Prodotto in Australia da Exit International e portato in Italia dall’Associazione «Luca Coscioni», lo spot che apre questo post, e che quasi certamente già conoscete, si pone il fine di aprire un dibattito pubblico su quel diritto di “scelta finale” che il 67,4% degli italiani riconosce al malato terminale, contro il 21,7% che lo nega e il 10,9% di astenuti [1]. Rifiutato dalle emittenti televisive a diffusione nazionale, lo spot circola da qualche giorno su due o tre tv locali, ma questo indigna lo stesso i vescovi italiani, che hanno dato incarico al professor Francesco D’Agostino di lagnarsene, ieri, sulla prima pagina di Avvenire. Parole di fuoco. Si tratterebbe di “uno spot che offende la dignità dell’uomo e che quindi non può essere che definito indegno”, tanto più indegno perché “l’offesa che lo spot arreca alla dignità umana è particolarmente subdola. La dignità umana, infatti, è offesa non solo quando viene sadicamente umiliata, ma anche paradossalmente, quando viene ideologicamente esaltata”.
Non varrebbe la pena di riaprire la discussione sul diritto di assistenza spettante a un individuo che in piena libertà e piena responsabilità abbia deciso di mettere fine ai propri giorni quando li ritenga fisicamente e/o psicologicamente intollerabili perché allo stadio terminale di una malattia ad esito letale: per D’Agostino e i suoi mandanti la questione non è negoziabile, il diritto non è ammissibile, e dunque sarebbe una perdita di tempo inutile. Per costoro – è arcinoto – la vita non sarebbe nella disponibilità di chi la vive, perché dono che Dio ha fatto all’uomo, ma del quale Dio può chiedergli conto in ogni momento, senza che l’uomo abbia neppure il diritto di chiedersi che cazzo di dono sia [2]. Per costoro – anche questo è arcinoto – non riveste alcuna importanza il fatto che un tale diritto non costituisca un obbligo per alcuno, ma un’opportunità per chiunque possa ritenerla indispensabile a se stesso: lo Stato sarebbe tenuto a recepire la norma dettata al riguardo dal magistero morale della Chiesa, e a imporla a tutti, credenti o meno, cattolici o no. Norma indiscutibile, sulla quale non sarebbe lecito neanche aprire una discussione, qualunque sia il parere della maggioranza – anche stragrande – dei cittadini: per la Chiesa – è arcinoto anche questo – la maggioranza (e la sua rappresentanza) è sacra solo quando sottoscrive il Catechismo [3].
Stando le cose a questo modo – dicevo – non varrebbe la pena di riaprire la discussione sul diritto di autodeterminazione dell’individuo, tanto meno con chi la pensa come D’Agostino, il quale è mandato a indignarsi proprio del fatto che qualcuno intenda discuterne, al punto da richiamare le autorità istituzionali – “e ce ne sono diverse che possiedono e dovrebbero riconoscersi e onorare una competenza in questo campo” – a prendere “posizione in merito”, cioè a vietare la messa in onda dello spot anche da emittenti private [4]. In pratica, di eutanasia non si potrebbe e non si dovrebbe discutere, né sulle reti nazionali, né su quelle private, perché deve essere scontato che sia “sempre da condannare e da escludere” (Catechismo, 2277). Eventualmente, si può discuterne solo per ribadire che non se ne può discutere. E tuttavia qualcosa da discutere c’è.
“Nello spot i fautori dell’eutanasia volontaria costruiscono un’immagine irreale e quindi ideologica dell’uomo, un’immagine nella quale il malato che «sceglie» la morte e chiede di essere ascoltato dal «governo» appare sereno, lucido, consapevole, coraggioso e quindi esemplarmente ammirevole: ma in tal modo [è sottratta] dignità, umiliandoli, a tutti i malati terminali che vivono la loro esperienza nella debolezza, nella solitudine, nella paura, nella fragilità e spesso nella disperazione, meritando paradossalmente il biasimo che va riservato ai pavidi, a chi non avendo il coraggio di chiedere l’eutanasia”.
È la condanna di un modello alternativo a quello proposto dalla Chiesa e pare che D’Agostino ne tema la concorrenza: pare evidente che il modello proposto dalla Chiesa possa avere successo solo in assenza di modelli alternativi. Non è prestato un gran servizio alla Chiesa: vince solo se corre da sola.
