Benedetto XVI accetta le dimissioni che monsignor Walter Mixa aveva presentato il 22 aprile con l’ammissione di aver commesso gli abusi su minori che gli venivano attribuiti e che fin lì aveva sempre negato di aver compiuto: 70 giorni per decidere se accettarle o no.
giovedì 1 luglio 2010
Per chi suona la campana?
Un paginone pubblicitario su Avvenire di domenica 27 giugno ci invita a riflettere. Solitamente una campana ha lunghissima vita, non di rado ultrasecolare, però, quando subisce danni, diventa inutilizzabile e c’è solo da buttarla. In compenso, la sua manutenzione ordinaria richiede poco impegno, mentre quella straordinaria (riparazione o sostituzione delle parti mobili o di sostegno) è solo occasionale e dal costo irrisorio rispetto a quello della campana stessa, che può arrivare anche a diverse centinaia di migliaia di euro. Perciò nessuno si disfa di una campana che non abbia subito lesioni, per il semplice fatto che il mercato di campane usate lesionate è praticamente inesistente. E tuttavia ci sono delle eccezioni, tutte legate alla necessità di un ridimensionamento delle spese di gestione al capitolato del personale addetto, quasi sempre risolto con l’installazione di dispositivi elettronici sostitutivi. E dunque donde vengono le campane usate vendute dalla Italsonor? Da chiese che non sono più in grado di sostenere le spese per farle risuonare e che hanno scelto l’opzione alternativa di un altoparlante sul campanile e di un pulsante in sagrestia: quel paginone pubblicitario è uno dei tanti indicatori di una crisi. Scarseggiano i preti, ma scarseggiano anche i soldi per pagare un campanaro, al punto da considerare conveniente disfarsi di campane che – Italsonor garantisce – sono in ottime condizioni.
[...]
In Mc 11, 11-26 si racconta di Gesù che maledice un fico sul quale, mosso da languorino, non aveva trovato neanche un frutto, ma solo foglie, e si legge: “Non era infatti la stagione dei fichi”. Che cazzo maledici, allora? Com’è e come non è, la maledizione di Gesù fa seccare il fico “fin dalle radici”. Qui la domanda è: dovendo compiere un prodigio, non potevi farlo fruttificare fuori stagione? Mah, lasciamo perdere.
È ragionevole ipotizzare
“Attraverso un programma di azioni criminali che hanno cercato di incidere gravemente e in profondità sull’ordine pubblico, Cosa Nostra ha certamente inteso agevolare l’avvento di nuove realtà politiche che potessero poi esaudire le sue richieste”. Così affermava Pietro Grasso, procuratore nazionale antimafia, lo scorso 26 maggio. Carlo Azeglio Ciampi, che era presidente del Consiglio all’epoca di quelle azioni criminali, si affrettava a dirsi d’accordo: “Il procuratore antimafia dice la verità, e io condivido pienamente le sue parole”.
Nessuno dei due produceva prove e senza prove si dovrebbero evitare termini come “verità” o “certamente”, ma in questo caso non si trattava di un Gaspare Spatuzza o di un Massimo Ciancimino: le loro dichiarazioni sembrarono ipotesi, però autorevoli.
Ora accade che, a poco più di un mese di distanza, per di più all’indomani di una sentenza che rigetterebbe almeno l’elemento più inquietante in quelle ipotesi, e cioè un accordo tra mafia e importanti pezzi della politica, della finanza e dello stato, Beppe Pisanu, presidente della Commissione bicamerale antimafia, affermi: “È ragionevole ipotizzare che nella stagione dei grandi delitti e delle stragi si sia verificata una convergenza di interessi tra cosa nostra, altre organizzazioni criminali, logge massoniche segrete, pezzi deviati delle istituzioni, mondo degli affari e della politica”. Siamo ben oltre le affermazioni di Grasso: “certamente” Cosa Nostra cercò un accordo – diceva il procuratore nazionale antimafia – ma qui è “ragionevole” pensare che quell’accordo fu trovato. Siamo dopo Grasso e Ciampi, poco prima di Spatuzza e Ciancimino, sicché è lo stesso Grasso che adesso chiede prove a Pisanu.
