Posso fare a meno di scriverne, sottoscrivo Cadavrexquis.
domenica 6 febbraio 2011
Povero Ferrara
Il povero Giuliano Ferrara andava sgolandosi da mesi. Già all’indomani del caso Noemi non vedeva altra via d’uscita: “O accetta di naufragare in un lieto fine fatto di feste e belle ragazze oppure si mette in testa di ridare, senza perdere più un solo colpo, il senso e la dignità di una grande avventura politica all’insieme della sua opera e delle sue funzioni” (Il Foglio, 18.6.2009). Ma Silvio Berlusconi pareva non volerne sapere e si arroccava in difesa. Da prenderlo a schiaffoni: “Avevo suggerito che non si può vivere un permanente 24 luglio. Un capo di governo intelligente deve sapere voltare pagina, mettersi sopra la mischia” (Il Foglio, 31.8.2009). Macché. Partito e governo, giornali e tv, tutti precettati a parargli il culo. E il povero Ferrara si disperava: “Semplicemente gli si chiede di riprendere in mano le sue idee sulla crescita, esposte nel discorso di apertura della legislatura e in mille altre occasioni, e di rilanciarle nella forma di decisioni e atti di riforma che incidano sul fisco, sulla concorrenza e sulla competitività […] Gli si chiede di varare una seria e profonda riforma della giustizia, […] di provvedere con lungimiranza al deficit energetico, […] di integrare le giuste misure di contrasto dell’immigrazione clandestina selvaggia […] Gli si chiede di occuparsi della cultura, dell’istruzione, della salute […] Gli si chiede di andare in Parlamento spesso, di dare il senso di una qualche considerazione istituzionale alla classe dirigente eletta, e di cambiare completamente registro con la stampa […] In televisione meglio andarci di rado” (Il Foglio, 28.9.2009).
Peggio che parlare a un sordo, per giunta chiuso dentro a un bunker: lodo Alfano, legittimo impedimento, processo breve, no alle intercettazioni, l’agenda di governo era inchiodata, il parlamento come non esistesse. Una tortura: “Da mesi ci sono due Berlusconi. Uno che riesce a imporre il suo passo: fa la politica estera, affronta le emergenze. L’altro è sempre sotto assedio mediatico: vita privata, scandali e indagini anche le più fumose, duelli rusticani nel partito di maggioranza, propalazioni sui programmi del governo, uscite individualiste, rivalità, voci sulle nomine che contano, fatterelli vari che creano imbarazzo […] Se Berlusconi non si dà una vera spinta per le riforme, se non decide di intaccare qualche stallo e non fa alcune scelte vere, che costano qualche forzatura ma alla fine rimettono in moto non solo l’immagine ma il ruolo, la funzione politica del leader, il rischio di una lunga degenerazione cortigiana della sua leadership può diventare il nostro penoso e surreale teatrino quotidiano” (Il Foglio, 22.2.2010). E ancora doveva consumarsi la rottura con Fini.
Anche lì il povero Ferrara fu costretto a sgolarsi invano: “Fini rivendica rispetto, uno spazio vitale, non essere umiliato e marginalizzato platealmente, vuole ossigeno per continuare a crescere sulla propria strada, costruendo il profilo di una conversione repubblicana che, tutto considerato, gli fa onore e fa onore al Cav. che l’ha resa possibile, al pari della conversione governativa e costituzionale della Lega di Bossi e Maroni. E allora, se chiede questo e non altro, che senso ha fargli la faccia feroce, caro Cavaliere?” (Il Foglio, 19.4.2010). Macché. “Che fai, mi cacci?”. E quello lo caccia sul serio. Povero Ferrara, disperato: “Che facciamo, presidente? Passiamo i prossimi tre anni a sparlare di Bocchino e a straparlare di Fini, a litigare, a guardarci in cagnesco? […] Anche la solitudine può far danni seri, e al Cav. capita da qualche tempo, ma sempre più spesso, di rimanere isolato, estraneo a sé stesso perché estraniato da gente che gli parli in modo non professionale, con un minimo di decente distanza, in perfetta autonomia, in privato”, pazzo o mal consigliato, ma basta: “Berlusconi deve restituirci se stesso per come lo abbiamo conosciuto” (Il Foglio, 3.5.2010). Rewind, play: un milione di posti di lavoro, rivoluzione liberale, abbasso le tasse, ecc. Ci hanno creduto una volta, ci hanno creduto ancora, perché non potrebbero ricrederci?
Macché. Scajola, Cosentino, Bertolaso. Poi D’Addario e Spatuzza. Casini? Manco per niente. Come non detto: Berlusconi ancora a pararsi il culo, Ferrara ancora a lamentarsi, metà incazzato (“Mi spiace, presidente, ma questo atteggiamento imprenditoriale ed egotistico in politica è un difetto” – Il Foglio, 12.7.2010), metà rassegnato (“Berlusconi ha giocato sé stesso nell’avventura, e quando si difende con le unghie e con i denti, fa semplicemente politica, la fa nel modo legittimato dal ruolo che ha interpretato nella storia italiana, dal consenso che riceve, e dalla giusta, sacrosanta resistenza alla trasformazione di questo paese in una caserma o in una dépendance delle procure della Repubblica. Gli affari dell’establishment – insider trading compreso – sono affari di famiglia. Gli affari del signor Berlusconi sono gli affari della nazione. Punto e basta” – Il Foglio, 6.9.2010).
Ma il governo appare sempre più isolato, Berlusconi pare sempre più alle corde e il povero Ferrara torna alla carica: “Vendere e liberalizzare, autorizzare, creare condizioni di business, far circolare i capitali privati, agganciarli a una strategia della ripresa” (Il Foglio, 18.10.2010). Niente, Berlusconi è sordo, e scoppia il caso Ruby.
Tutto sembra appeso al 14 dicembre, e parte la campagna acquisti, ma Ferrara guarda a dopo: “Se tra qualche anno diventeremo un paese in cui non dico si lavora, ma si lavoricchia in modo sensato e con qualche prospettiva per il cosiddetto precariato che non sia un posto improduttivo, e in cui si guadagna e si consuma in modo proporzionale alla ricchezza sociale prodotta, con uno scambio utile tra capitale e lavoro, e una crescita di cui beneficeranno la ricerca, la cultura, l’istruzione, la formazione e l’industriosità nazionale, ecco, non dipende tanto dal 14 dicembre, dipende dall’ipotesi che il modello americano di relazioni sociali spazzi via la nostra apparentemente comoda bardatura di convenienze e armonie prestabilite. Questa è politica, queste sono le rivoluzioni di cui abbiamo bisogno” (Il Foglio, 13.12.2010). Ma neanche il modello Marchionne riesce a distrarre Berlusconi dalla esclusiva cura dei cazzi propri, e Ferrara torna a lamentarsi: “Il governo perde il filo da tirare nella matassa della rivoluzione di Mirafiori” (Il Foglio, 10.1.2011).
