Il 12 aprile di quest’anno la Santa Sede ha reso pubblico un Regolamento (Guida alla comprensione dei procedimenti adottati dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nei casi di abuso sessuale su minori) che all’inizio non s’era capito bene se fosse stato scritto nel 2001 o nel 2003 (così poi ha chiarito la Santa Sede), ma che in chiusa citava un Benedetto XVI che non si sarebbe avuto prima del 2005 (se almeno confezionassero con più cura i loro falsi, ci sentiremmo meno offesi).
Questo Regolamento aveva lo scopo di guidare i vescovi nell’applicazione di quanto la De delictis gravioribus (2001) veniva a correggere della Crimen sollicitationis (1922, 1962) per le prerogative che in tale ambito Giovanni Paolo II riconosceva alla Congregazione per la Dottrina della Fede col motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela (2001).
Semplificando, potremmo dire: fino al 2001 è in vigore la Crimen sollicitationis, dal 2001 in poi è in vigore la De delictis gravioribus, che viene dotata di una Guida nel 2003 o – più verosimilmente, per quanto detto – dopo il 2005; ma non basta, perché nel 2010 – siamo al 15 luglio scorso – vengono rese pubbliche delle Modifiche alle «Normae de gravioribus delictis».
Penso sia ragionevole dedurne che fino al 2001 la Chiesa di Roma ha avuto le idee salde e chiare sul come trattare i casi di abusi sessuali su minori da parte del suo clero, perché trattarli com’erano stati trattati fin lì non aveva dato problemi; dal 2001 in poi, chiamata a rendere conto del fatto che avesse trattato il problema cercando sempre e solo il proprio tornaconto, la Chiesa di Roma non trova pace e, pur di non dover rendere conto del passato ad altri che a se stessa, non smette di precisare, rettificare, modificare, come se il passato potesse essere cancellato dal presente.
Sappiamo quanto questo sia difficile: anche avendo a disposizione intere schiere di manipolatori della memoria, il passato emerge proprio dove non dovrebbe. Per esempio, quando le Modifiche alle «Normae de gravioribus delictis» portano gli anni di prescrizione da 10 a 20 (art. 7, §1): tenuto conto della permanenza degli effetti che un abuso sessuale su minore comporta per la vittima lungo tutto il corso della sua vita, volendo davvero star dalla parte del debole (che pare essere nelle nuove intenzioni della Santa Sede), perché non risolversi a un semplicissimo “prescrizione mai”? E cosa è accaduto perché ciò che nel 2001 poteva andare in prescrizione dopo 10 anni adesso deve andarvi dopo 20? È cambiata la natura del crimine? Non risulta.
Risulta, invece, che nel Sacramentorum sanctitatis tutela c’è scritto: “Si deve rammentare che tale Istruzione [la Crimen sollicitationis] aveva forza di legge” (2001); e oggi una Introduzione storica a cura della Congregazione per la Dottrina della Fede sostiene che quella Istruzione “non ha mai inteso rappresentare l’intera policy della Chiesa cattolica circa condotte sessuali improprie da parte del clero” (2010).
Con la prescrizione che da 10 sale a 20 anni (con ciò chiamando in causa la Chiesa di Roma per quanto le competeva prima del 2001), voilà, la Crimen sollicitationis non aveva forza di legge. Anzi, neppure dettava un indirizzo ai vari episcopati.
Solo un nodoso randello può essere un buon argomento su simili imbroglioni.