Probabilmente Pisanu non le ha, altrimenti non avrebbe detto “ipotizzare”. Il fatto è che accanto a “ipotizzare” mette un “ragionevole” che tutto sommato è d’uomo di buona reputazione, peraltro appartenente ad uno schieramento politico che, leader in testa, definisce farneticanti quelle ipotesi, ma pure assai stimato dai suoi avversari, soprattutto da quelli poco inclini a formulare o sostenere ipotesi senza prove e cauti in costruzioni complottiste.
Non è tutto. Pisanu è stato coinvolto nello scandalo della P2 e la sua carriera politica ne risultò compromessa per qualche tempo. Voci di brogli elettorali, poi, hanno insidiato la sua reputazione, nel 2006. A coinvolgerlo, in entrambi i casi furono ipotesi forse ritenute “ragionevoli” con eccessiva leggerezza: un uomo che ha constatato questo sulla sua pelle solitamente ipotizza con giudizio, evitando considerazioni ardite su dati inconsistenti. E dunque le sue dichiarazioni odierne hanno un rilievo particolare.
Voci maliziose non tarderanno ad insinuare, addirittura ad affermare in modo esplicito, che queste affermazioni tornano a palese sostegno dei teoremi cari ai più accaniti nemici di Silvio Berlusconi e che, dunque, sono da intendere come ulteriore sintomo di disagio interno al centrodestra e soprattutto al Pdl. Si dirà che a parlare è stato un politico caduto in disgrazia presso il suo Principe, emarginato da qualche tempo in qua, un poco incarognito dal risentimento e fra i tanti che nel Pdl stanno accantonando punti per il dopo Berlusconi o per soluzioni bipartisan nell’interregno. Si dirà che ha rispolverato la vecchia giubba da zaccagniniano, che si muove da post-post-democristiano...
Di certo c’è solo il fatto che Pisanu sembra aver previsto questo. Infatti aggiunge: “Di fronte a [quegli] eventi terribili si giustappongono senza mai fondersi tre verità, quella giudiziaria, quella politica e quella storica, che si basano su metodi di ricerca e su fonti diverse con la conseguenza di dare luogo a risultati parziali e insoddisfacenti. La verità politica interessa tutti noi per cercare di spiegare ai nostri elettori quale pericolo ha corso la democrazia in quel biennio e come si è riuscito a evitarlo”.
Pisanu, in realtà, offre una ipotesi che solo in apparenza è imbarazzante per il centrodestra: concorda con chi ritiene che con gli attentati del ’92-’93 la mafia abbia voluto aprire un tavolo di trattativa col mondo politico, ma che la risposta fu negativa e il “no” venne proprio dal mondo politico che si sarebbe coagulato in Forza Italia.
I giudici e gli storici diranno quanto nelle loro possibilità, il politico già dice quanto nelle sue: Forza Italia nacque proprio da quel “no”. Se l’opzione militarista di Cosa Nostra si rivelò fallimentare, come non darne merito a chi riempì il vuoto politico di quegli anni?
mercoledì 30 giugno 2010
Con ritorno elastico
La Chiesa è perseguitata? I mali vengono tutti dal suo interno? Per Benedetto XVI, a volte è l’una, a volte è l’altra. Dio voglia che riesca a giungere a sintesi: si procura danni da sé sola, con ritorno elastico.
È morto pure
Dalla neutra posizione di chi non ha mai provato né troppa simpatia né troppo antipatia nei confronti di Pietro Taricone, giudico esagerata tutta questa simpatia post mortem. Non è solo per l’effetto-morte, che risaputamente rende più simpatico chiunque, dev’esserci dell’altro. Se qui, contrariamente a quanto accade solitamente (fisiologicamente, direi), nessuno s’azzarda a dire: “Da vivo mi stava sul cazzo”, dev’esserci dell’altro. Ma lo dico da subito: non posso farlo io: l’ho già detto: non ho mai provato né troppa simpatia né troppo antipatia per il morto: non posso sforzarmi adesso. Anche per risparmiare energie – soffro molto l’afa – mi limiterei ad azzardare alcune ipotesi sul perché di tanta simpatia.
Ma vorrei cominciare da lontano.
Non c’è da stupirsi che qui da noi, in Italia, il personaggio pubblico venga indicato spessissimo col nome di battesimo piuttosto che col cognome: a qualsiasi livello – Alfredino, Tommy, Eluana, Rosa e Olindo, ma anche Vasco, Marco, Silvio – ci piace familiarizzare. Mai visto niente di simile sui media del resto del mondo, ma forse giro poco.