La sfiducia non passa, ma Berlusconi rimane inchiodato in difesa, e Ferrara soffre, si deprime, manda a dire che volentieri tornerebbe in tv, se solo qualcuno glielo proponesse. Poi Amato parla di patrimoniale, e le opposizioni non raccolgono, ma Ferrara coglie al volo l’occasione per prodursi, in nome e per conto di Berlusconi, in un tentativo di revival del 1994: “Dal momento che il segretario del Pd è stato in passato sensibile al tema delle liberalizzazioni e, nonostante qualche sua inappropriata associazione al coro strillato dei moralisti un tanto al chilo, ha la cultura pragmatica di un emiliano, propongo a Bersani di agire insieme in Parlamento, in forme da concordare, per discutere senza pregiudizi ed esclusivismi un grande piano bipartisan per la crescita dell’economia italiana; un piano del governo il cui fulcro è la riforma costituzionale dell’articolo 41, annunciata da mesi dal ministro Tremonti, e misure drastiche di allocazione sul mercato del patrimonio pubblico e di vasta defiscalizzazione a vantaggio delle imprese e dei giovani” (Corriere della Sera, 31.1.2011).
La risposta è negativa. Bersani dice che Berlusconi non è credibile e Casini dice che è troppo tardi, ma erano risposte prevedibili, sicché il rifiuto può essere usato per rivestirsi da rivoluzionario: o col Cav. contro le tasse o col centrosinistra che ti mette le mani in tasca. Il Paese è fesso e può ricascarci. Se bisogna andare alle urne, andarci promettendo è la regola, non importa se si tratta di promesse vecchie di quasi vent’anni, e mai mantenute: un milione di posti di lavoro, rivoluzione liberale, abbasso le tasse, perché non dovrebbero crederci ancora?
Passi che le opposizioni non raccolgano, anzi, questo torna a fagiolo, ma gli imprenditori? Puttana Eva, la Confindustria è tiepida: “A parte una timida e formale dichiarazione, in questi sette giorni la Marcegaglia si è distratta […] Secondo Berlusconi bisogna agire per portare l’incremento della ricchezza al 3-4 per cento in cinque anni. Mi dicono che nel governo c’è chi ride della cosa e che il Cav si è già messo paura della propria audacia: ma, se si irride un obiettivo così evidentemente necessario, e per giunta possibile, è meglio affidare il Paese a Giuliano Amato e a Pellegrino Capaldo, impazienti di mettere le mani in tasca ai ceti medi e di porre una bella ipoteca di Stato sulle loro abitazioni. Sia come sia, questo obiettivo di crescita la Confindustria lo condivide? È interessata agli stati generali dell’economia promessi e promossi da Berlusconi entro la fine di febbraio? Piace agli imprenditori edili il piano casa il cui obiettivo è di attivare cinquanta miliardi di euro di investimenti? Gli imprenditori del Sud, che si sono associati con coraggio alla campagna contro le mafie e per la sicurezza fatta dal governo e da Maroni, non sarebbero contenti di raccoglierne i frutti? Deregolamentare l’economia con una riforma costituzionale che elimini la parte sovietica della Costituzione non è interesse generale e anche interesse dei buoni borghesi del XXI secolo? La Confindustria è un’associazione per lo sviluppo di un capitalismo liberale di mercato o è diventata un pigro centro di spesa improduttiva e di mediazione corporativa? Secondo me gli imprenditori che pagano le quote e lavorano nelle loro aziende questa domanda se la fanno. E la risposta?” (il Giornale, 6.2.2011).
Un messaggio alla Marcegaglia dalle pagine de il Giornale è più che un messaggio: è un ultimatum. Povero Ferrara, partito per la rivoluzione liberale bis e subito ridimensionato a un qualsiasi cane da guardia, poco più di un Porro (“Adesso ci divertiamo, attaccheremo la Marcegaglia come pochi al mondo”), neanche troppo divertito, però divertente.
Colpa vostra. E di Luisa.
L’ultimo spam di Marco Pannella meriterebbe due o tre considerazioni prima di essere eliminato definitivamente. Per ciascuna, purtroppo, sarebbe necessaria una lunga premessa. Insomma, potrebbero volerci ore ed ore, tediando i più e affaticando i pochi interessati. L’ho fatto, in passato, ma mi pento. Se oggi ritento e perché mi pare – e penso di averlo già scritto da qualche parte – di aver trovato una chiave per commentare Pannella: Il labirinto femminile di Alfonso Luigi Marra. Nel pensiero e nell’azione di Pannella c’è il Paolo del Marra, ma in Paolo è tutto più esplicito. Mi spiego con qualche esempio.
Pannella: “Caro Luigi, dinanzi alla consueta valanga di disperazioni, di incomprensioni e di strazianti insulti, non solamente per aver ascoltato da me, ma per quel che mi si attribuiva da quella parte d’Italia rabbiosa, perché per nostra colpa non si riesce ad avere l’alibi: «tutto ma proprio tutto il mondo è sporco», ed è quanto meno menzogna, dando così a se stessi e agli altri la giustificazione – come posso oppormi e resistere solo io?”.
Marra: “Devo scriverti, cara Luisa, per motivi di chiarezza e di amor proprio… E questo non per semplice suscettibilità, ma perché la pur così ben recitata indifferenza del mondo verso me, non è riuscita a farmi perdere la consapevolezza di chi io sia, per cui non posso che reagire adeguatamente verso chi, anche solo per un momento, lo dimentichi... Insomma, questo «nulla» che pur intercorre tra noi ti delegittima ad avere con me atteggiamenti tipo colei che, avendo subito imprevedibilmente che taluno le pizzichi il sedere, sbalordisca e lo rimproveri” (pag. 12).