Non è chiaro, poi, perché debba definirsi “ideologico” il modello eutanasico e non quello che impone al malato terminale di tener duro sperando in un miracolo o per offrire le proprie sofferenze a Gesù: in entrambi i casi si tratta di una rappresentazione informata da valori assunti come irrinunciabili, ma perché i cattolici potrebbero rivendicarli tali per tutti, mentre ai non cattolici non sarebbe consentito di rivendicarli tali nemmeno per se stessi?
Ancora: le indicazioni statistiche in coda allo spot “sono inattendibili fino a che il termine [eutanasia] non sia rigorosamente precisato nel suo significato”. Come si dovrebbe precisarlo meglio? Eutanasia è eutanasia, e il 67,4% non ha esitato a esprimersi a favore, peraltro accanto a un 81,4% degli intervistati che si è dichiarato in favore del testamento biologico, che pure non sarebbe questione negoziabile per la Chiesa. E dunque che va cercando, D’Agostino? Gli brucia il culo che lo spot sia chiaro ed efficace, niente di più.
[1] In dettaglio, “ad essere favorevoli alla pratica dell’eutanasia sono soprattutto coloro che si identificano negli schieramenti di sinistra (76,5%) e centro-sinistra (69,7%) insieme a quanti non si riconoscono politicamente in nessuno degli schieramenti (67,7%). Ma anche coloro che si riconoscono nell’area politica di destra (68,9%) e di centro-destra (60,3%) esprimono alte percentuali su questo quesito. Appare contrario a tale pratica il 30,6% di coloro che rientrano nell’area politica di centro” (Eurispes, 2010). [2] L’arroganza di costoro arriva al punto di pretendere che questo debba valere anche per chi non crede in Dio, e questa è solo una delle tante piccole ragioni che non ci consentono di rattristarci troppo quando arroganti di altro credo ne sgozzano qualcuno, perché in fondo si tratta di un regolamento di conti tra fetenti. Insomma, sì, dispiace un poco, ma solo fino a un certo punto: chi pretende di avere in pugno una verità assoluta che debba valere per tutti, prima o poi, è costretto a fare i conti con un altro prepotente che ha in pugno un’altra verità assoluta.
[3] Sul punto, l’eutanasia dovrebbe essere vietata senza meno, perché “gravemente contraria alla dignità della persona umana e al rispetto del Dio vivente, suo Creatore” (Catechismo, 2324). Tuttavia è evidente che, se la dignità umana è offesa anche quando viene “ideologicamente esaltata”, come afferma D’Agostino, il solo punto fermo sta nel rispetto verso Dio, che gli sarebbe dovuto anche da parte del non credente. [Si potrà obiettare che è così anche per l’omicidio, ma sarebbe un sofisma, perché non c’è bisogno di credere in Dio per trovare accordo sul fatto che non possa dichiararsi legittimo uccidere chi non voglia essere ucciso. È solo dando per scontato il valore relativo della dignità umana, e relativizzandola a bene che non appartiene all’individuo, ma a Dio, che può legittimarsi la condanna morale del suicidio e dell’omicidio in base allo stesso principio. Tutt’è chiamare o no un Dio a garante della dignità umana, come se fosse scontato che senza non vi sarebbero adeguate garanzie: è quanto effettivamente sta nel magistero morale della Chiesa, senza essere ragionevolmente dimostrato.]
[4] Non si spinge a chiederne anche la rimozione dal web e questo è davvero singolare. Si tratta di “uno spot – scrive – che introduce, in un dibattito delicatissimo come quello sulla fine della vita umana, una dimensione mediatico-pubblicitaria, assolutamente indebita, pensata evidentemente per orientare (non però attraverso l’argomentazione, ma attraverso l’emozione) le decisioni dei parlamentari che saranno presto chiamati a votare in via conclusiva sul disegno di legge sul fine vita”. I parlamentari guardano solo le tv locali e non hanno accesso al web? Non potrebbero essere emotivamente condizionati guardando lo spot su Youtube? Viene il sospetto che a D’Agostino bruci il culo per altra ragione.
[Sullo stesso editoriale di Francesco D’Agostino segnalo il lucido intervento di Luca Massaro.]