Riducendo il personaggio pubblico a persona familiare – senza far altro che tentare – pensiamo di fargli una cortesia. In realtà gliela facciamo, ma senza sapere se sia desiderata, e facendogliela pagare: da quel momento in poi, qualunque sia il segno della vicenda di cui il personaggio pubblico è protagonista, gli è riservato il trattamento che riserviamo agli intimi.
È un modo per entrare nella conoscenza delle vicende di rilievo pubblico: riduciamo lo spazio pubblico – senza far altro che tentare – ad ambiente familiare.
Venendo a noi: mai sentiti tanti “Pietro”, ora, laddove il normale “Taricone” era quasi d’obbligo, ieri. Il “Pietro” era dei fan e dei parenti, al massimo della Bignardi, ora è di tutti. È solo la morte ad aver consentito a Pietro Taricone una perfetta familiarità: nel cognome, che suonava pure da soprannome, residuavano le zone di ambiguità che scoraggiavano dall’eccessiva familiarità, sicché “Taricone”, oggi, sembra poco adeguato e, come liberato da ogni ambiguità, abbiamo “Pietro”.
Non che Pietro Taricone non ci avesse provato, anzi, poverino, ci teneva tanto, ma partiva svantaggiato, con l’essere entrato nello spazio pubblico col più ambiguo dei ruoli: la rappresentazione della naturalità, che poi fu il gioco di stare in una casa di vetro.
Probabilmente il concetto di intimità è cambiato dal Grande Fratello in poi, almeno un poco, e Pietro Taricone pare aver finalmente toccato una condizione che ci è familiare: è morto pure.
martedì 29 giugno 2010
“Disposizioni urgenti”
Il 4 giugno 2008 una sentenza della Cassazione riconosceva un diritto di indennizzo agli italiani deportati in Germania nel corso della II guerra mondiale per essere destinati al lavoro forzato nell’industria bellica tedesca. La Germania aveva istituito nel 2001 un fondo che destinava 7.500 euro ad ogni ex deportato (eventualmente ai suoi eredi), ma negava l’erogazione della somma a quanti all’epoca dei fatti fossero militari, perché da considerare prigionieri di guerra, in favore dei quali l’Italia rinunciato ad ogni rivendicazione con la firma del Trattato di pace del 1947. La Cassazione stabiliva che all’indennizzo avessero diritto non solo i civili, ma anche i militari, dichiarando irrilevante la richiesta di “immunità di Stato estero dalla giurisdizione italiana”, avanzata dalla Germania.
Non finiva qui. Un decreto-legge del 28 aprile 2010, poi convertito in legge giusto una settimana fa (98/23.6.2010), dettava “disposizioni urgenti in tema di immunità di Stati esteri dalla giurisdizione italiana”, recependo in pieno le ragioni tedesche. L’art. 1 di quella che ora è legge dello Stato italiano recita: “Fino al 31 dicembre 2011, l’efficacia dei titoli esecutivi nei confronti di uno Stato estero è sospesa di diritto qualora lo Stato estero abbia presentato un ricorso dinanzi alla Corte internazionale di giustizia, diretto all’accertamento della propria immunità dalla giurisdizione italiana, in relazione a controversie oggettivamente connesse a detti titoli esecutivi. La sospensione dell’efficacia cessa con la pubblicazione della decisione della Corte. I procedimenti esecutivi e/o conservativi basati sui titoli la cui efficacia è sospesa non possono essere sottoposti e, se proposti, sono sospesi. La sospensione opera di diritto ed è rilevata anche d’ufficio dal giudice. A tale fine, prima di adottare provvedimenti esecutivi o conservativi nei confronti di uno Stato estero il giudice accerta se sia pendente un giudizio per l’accertamento dell’immunità dalla giurisdizione italiana, anche mediante richiesta di informazioni al Ministero degli affari esteri…”.
Al Senato, nel corso della discussione sulla conversione in legge, c’è stato chi ha posto la priorità del principio che pone “un limite alla sovranità degli Stati, dato dalla violazione di valori universalmente riconosciuti”, sulle ragioni della diplomazia, spesso disposta a sacrificarli in cambio di buone relazioni internazionali, dichiarandosi perciò contrario, e invano, a quella condizione di squilibrio posta nell’avere, “da un lato, una ragione politica e la ragione della sovranità e, dall’altro, [i diritti del]le vittime”, “da un lato, il realismo politico delle relazioni internazionali e, dall’altro, i principi generali”; e così concludeva: “Il ricorso di fronte alla Corte di giustizia dell’Aja da parte del Governo tedesco è del dicembre 2008. Vi era il tempo per muoversi diversamente, lo dico con dolore. Non siamo riusciti neanche a sentire quelle vittime… non abbiamo neppure avuto il tempo per una audizione…” (Pietro Marcenaro, Pd - Senato, 16.6.2010).