Pannella: “Siccome dialogavamo perfino con il Berlusca, i tapini che avevano «capito tutto» reagivano freneticamente per impedirci di votare la fiducia, mentre avevamo già deciso di votare contro, come Berlusconi stesso, allora come ora, aveva perfettamente compreso esser la nostra scelta”.
Marra: “A parte che le tue semplificazioni su di me non tengono conto di troppe cose, non ho difficoltà ad assumermi tutte le responsabilità di questo mondo. Ma questo non risolve niente, perché il problema non sono mai stato io. Il problema sei tu” (pag. 126). “Sono molto dispiaciuto, ma capisco di aver fatto una cosa grave con questo messaggio a Veronica, e di aver creato una situazione antipatica. Trattami dunque male, ma non esagerare, ed evita se puoi di condannarmi al silenzio” (pag. 137).
Pannella: “Dinanzi alle tante risposte mi sembra importante tornare a chiederti un po’ di attenzione e, spero, eventualmente una tua reazione a quanto segue, che abbiamo ieri immesso su Facebook e vari siti radicali”.
Marra: “L’unica situazione in cui sono disposto a parlare con te è che vieni con me e ti fai fare tutto quello che voglio. Quanto al fatto che anche questo «sarebbe inutile», non ti preoccupare: lascia decidere a me quello che voglio” (pag. 59).
Pannella: “Omnia immunda immundis. Tutto immondo a occhi immondi; e se non riesce loro di mostrare solo immondizie, sgomenti impazziscono. Così, sperando di legittimare probabilmente la propria condizione sul presupposto che tutto il mondo, non solo loro, sia immondo, hanno urgenza assoluta di affermare che, dietro l’apparenza rara del «pulito», non ci sia altro che l’inganno dello sporco. Così s’illudono di legittimarsi, di ripulire potenzialmente anche se stessi”.
Marra: “Tu sfrutti quella che chiami «pazienza» per cercare di rubare la mia dignità, e pretendi di darmi tu stessa la forza per sottostare a questa mortificazione mediante il suscitare in me la presunzione che mi ami. Io però ho ormai costantemente il dubbio che tutto dipenda invece dal fatto che non mi ami abbastanza, e questo mi scatena un altrettanto costante malessere e ribellione per il tuo abuso della mia disponibilità” (pag. 189). “Forse con «quella» avrei persino potuto fare lo sforzo di andarci, ma solo se avesse potuto essere utile per giungere a te. Sarebbe stato però necessario che esistesse, mentre era solo una mia creazione. Non ti perderò per motivi così assurdi” (pag. 165). “In ogni modo, non so se è questo che vuoi, ma se vuoi, possiamo fare come se nulla fosse accaduto” (pag. 57).
Pannella: “A 81 anni il massimo di pubbliche responsabilità che nella mia vita ho ricoperto - università a parte - sono stati cento giorni da Presidente della Circoscrizione di Ostia. Per il resto, non sono nemmeno semplice Cav. della Repubblica; e resto soldato semplice da 57 anni, in congedo nemmeno come caporale. Sono nullatenente. Da poco, ma lo sono! Ho venduto tutto, cioè le eredità. Poiché adoro la (mia) vita, ritenendomi in vacanza dal 1° gennaio al 31 dicembre, non sono stato così cretino da mettermi in vacanza dalle vacanze! Da decenni vivo come e perché questa mia vita da radicale mi colma, m’appassiona, e riconosco nella gente comune la stessa mia cifra di persona comune. Come Radicali, nel frattempo, abbiamo anche ricoperto, con grande onore e merito, qualche alta responsabilità istituzionale. Non io, perché ho ritenuto finora che mie responsabilità di «partito» mi e ci fossero più ambiziose, utili e opportune per tutti”.
Marra: “Tranquillizzati perché mi sono ormai tranquillizzato anch’io. Ho capito che ti frena: che ti sembra di essere abbastanza giovane e bella da poter sperare in un uomo giovane, intelligente, colto, bello, ricco eccetera, e che pertanto io non ti convengo. Quanto al fatto che non troverai mai un genio come me, non ti interessa, perché pensi che la genialità, l’ideologia, la rivoluzione culturale, siano per te cose prive di significato, anche se, consentimi, forse sottovaluti che se uno è genio lo è sempre, anche nelle cose del quotidiano. Ma scrivo solo perché ho il vizio dell’analisi. Non vorrei ora dover scrivere uno studio per farti fare in virtù dell’analisi quello che richiederebbe sentimenti che a quanto pare non hai” (pag. 137). “Quanto ai miei anni, non saranno pochi, ma sono stati unici, e ho raggiunto attraverso essi talmente tanti risultati che il vero motivo per il quale ti consento di farmi quei discorsi è che li considero come una richiesta di aiuto a scrostare la tua intelligenza dai luoghi comuni che la soffocano” (pag. 76).
Pannella: “Nel periodo 1994/96 Berlusconi ci è stato alleato. Non avendo noi accettato responsabilità di governo (pur da lui offerte) l’alleanza fu sempre basata esclusivamente sulle tante nostre grandi iniziative referendarie e specifici obiettivi politici del momento. Poi sostanziale allontanamento e, infine, rottura. Non da noi, ma da Berlusconi legittimamente operata e reiterata. Anche oggi come ieri, con tutti, alleanze o intese (ad esempio, la Rosa nel Pugno) si sono avute con il convergere su obiettivi innanzitutto notoriamente radicali, «nostri». Radicale riforma anglosassone-americana, radicale riforma della giustizia, diritti umani e nonviolenza le nostre linee portanti. Su questa base, alleanze strategiche o incontri tattici, chiunque – volendolo – ci ha incontrato e ci incontrerà, per altri importantissimi obiettivi di congiunture storiche. Una volta raggiunti, arrivederci, con affetto; e nulla più”.
Marra: “Sai già che non aspiro a essere semplicemente buono. Che sono buono con i buoni, cattivo con i cattivi, feroce con i feroci, strategico con gli strategici, infido con gli infidi, e così via. Posso essere l’aria che ti circonda e il terreno sul quale cammini usando in tutta lealtà la mia forza per cercare di rendere felice ogni tuo respiro e ogni tuo passo, ma non ti ho mai detto di voler offrire la mia vita a chi non sa che farsene. Ciò premesso…” (pag. 107). “Non sono un mago, sono un genio” (pag. 22).
