasi) sempre i secondi togliendo ai primi, oltre alla soddisfazione di una eventuale vittoria anche la possibilità di sapere quali sono i reali margini di miglioramento delle proprie capacità.

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  2. Ho letto il post fino alla fine. Poi ho ricominciato da capo: l'ho riletto. E poi ancora. Ma mi manca ancora il senso ultimo di questo pezzo.
    Mi chiedo: considerare "l'arte della polemica" un male non rischia di inaridire il confronto? Cosa proponi, di ritornare a spranghe e mazze?
    Hai reso bene l'idea che in una lotta "fisica" il vincitore è manifesto (oggettivo) ma la violenza è oramai bandita ovunque; ormai anche al bar si sa che in una lotta "metafisica" il vincitore è soggettivo e anche il mascalzone la fa franca.
    Hai quindi in mente qualche soluzione migliorativa?

    Francès


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    1. E' una chimera, ma potrebbe essere l'impegno, per chi vuole avere diritto di polemizzare, a rinunciare ad ogni fallacia, pena l'aver perso.

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    2. Ma infatti, io leggendo -al contrario- avevo proprio inteso come da risposta di Luigi, tant'è che stavo già accingendomi a scrivere prima di leggere la sua precisazione. Che poi, perché non immaginare che in futuro (forse molto lontano) accada effettivamente che chi usi fallacie logiche venga mal percepito e bollato dalla collettività? Come uno che bara o addirittura uno che ruba?

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  3. Mi chiedevo se conoscesse la trasmissione Intelligence squared.

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