Ma ormai la legge è legge dello Stato e, in nome delle buone relazioni diplomatiche con la Germania, alla quale l’Italia riconosce in questo ambito l’immunità dalla propria giurisdizione, dovremo rinunciare a far valere i diritti di quanti potrebbero avanzare richiesta di risarcimento ad uno Stato estero per aver subito un danno del quale sia dimostrabile la responsabilità di quello.
Idea partorita dal Governo nell’aprile di quest’anno, mentre in mezzo mondo fioccavano richieste di risarcimento alla Chiesa di Roma per le sue responsabilità nella gestione del clero pedofilo. Si spiega perché le disposizioni fossero “urgenti”.
Piano con le conclusioni
Avvenire spiega che succede in Oregon adesso che i legali di un tizio stuprato da un prete quando era un ragazzino sono autorizzati a chiederne conto alla Chiesa. Succede, spiega Avvenire, che adesso quel tizio “dovrà dimostrare che il sacerdote che a suo dire lo molestò negli anni Sessanta può essere considerato un dipendente del Vaticano”, sennò lo prende ancora a quel posto. Probabilmente ai legali del tizio converrà procedere per esclusione: non era una spia russa, non era un mafioso siciliano, non era un militante di al Qaeda... Avvenire ha ragione: non sarà facile arrivare a dimostrare che un sacerdote cattolico, per anni spostato dalla Santa Sede di diocesi in diocesi, avesse un rapporto di dipendenza proprio dalla Santa Sede.
Mi arrendo e però
Pure Avvenire – perfino Avvenire – ritiene che quei “possibili errori di valutazione” siano la cosa notevole del comunicato che la Sala Stampa Vaticana ha diffuso riguardo alla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli: mi arrendo, dev’essere così. Ma se presuntivi e consuntivi di Propaganda Fide erano correntemente approvati dalla Segreteria di Stato, se i “possibili errori di valutazione” di Sepe erano correntemente autorizzati da Sodano, vogliamo informarne la Procura di Perugia?
Vergogna, maniaci!
Tutti a star lì in attesa dell’uscita della Gazzetta Ufficiale per fottere Brancher sul tempo e sapere prima di lui che deleghe ha.
Domanda retorica per domanda retorica
Cominciamo col dire che Andrew Ronan – il prete pedofilo che ha potuto commettere abusi sessuali su minori in Irlanda, in Illinois e in Oregon grazie alla copertura offertagli dalla Chiesa che invece di denunciarlo alla giustizia civile si è limitata ogni volta a offrirgli nuove vittime in un’altra diocesi – cominciamo col dire, dicevo, che Andrew Ronan non è morto nel 1982, come riporta Il Foglio nel suo patetico editorialino di martedì 29 giugno (Prego, processate la Chiesa), ma nel 1992. In sé l’errore non sarebbe affatto grave, se non fosse che, facendolo morire nel 1982, Il Foglio può confezionare questo gioiellino: “Il prete è morto nel 1982, un anno prima che l’avvocato Anderson cominciasse la sua brillante carriera”, giacché è “a partire dal 1983 [che l’avvocato delle vittime di Andrew Ronan] ha costituito una formidabile macchina legale capace di agire in giudizio, con successi multimilionari nei risarcimenti, in danno della Chiesa di Roma”. Sembra niente, ma con questo piccolo trucchetto la battaglia legale di Anderson puzza almeno un poco di persecuzione a scopo di estorsione.
Armato della sua “formidabile macchina legale” (il lessico ci invita a immaginarcela arma micidiale puntata su uomini miti e inermi), l’avvocato già è il pezzo di merda che Il Foglio vuol farci credere: ci resta solo da decidere se a muovere in lui l’ossesso sia odio anticristiano o mera avidità.
Armato della sua “formidabile macchina legale” (il lessico ci invita a immaginarcela arma micidiale puntata su uomini miti e inermi), l’avvocato già è il pezzo di merda che Il Foglio vuol farci credere: ci resta solo da decidere se a muovere in lui l’ossesso sia odio anticristiano o mera avidità.