Pannella: “Il 1° gennaio 1981 m’accadde di fare un intervento, una sorta di discorso su un mio «Lo Stato dell’Unione». Dichiaravo di essere consapevole che la vita sembrava potermi mettere in condizioni di «riserva della Repubblica»; precisavo che proprio l’impegno storico di «parte radicale» poteva portarmi a dovermi candidare anche a massime responsabilità esecutive dello Stato. Da federalista anti-nazionalista quale convintamente ero e sempre più sono, nel disastro non solo italiano ma anche europeo e «occidentale», continuo – anzi, ancor meglio, torno a sentirmi, nella eventuale necessità, a ciò disponibile, pronto. Oggi m’appare comunque probabile che potrò concludere la mia già lunga esistenza, da militante e esponente storico del Partito Radicale; e ne sono colmo, commosso, felice, vivo”.
Marra: “Un paio di anni fa i miei due figli piccoli, Caterina, allora dodicenne, e Marco, quattordicenne, entrambi ben consci delle mie concezioni, mi chiesero se era possibile che la televisione mostrasse dei dissidenti come me. Risposi che poteva accadere solo se fossero sfuggiti ai controlli, com’è accaduto a volte anche per me, ma che, fin quando la società non avrà cessato l’attuale «rivoluzione per non cambiare», i mezzi d’informazione saranno inaccessibili a qualsiasi tipo d’informazione o persona non coerente al regime. E raccontai loro cosa accadde nel 1994 nel Parlamento Europeo con la legge sugli imballaggi, mirante a rendere obbligatoria la sostituzione, negli imballaggi, del polistirolo con un «polistirolo» fatto di cereali: una legge di cui si entusiasmarono tutti, e che avrebbe risolto una grossa parte dei problemi di inquinamento. Per un paio di mesi non si parlò d’altro, ed erano tutti favorevoli. Poi iniziarono a capire che quella legge avrebbe aperto gli occhi del mondo sulla sostituibilità della plastica con materiali biodegradabili, al punto che sarebbe venuta forse meno, in tutto o in parte, l’esigenza degli inceneritori, perché solo la plastica richiede quel tipo di smaltimento. Il risultato fu che, dall’estrema destra all’estrema sinistra, passando per i verdi, dopo un po’ ammutolì l’intero Parlamento, e in quindici anni non c’è stato verso di far riprendere il discorso a nessuno. Se non è univocità questa!” (pag. 48).
[...]
Probabilmente, anche cimentandoli, rimarranno oscuri gli argomenti di Pannella e quelli di Marra. Ma soltanto a rimanere indietro, mentre entrambi vanno avanti. Chiaro è, in questo caso, che la colpa è solo vostra. E di Luisa.
Sogno numero due
“… e se tu la credevi vendetta
il fosforo di guardia
segnalava la tua urgenza di potere
mentre ti emozionavi nel ruolo più eccitante della legge...”
Fabrizio De Andrè, 1973
Rapivano la Santanchè, le amputavano i medi e la liberavano.
venerdì 4 febbraio 2011
Coi ciambellani dietro
“Montarono due telai, fecero finta di lavorare, ma non avevano assolutamente niente sul telaio”. Non si fa fatica a immaginare quanta serietà e quanto impegno: l’imperatore avrebbe avuto dei vestiti nuovi da lasciare tutti a bocca aperta. Bene, sappiamo come va finire: “«Ma non ha niente addosso!», gridò un bambino. «Signore Iddio, è la voce dell’innocenza!», disse il padre, e cominciò il passaparola di quello che aveva detto il bambino: «Non ha niente addosso, un bambino dice che non ha niente addosso!». «Non ha proprio niente indosso!», urlò infine tutta la gente. E l’imperatore rabbrividì pensando che potessero aver ragione, ma pensò: «Ormai devo guidare questo corteo fino alla fine». Gonfiò fiero il petto e proseguì, coi ciambellani dietro a reggergli lo strascico inesistente”.
Non c’è alcuna sollevazione popolare, anzi, non è escluso che nel corso della sfilata l’imperatore possa riconvincere i suoi sudditi di essere vestito, e assai elegantemente. Potrebbe addirittura esserci un bambino sculacciato a chiudere la storia. Rammentavate che l’imperatore fosse fatto a pezzi dalla piazza? Facevate confusione tra la favola di Hans Christian Andersen e quella dell’anarchico incoronato di Antonin Artaud.
Tutt’è non farsi prendere dal panico, mettere convinzione nel gonfiare il petto, avere dei ciambellani dai nervi saldi e dalla faccia tosta professionale.
Tutt’è non farsi prendere dal panico, mettere convinzione nel gonfiare il petto, avere dei ciambellani dai nervi saldi e dalla faccia tosta professionale.
Prendete Antonio Martino. È da un bel pezzo che gli italiani sanno che la «rivoluzione liberale» di Silvio Berlusconi è una crudele presa per il culo, ma Antonio Martino si presta alla parte. Era solo uno strappo nell’abito, dice, ma bastano due punti di filo e Silvio Berlusconi mi ritorna il liberale del 1994: “Il passato non può essere riscritto ma possiamo ancora influire sul futuro; non possiamo lasciare incompiuta una rivoluzione che gli italiani fortemente vogliono. Le condizioni potrebbero non apparire ideali, data l’esiguità della maggioranza ma, sia che la legislatura venga interrotta sia che giunga al suo termine naturale, soltanto se ritroveremo l’ispirazione del 1994 e sapremo tradurla in proposte concrete seguite da risultati potremo ritenere di aver fatto il nostro dovere per il bene dell’Italia” (Il Foglio, 4.2.2011).
Tutt’è avere la faccia tosta professionale di riuscire a parlare ancora del “bene dell’Italia” in nome e per conto del monumento vivente alla cura dei cazzi propri. Ed eccolo, Antonio Martino, serio e impegnato, a reggere lo strascico.
giovedì 3 febbraio 2011
Il berretto nel fango
“Una volta, per dimostrarmi quanto migliore del suo fosse
il tempo in cui ero venuto al mondo io, [mio padre] mi fece
questo racconto. «Quand’ero un giovanotto – disse –
un sabato andavo a passeggio per le vie del paese.
Ero ben visto, e avevo in testa un berretto di pelliccia nuovo.
Passò un cristiano e con un colpo mi buttò il berretto nel fango
urlando: ‘Giù dal marciapiede, ebreo!’. ‘E tu cosa facesti?’,
domandai io. ‘Andai in mezzo la via e raccolsi il berretto’,
fu la sua pacata risposta. Ciò non mi sembrò eroico da parte
di quell’uomo grande e grosso che mi teneva per mano”
Sigmund Freud mostra una pietas filiale assai ambivalente. Proviamo, però, a immaginare lo stesso episodio raccontato dal figlio di quel cristiano, e avremo la negativa di quell’ambivalenza. Non è mai facile decidere, in questi casi. Tuttavia, essendo costretti a scegliere, di chi vorreste essere figlio? Voglio dire: dovendo essere indulgente con vostro padre, perché è pur sempre vostro padre (tutto fuorché un eroe, in entrambi i casi), ne preferireste uno troppo gradasso o uno troppo mite? In altri termini: di quale padre preferireste essere costretti a vergognarvi un poco?
Forse è il caso di fare un altro esempio. Su L’espresso della scorsa settimana (5/LVII - pag. 154) Eugenio Scalfari chiamava Giuliano Ferrara e i foglianti alle loro responsabilità: “Voi, spiriti sottili, atei ma devoti, allineati ma irriverenti, libertari ma snob, irruenti ma ricercati, voi non vedete con orrore o almeno con disgusto lo squallore e la disperazione in cui l’Amor vostro è precipitato portandosi dietro un pezzo del Paese? [...] Vi dovrebbe venire un po’ di rossore sul volto, ma se non vi viene spontaneamente fatevelo pennellare sulle gote dal truccatore di scena, in modo che noi lo si possa vedere e perdonare la vostra vergogna”. Bisogna convenire che il tono poteva risultare insultante a Ferrara come tempo fa lo era a un cristiano la vista di un ebreo ben vestito. Via, cappello nel fango: “Scalfari sull’Espresso civetta un po’ con me e poi mi dice che devo provare vergogna. Mi sono sforzato ma non ci riesco, mi spiace. Se però lui o il suo Peppe D’Avanzo volessero farsi una bella chiacchierata in televisione con me, evitando naturalmente postriboli televisivi e fumerie d’oppio, sono disponibile. Vediamo chi arrossisce e, se mi è permessa una innocente guasconata, glielo do io il bunga bunga” (il Giornale, 30.1.2011). Al momento, il cappello di Scalfari rimane nel fango e nessuno ha dato due schiaffoni a Ferrara, tanto meno Scalfari. Anzi, come quasi sempre accade quando li si lascia fare, i gradassi insistono:
Stessa domanda di prima: di chi preferireste essere figlio? Di quale ambivalenza preferireste dover rendere conto?
Rap
Dinanzi all’attualità politica, quando è cronaca di fine regime e la passione civile è una variabile impazzita, c’è un diritto inalienabile dell’uomo, che è quello di chiudere gli occhi, lasciar volare l’immaginazione, pensare al repulisti. Quanto più è esecrabile piazzare quattro dolly a Piazzale Loreto per dare la miglior resa cinematografica ai cadaveri appesi, tanto più è nobile prendere dal frigo una birra e stare a sognare. Non si becca mai, ma è proprio quello il bello: il bruto che è in ciascuno di noi si eleva e si edifica. Un esempio.
Esterno, sera. Bettino esce dal Raphael, pioggia di monetine, plebe che ulula.
Stacco su Intini. Fa in fretta una valigia, quando bussano alla porta. Trasale, va ad aprire. “Chi è?”. “Lettura del gas”. Si fida, apre ed è la fine: di Intini rimane poco o niente. Povero Intini.
Un sogno a cazzo di cane. Tutti odiavano Intini, ma si finì col riconoscergli onestà e buona fede, la sua forfora al congresso fondativo della Rosa nel Pugno mi fece una struggente tenerezza. E dire che nel 1992 l’avrei fatto sbranare dai cani della Brigata Violante. E piano, dunque, piano con le sceneggiature. Chissà cosa fareste alla Santanché, chissà che fareste a Gasparri e a La Russa, chissà quali violenze alla povera Roccella, chissà che rimarrebbe del povero Sallusti e del povero Signorini – piano, che poi siete proprio voi a doverli calare dalla pensilina, rianimarli e riciclarli per il prossimo regime.
Certo, sognare film di fantapolitica è molto meglio che linciare quel tal sottosegretario, impalare l’architetto caro all’autocrate, rapare a zero delle povere puttane, comunque non abusate del diritto: è inalienabile, ma attenti a non alienarvi e, se vi è possibile, risparmiate i nani e le ballerine. Lasciate stare Ferrara, non c’è sfizio, tanto ve lo ritrovate in tv prima o poi, change or not: filmate la scena della cattura di Gianni Letta, se ci riuscite. Filmate la scena di quando l’oscuro pm finalmente trova la quadra e capisce il ruolo di Bisignani, il filo tra Dagospia e il Velino…
Se guardate e riguardate la scena del plotone di esecuzione che fucila il Papa ne La via lattea di Buñuel, il vostro anticlericalismo si ammansisce. Provate.
mercoledì 2 febbraio 2011
“Quello che fa lo dice”
Bordin assicura che “Pannella usa i momenti di debolezza dei governi perché ritiene che in quei momenti si possano ottenere delle cose utili. E Berlusconi è debole”. Detto per chi di Pannella se ne sbatte le palle e dunque non ha chiaro il contesto, parleremmo del fatto che da sette o otto settimane Pannella dialoga con Berlusconi.
Mi raccomando, si faccia attenzione: dialogo. Guai a parlare di trattativa, sennò Pannella si butta a terra e strepita che l’hai pestato a sangue: Pannella non tratta, Pannella dialoga. E tuttavia, stando a quanto assicura Bordin, questo dialogo sembra avere le dinamiche dello strategismo sentimentale contro il quale combatte il Marra: sfruttamento delle debolezze del codialogante al fine di trarne un utile. Un gran bel dialogare, non c’è che dire, però sembra un trattare, peraltro da una posizione di vantaggio, almeno così percepita.
E dunque “Berlusconi è debole”, perciò Pannella gli dà attenzione. E ci dialoga, per ottenere qualcosa. E però manda (Bonino e Beltrandi) a dire in giro che Berlusconi non è in grado di dare niente: né una legge elettorale col maggioritario secco a turno unico, né un’amnistia, né il testamento biologico, tutt’al più la riforma dell’art. 41 della Costituzione, ma forse neanche quella. E le cose utili che Bordin assicura sia possibile ottenere? Non sarà il caso di rimandare il dialogo a quando Berlusconi sarà ancora più debole?