In realtà, l’ossesso è mosso da altro: un ex prete cattolico abusò di una sua figlia, quando questa aveva 8 anni. Ma su questo Il Foglio tace, sarà per la sua rinomata delicatezza e discrezione nei confronti delle vittime degli abusi sessuali commessi da preti, quand’anche ex.
“I nove giudici della Corte suprema di Washington – piagnucola l’editorialino – hanno deciso di non esaminare il ricorso vaticano contro la pretesa di processare la chiesa per la «copertura» di casi di abuso carnale su minori”. E avranno avuto le loro ragioni, via, Il Foglio se ne faccia una.
“È possibile considerare la gestione dei trasferimenti di un prete, il governo paterno della sua anima, la dialettica di perdono e giustizia tra legge canonica e autorità civile, come un fastidio di cui sbarazzarsi?”. Macché, tutto il contrario: si tratta di lasciar giudicare a chi di dovere se questa “dialettica” non abbia generato un sistema di omertosa complicità e di cinico favoreggiamento. Ai tempi in cui Andrew Ronan veniva spostato da una riserva di caccia ad un’altra, erano vigenti le disposizioni contenute nella Crimen sollicitationis: prendiamola, leggiamola e vediamo se per caso non fosse la Chiesa di Roma, attraverso il braccio della sua Congregazione per la Dottrina della Fede, a pianificare il sistema, a ordinare il silenzio (pena la scomunica).
“Lo stato può punire un prete che compie un delitto contro i minori, anzi deve, ma può anche mettere sotto processo la Chiesa di Roma come fosse una cupola che protegge il malaffare?”. Perché bisogna dare per scontato che non possa esserlo? E se si scopre esserlo, perché non dovrebbe renderne conto? Nessuna presunzione di colpevolezza, ma nessun privilegio di immunità: ai giudici decidere, come hanno già deciso, per esempio in Texas. Mica siamo in Italia, dove i giudici sono tutti comunisti senzadio.
Ma di tutte le domande retoriche che chiudono questo infelice pezzullo la più carina è l’ultima: “Come se la sua specifica moralità, la sua dottrina, la sua esperienza e la sua pastorale, confessione compresa, fossero a disposizione del braccio secolare della legge?”. Domanda retorica per domanda retorica: se producono crimine, perché no?
Stando al testo
La nota sulla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli diffusa ieri dalla Sala Stampa Vaticana viene letta un po’ da tutti come pressoché esplicita ammissione della Santa Sede che la gestione del cardinale Crescenzio Sepe non sarebbe stata in tutto accorta. Non è in discussione se lo sia stata o no, ma se nel testo vi sia questa ammissione. E io non ce la trovo.
Il passaggio che la conterrebbe sarebbe il seguente: “La Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli ricava le sue risorse principalmente dalla colletta della Giornata missionaria mondiale, interamente distribuita tramite le Pontificie Opere Missionarie nazionali, e, in secondo luogo, dai redditi del proprio patrimonio finanziario ed immobiliare. Il patrimonio si è formato nel corso dei decenni grazie a numerose donazioni di benefattori di ogni ceto, che hanno inteso lasciare parte dei loro beni a servizio della causa dell’evangelizzazione. La valorizzazione di tale patrimonio è naturalmente un compito impegnativo e complesso, che si deve avvalere della consulenza di persone esperte sotto diversi profili professionali e che, come tutte le operazioni finanziarie, può essere esposto anche ad errori di valutazione e alle fluttuazioni del mercato internazionale. Cionondimeno, a testimonianza dello sforzo per una corretta gestione amministrativa e della crescente generosità dei cattolici, tale patrimonio ha continuato ad incrementarsi”.
“Può essere esposto… cionondimeno…”: fin qui, stando al testo, la possibilità di errori non si sarebbe realizzata e se ne dà il merito a una “corretta gestione amministrativa”, la stessa che fu formalmente riconosciuta al cardinale Sepe al termine del suo mandato.
E dunque dove si leggerebbe l’ammissione che Sua Eminenza abbia commesso errori?