Questioni di logica piana. Troppo piana, a detta di Bordin: categorie di questo genere non sono adeguate a cogliere la vera natura del dialogo, se mirato a ottenere un utile. Infatti, “i retroscenisti lo trattano come gli altri politici, mentre lui è diverso: quello che fa lo dice”.
Sarebbe quanto nel Marra fa la differenza tra la dialogicità e lo strategismo. Trasponendo, Pannella dice a Berlusconi: “Dialoghiamo, ché ti vedo debole e quindi posso ottenere da te cose utili”. Non c’è dubbio che glielo dica in faccia, perché lui odia gli strategismi del trattare: quello che fa lo dice (quello che dice lo fa?). Proprio come il Marra, che in sintesi potremmo stringere in qualcosa del genere: “Stronzetta, so bene che ti faccio andare il cervello in gorgonzola e desideri ardentemente la mia verga, ergo risparmiami le formalità: vai di là, datti una lubrificatina, ché appena ho finito di spuntarmi le basette passo un attimino a darti l’estasi”.
Un mostro, vero? Errore, state giudicando secondo logica piana: “Gli schemi politici – dice Bordin – calati su Pannella non funzionano: lui è un artista”. Trasponendo, è un mostro, ma vedrete che tra un poco la stronzetta cede, va di là e si dà una lubrificatina... Dite quello che vi pare: se dovete mandare a cagare il Marra, dovete mandarci pure Pannella.
Pruderie
“Stavo guardando e cancellando i messaggi sul mio iPad – ha provato a spiegare Simeone Di Cagno Abbrescia – quando si è aperta una finestra e la pruderie maschile mi ha portato a fermarmi su quelle immagini di belle figliole” (il Giornale, 2.2.2011). È possibile che quel “pruderie” non meriti alcuna attenzione? Il termine starebbe a indicare moralismo di stampo puritano, perbenismo un po’ bigotto, castigatezza oltre misura, esagerato pudore, insomma, proprio il contrario di quello che dovrebbe aver spinto l’onorevole a soffermarsi su quel sito porno, che eventualmente potremmo definire “prurigine”. Bene, non ho notizia di giornalista o blogger che finora abbia segnalato lo sproposito: indignazione, battutine, qualcuno rileva che “chiunque possieda un iPad sa che questo, semplicemente, non è possibile” (manteblog, 2.2.2011), ma che Simeone Di Cagno Abbrescia sia prima di tutto un ignorante – niente.
Non c'è partita
“In Svizzera, un operatore sociale di 54 anni ha confessato di aver commesso atti di carattere sessuale con 114 bambini, uno dei quali di un anno, e persone disabili negli ultimi 29 anni in diversi istituti in Svizzera e in Germania. Lo ha comunicato oggi la procura della regione Berna Mittelland citata dall’agenzia di stampa svizzera Ats” (ansa, 1.2.2011).
Rimane imbattuto il record di padre Joseph Murphy: più di 200 bambini sordomuti in poco più di 25 anni. Anzi, diciamolo, questi tentativi laici di cercare di far meglio dei preti è patetico.
martedì 1 febbraio 2011
Non è uno «Stronzo d’Oro» davvero meritato?
Apparsa su Il Foglio di martedì 1 febbraio 2011, a pag. 4 (boxino in mezzo a quattro boxini, come giocasse a nascondino), questa rettifica non meriterebbe di essere premiata col Premio «Stronzo d’Oro» che qui le viene assegnato, se non fosse che l’articolo di Francesco Agnoli era dedicato al professor Umberto Veronesi e i “riferimenti inesatti”, verificati manco per il cazzo perché tornavano comodo, servivano a dipingerlo come un losco e avido maneggione.
Tre anni dopo, voilà, Il Foglio fa la verifica e scopre le diffamatorie inesattezze mandate in pagina: fa due conti su quanto gli può costare e chiede scusa. Verifica che viene fatta “soltanto a seguito” della querela, sennò andava bene che il professore rimanesse dipinto com’era. Superfluo rilevare, tenuto conto del fatto che parliamo de Il Foglio, che il ritratto del “professor Umberto V., nichilista di tendenza” occupava due interi paginoni di centronumero, i “riferimenti inesatti” da La Voce della Campania (un copia-incolla, niente più) erano per ben 10.751 battute delle circa 50.000, e che la rettifica odierna è di 4 x 7 cm (726 battute), e a Veronesi neanche un vago accenno.
Non è uno «Stronzo d’Oro» davvero meritato?
lunedì 31 gennaio 2011
Ma chi è tanto idiota da poter credere al rilancio?
Concordo con chi sostiene che la lettera di Silvio Berlusconi al Corriere della Sera sia stata scritta da un ghostwriter (phastidio.net) e con chi si spinge ad attribuirla a Giuliano Ferrara (gadlerner.it), ma in entrambi casi non sono portati argomenti, e allora ci provo io. “Vorrei brevemente spiegare – si legge – perché il no del governo e mio va al di là di una semplice preferenza negativa, «preferirei di no», ed esprime invece una irriducibile avversione strategica a quello strumento fiscale [l’imposta patrimoniale], in senso tecnico-finanziario e in senso politico”. Quel «preferirei di no» dovrebbe farci credere che Silvio Berlusconi abbia letto Bartleby the Scrivener di Hermann Melville, e questo è poco credibile: è più probabile che la lettera gli si sia stata scritta da un ghostwriter, dunque, ma perché proprio Ferrara? Perché più avanti si legge: “Gli atteggiamenti faziosi, ma anche quelli soltanto malmostosi e scettici, possono essere sconfitti”, e «malmostoso» è praticamente una firma. Dovrebbe significare pure che Ferrara ha letto Melville, ma questo non è strettamente necessario, perché Ferrara è di quelli che citano anche il sentito dire.
Risolta la questione filologica, si pone una domanda assai più seria: ma davvero Berlusconi è tanto disperato da pensare che il rilancio consigliatogli da Ferrara possa trovare sponde fuori dal centrodestra? C’è un solo serio liberista, un solo serio riformista, che può investire due soldi di fiducia in un vecchio puttaniere braccato nel suo bunker, che di liberalizzazioni e di riformismo si è sempre solo sciacquato la bocca, e sempre solo alle viste di una campagna elettorale? Davvero Berlusconi è così disperato? O davvero il paese è così idiota come gli suggerisce Ferrara?
Scimmiottature
¶ La lotta tra modernità e tradizione è trasversale in ogni società, e in ciascuna si assiste a un prevalere dell’una sull’altra, ma in nessuna si ha tale schiacciante predominanza della modernità sulla tradizione, o viceversa, per potere immaginare società moderne in lotta con società tradizionali, e viceversa. Le cose si complicano per la peculiarità che la tradizione assume in questa o in quella società, ma anche per una diversa idea della modernità in quella società e in questa. E tuttavia, in generale, possiamo dire che non c’è modernità senza secolarizzazione e non c’è tradizione senza richiamo al trascendente, sicché in ogni società assistiamo – in diversa forma e misura, e con diverso esito parziale della contesa – a una lotta tra dissacrazione e recupero del sacro, tra tendenza a trarre autorità dalla ragione o dalla fede, a fondare il potere sull’utile (come massima felicità per il maggior numero di individui) o sul bene (come sola verità e giustizia valide per tutti), tra tendenza al consenso o all’assenso.
domenica 30 gennaio 2011
L’umidiccio, per esempio
Il prolisso stanca, sì, ma vogliamo essere onesti? Anche il laconico può scassare considerevolmente la uàllera. L’umidiccio, per esempio. L’umidiccio mi fa un post che somiglia a una installazione al neon, di quelle molto concept e tutt’ammicco, che più di una citazione merita una fedele riproduzione: la sottostante.
Poi non dite che eccetera
30 gennaio 2011 Blog
Il 19 aprile 2010 e il 7 giugno 2009
Le due date fanno link a due post dell’umidiccio, laconicissimi pure quelli: niente più che una strizzatina d’occhio nel titolo e, oplà, Obama cuts funds to promote democracy in Egypt by 50% (Haaretz, 18.4.2010) e Obama and Democracy (The Wall Street Journal, 6.6.2009). Solit’ammicco, quasi un tic: Obama è peggio di Bush (così mi consolo che Bush ha perso, così non vi godete la vittoria di Obama).
Può starci? Può starci, in fondo scrivere può servire pure a scaricare tossine. Ma il taglio dei fondi per la promozione della democrazia in Egitto ha qualche relazione con la montante richiesta di democrazia che sale per le vie de Il Cairo? Se sì, è perché ti sei sintonizzato al mio tic.
Dite quello che volete, ma a questi sommi sacerdoti della brevitas preferisco gli indefessi chierici dai mille incisi.
E io perciò li schifo
Sono passati ormai tre giorni da quando la Süddeutsche Zeitung ha dato notizia del ritrovamento di un appello che Joseph Ratzinger firmò nel 1970, insieme ad altri otto teologi, per sollecitare la Conferenza episcopale tedesca a farsi promotrice di una revisione dell’obbligo del celibato sacerdotale, e i nostri vaticanisti sembrano trascurare la faccenda, sarà che a suo tempo il documento fu classificato come riservato (diskret). Fatta eccezione per due smilzi articoletti di Tarquini per la Repubblica e di Galeazzi per La Stampa, tutti tacciono: Magister, Zizola, Tosatti, Accattoli, Tornielli e Rodari, che su un qualsiasi inedito del futuro Benedetto XVI avrebbero altrimenti sparso inchiostro come incenso, struggendosi in mille smorfiette di estasi, non riescono a trovare due minuti per due righe.
Eppure il documento non è affatto privo di interesse. Accanto alla firma di Ratzinger si leggono quelle di Rahner, di Lehmen, di Semmelroth e i toni dell’appello sono alti, persino – se vogliamo – drammatici: al riguardo si parla della necessità (Notwendigkeit) di un provvedimento urgente (eindringlichen) ed esteso (für Deutschland und die Weltkirche im Ganzen). Se a questo si aggiunge che Ratzinger si è sempre pubblicamente espresso in favore dell’obbligo del celibato, mai contro, come interpretare il silenzio dei nostri vaticanisti? Direi che siamo dinanzi all’ennesima prova della loro disonestà intellettuale: riprendere la notizia della Süddeutsche Zeitung potrebbe causare qualche imbarazzo, meglio far finta che sia sfuggita. E io perciò li schifo, poi ditemi se senza buoni motivi.
Per l'eutanasia
Prodotto in Australia da Exit International e portato in Italia dall’Associazione «Luca Coscioni», lo spot che apre questo post, e che quasi certamente già conoscete, si pone il fine di aprire un dibattito pubblico su quel diritto di “scelta finale” che il 67,4% degli italiani riconosce al malato terminale, contro il 21,7% che lo nega e il 10,9% di astenuti [1]. Rifiutato dalle emittenti televisive a diffusione nazionale, lo spot circola da qualche giorno su due o tre tv locali, ma questo indigna lo stesso i vescovi italiani, che hanno dato incarico al professor Francesco D’Agostino di lagnarsene, ieri, sulla prima pagina di Avvenire.
Parole di fuoco. Si tratterebbe di “uno spot che offende la dignità dell’uomo e che quindi non può essere che definito indegno”, tanto più indegno perché “l’offesa che lo spot arreca alla dignità umana è particolarmente subdola. La dignità umana, infatti, è offesa non solo quando viene sadicamente umiliata, ma anche paradossalmente, quando viene ideologicamente esaltata”.
Non varrebbe la pena di riaprire la discussione sul diritto di assistenza spettante a un individuo che in piena libertà e piena responsabilità abbia deciso di mettere fine ai propri giorni quando li ritenga fisicamente e/o psicologicamente intollerabili perché allo stadio terminale di una malattia ad esito letale: per D’Agostino e i suoi mandanti la questione non è negoziabile, il diritto non è ammissibile, e dunque sarebbe una perdita di tempo inutile. Per costoro – è arcinoto – la vita non sarebbe nella disponibilità di chi la vive, perché dono che Dio ha fatto all’uomo, ma del quale Dio può chiedergli conto in ogni momento, senza che l’uomo abbia neppure il diritto di chiedersi che cazzo di dono sia [2]. Per costoro – anche questo è arcinoto – non riveste alcuna importanza il fatto che un tale diritto non costituisca un obbligo per alcuno, ma un’opportunità per chiunque possa ritenerla indispensabile a se stesso: lo Stato sarebbe tenuto a recepire la norma dettata al riguardo dal magistero morale della Chiesa, e a imporla a tutti, credenti o meno, cattolici o no. Norma indiscutibile, sulla quale non sarebbe lecito neanche aprire una discussione, qualunque sia il parere della maggioranza – anche stragrande – dei cittadini: per la Chiesa – è arcinoto anche questo – la maggioranza (e la sua rappresentanza) è sacra solo quando sottoscrive il Catechismo [3].