“La competenza spetta unicamente al Papa”
Una nota della Sala Stampa Vaticana rammenta che “nella Chiesa, quando si tratta di accuse contro un cardinale, la competenza spetta unicamente al Papa”. L’occasione è data dal cazziatone pontificio a Schönborn (udienza del 28.6.2010), colpevole di aver mosso a Sodano, e pubblicamente (kathpress.co.at, 4.5.2010), l’accusa di aver coperto i crimini di alcuni preti pedofili austriaci, nel 1995, quando questi era Segretario di Stato, e di aver arrecato offesa alle vittime, lo scorso 4 aprile (messaggio d’augurio pasquale al papa), definendo “chiacchiericcio” la loro richiesta di giustizia.
Ai sensi del combinato disposto dei cann. 76, 113, 273, 275 (§ 1), 331, 333 (§ 2), 334, 336, 349, 352 (§ 1) del Codice di Diritto Canonico, il cazziatone ci stava tutto. Al limite, volendo proprio esagerare, ci stava pure qualcosina in più (can. 1389). Tenuto conto, poi, che a usare il termine “chiacchiericcio” era stato in precedenza lo stesso Benedetto XVI (omelia del 28.3.2010), diciamo che Schönborn se l’è andata proprio a cercare.
Alla fin fine, però, tutto questo è secondario: resta il principio che “nella Chiesa, quando si tratta di accuse contro un cardinale, la competenza spetta unicamente al Papa”. Chissà se sarà richiamato una di queste volte che, a muovere le solite micidiali accuse di apostasia al cardinale Carlo Maria Martini e al cardinale Dionigi Tettamanzi, torni il vescovuzzo dell’ultima delle diocesi del Veneto, il solito pretonzolo di Comunione e liberazione o addirittura un comune baciapile laico. Che peraltro non si sono astenuti dall’accusare Schönborn di alto tradimento, fuor d’ogni loro competenza.
lunedì 28 giugno 2010
’A Maronna c’accumpagna!
Oggi la Sala Stampa Vaticana ha diffuso una nota ufficiale “a tutela della buona fama della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli [già Congregatio de Propaganda Fide] sporcata dagli affari di quando era suo prefetto il cardinale Crescenzio Sepe”, così Sandro Magister nell’introdurla.
Ora c’è da dire che la nota non fa alcun cenno critico alle passata gestione del cardinale Sepe, avendo a modello l’impianto del Profilo che il sito della Santa Sede dà alla Congregazione. Non è da escludere che, a tutela della sua immagine, la Sala Stampa Vaticana abbia voluto ribadirne i fini (“guidare e sostenere le giovani Chiese situate in territori di recente o scarsa evangelizzazione [...] coordina[re] la presenza e l’azione dei missionari nel mondo [...] sottopo[rre] al Santo Padre i candidati all’Episcopato [...] [curare] la formazione del clero locale, dei catechisti, degli operatori pastorali”), proprio per evitare che sia considerata come mera cassaforte di una discreta porzione dei beni immobiliari di proprietà ecclesiastica, come potrà erroneamente essere sembrato a chi è poco addentro alle cose vaticane, già impenetrabili per conto loro. Sì, vabbe’, ma “sporcata dagli affari di quando era suo prefetto il cardinale Crescenzio Sepe” – come si permette, il Magister?
Solo indagato, nemmeno rinviato a giudizio, men che meno condannato – come si permette, il Magister, di dare per assodato che Sua Eminenza trattasse affari sporchi? Ha sentito o non ha sentito, il Magister, quello che il cardinale Sepe ha detto lo scorso 21 giugno in conferenza stampa? “Tutto ho fatto, comunque, nella massima trasparenza, avendo i bilanci puntualmente approvati: ogni anno il preventivo e il consuntivo venivano inviati alla Prefettura per gli affari economici e alla Segreteria di Stato, che li hanno puntualmente approvati. Anzi, la stessa Segreteria di Stato in una delle ultime lettere inviatemi, a conclusione del mio mandato di Prefetto, volle esprimere apprezzameno e stima per la mia gestione amministrativa”. E chi l’ha smentito? Non la Segreteria di Stato, non la Prefettura per gli affari economici.
E allora come si permette, il Magister, in disprezzo della presunzione di innocenza di chi qui non è neanche imputato, di parlare di affari sporchi?
[Il presente post è stato copia-incollato e inviato come messaggio a Sua Eminenza (sono suo “amico” su Facebook) con la sola aggiunta in chiusa del presente invito: “Eminenza, difenda la sua reputazione dalle offese di questo irresponsabile calunniatore: lo quereli. ’A Maronna c’accumpagna!”]
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