Stando le cose a questo modo – dicevo – non varrebbe la pena di riaprire la discussione sul diritto di autodeterminazione dell’individuo, tanto meno con chi la pensa come D’Agostino, il quale è mandato a indignarsi proprio del fatto che qualcuno intenda discuterne, al punto da richiamare le autorità istituzionali – “e ce ne sono diverse che possiedono e dovrebbero riconoscersi e onorare una competenza in questo campo” – a prendere “posizione in merito”, cioè a vietare la messa in onda dello spot anche da emittenti private [4]. In pratica, di eutanasia non si potrebbe e non si dovrebbe discutere, né sulle reti nazionali, né su quelle private, perché deve essere scontato che sia “sempre da condannare e da escludere” (Catechismo, 2277). Eventualmente, si può discuterne solo per ribadire che non se ne può discutere. E tuttavia qualcosa da discutere c’è.
“Nello spot i fautori dell’eutanasia volontaria costruiscono un’immagine irreale e quindi ideologica dell’uomo, un’immagine nella quale il malato che «sceglie» la morte e chiede di essere ascoltato dal «governo» appare sereno, lucido, consapevole, coraggioso e quindi esemplarmente ammirevole: ma in tal modo [è sottratta] dignità, umiliandoli, a tutti i malati terminali che vivono la loro esperienza nella debolezza, nella solitudine, nella paura, nella fragilità e spesso nella disperazione, meritando paradossalmente il biasimo che va riservato ai pavidi, a chi non avendo il coraggio di chiedere l’eutanasia”.
È la condanna di un modello alternativo a quello proposto dalla Chiesa e pare che D’Agostino ne tema la concorrenza: pare evidente che il modello proposto dalla Chiesa possa avere successo solo in assenza di modelli alternativi. Non è prestato un gran servizio alla Chiesa: vince solo se corre da sola.
Non è chiaro, poi, perché debba definirsi “ideologico” il modello eutanasico e non quello che impone al malato terminale di tener duro sperando in un miracolo o per offrire le proprie sofferenze a Gesù: in entrambi i casi si tratta di una rappresentazione informata da valori assunti come irrinunciabili, ma perché i cattolici potrebbero rivendicarli tali per tutti, mentre ai non cattolici non sarebbe consentito di rivendicarli tali nemmeno per se stessi?
Ancora: le indicazioni statistiche in coda allo spot “sono inattendibili fino a che il termine [eutanasia] non sia rigorosamente precisato nel suo significato”. Come si dovrebbe precisarlo meglio? Eutanasia è eutanasia, e il 67,4% non ha esitato a esprimersi a favore, peraltro accanto a un 81,4% degli intervistati che si è dichiarato in favore del testamento biologico, che pure non sarebbe questione negoziabile per la Chiesa. E dunque che va cercando, D’Agostino? Gli brucia il culo che lo spot sia chiaro ed efficace, niente di più.
[1] In dettaglio, “ad essere favorevoli alla pratica dell’eutanasia sono soprattutto coloro che si identificano negli schieramenti di sinistra (76,5%) e centro-sinistra (69,7%) insieme a quanti non si riconoscono politicamente in nessuno degli schieramenti (67,7%). Ma anche coloro che si riconoscono nell’area politica di destra (68,9%) e di centro-destra (60,3%) esprimono alte percentuali su questo quesito. Appare contrario a tale pratica il 30,6% di coloro che rientrano nell’area politica di centro” (Eurispes, 2010).
[2] L’arroganza di costoro arriva al punto di pretendere che questo debba valere anche per chi non crede in Dio, e questa è solo una delle tante piccole ragioni che non ci consentono di rattristarci troppo quando arroganti di altro credo ne sgozzano qualcuno, perché in fondo si tratta di un regolamento di conti tra fetenti. Insomma, sì, dispiace un poco, ma solo fino a un certo punto: chi pretende di avere in pugno una verità assoluta che debba valere per tutti, prima o poi, è costretto a fare i conti con un altro prepotente che ha in pugno un’altra verità assoluta.
[3] Sul punto, l’eutanasia dovrebbe essere vietata senza meno, perché “gravemente contraria alla dignità della persona umana e al rispetto del Dio vivente, suo Creatore” (Catechismo, 2324). Tuttavia è evidente che, se la dignità umana è offesa anche quando viene “ideologicamente esaltata”, come afferma D’Agostino, il solo punto fermo sta nel rispetto verso Dio, che gli sarebbe dovuto anche da parte del non credente. [Si potrà obiettare che è così anche per l’omicidio, ma sarebbe un sofisma, perché non c’è bisogno di credere in Dio per trovare accordo sul fatto che non possa dichiararsi legittimo uccidere chi non voglia essere ucciso. È solo dando per scontato il valore relativo della dignità umana, e relativizzandola a bene che non appartiene all’individuo, ma a Dio, che può legittimarsi la condanna morale del suicidio e dell’omicidio in base allo stesso principio. Tutt’è chiamare o no un Dio a garante della dignità umana, come se fosse scontato che senza non vi sarebbero adeguate garanzie: è quanto effettivamente sta nel magistero morale della Chiesa, senza essere ragionevolmente dimostrato.]
[4] Non si spinge a chiederne anche la rimozione dal web e questo è davvero singolare. Si tratta di “uno spot – scrive – che introduce, in un dibattito delicatissimo come quello sulla fine della vita umana, una dimensione mediatico-pubblicitaria, assolutamente indebita, pensata evidentemente per orientare (non però attraverso l’argomentazione, ma attraverso l’emozione) le decisioni dei parlamentari che saranno presto chiamati a votare in via conclusiva sul disegno di legge sul fine vita”. I parlamentari guardano solo le tv locali e non hanno accesso al web? Non potrebbero essere emotivamente condizionati guardando lo spot su Youtube? Viene il sospetto che a D’Agostino bruci il culo per altra ragione.
[Sullo stesso editoriale di Francesco D’Agostino segnalo il lucido intervento di Luca Massaro.]
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