Buona sera. Domani è il gran giorno, il giorno fatale: comincia a Milano il processo Ruby. Centinaia di giornalisti da tutto il mondo arrivano lì per vedere se si può sputtanare ancora un po’ questo nostro martoriato paese. L’accusa è temeraria, goffa, ridicola: prostituzione.
La prima menzogna arriva dopo appena 30" (sigla di testa compresa). Sembra solo una banale imprecisione, perché l’accusa è di prostituzione minorile e di concussione, per Berlusconi, e di sfruttamento della prostituzione, per Mora, Fede e Minetti. La prostituzione – in sé – non è reato in Italia. Gli imputati non sono le prostitute passate per Villa San Martino, ma tre tizi che l’accusa sostiene le sfruttassero e un tizio che avrebbe pagato le prestazioni sessuali di una minorenne, abusando poi della sua carica istituzionale per sottrarla alla giustizia quando questa è stata fermata per furto, presumibilmente per assicurarsene il silenzio sull’illecito commercio sessuale. Domani, dunque, non si processa una puttana, né dieci, né cento, come Giuliano Ferrara cerca di insinuare, ma solo Berlusconi e i tre addetti a procurargli puttane. L’imputazione non è a carico delle donne pagate da Berlusconi, che infatti saranno chiamate in causa solo come testimoni; tanto meno è carico di Ruby, testimone e parte lesa. E allora come si può imbrogliare le carte? Facile.
[L’accusa] è a carico del Presidente del Consiglio e di un certo numero di suoi amici e amiche.
“Un certo numero”, ma quale? Se è 3 (Mora, Fede e Minetti), siamo d’accordo. Il fatto è, però, che “un certo numero” può significare dieci, trenta, trentatre e anche tutto il troiaio, sicché si sarebbe autorizzati a credere – se uno fosse tanto idiota da credere a Ferrara – che l’accusa sia di prostituzione, che il tribunale si stia ergendo ad autorità morale, e che il processo non serva a chiarire se Berlusconi abbia o no commesso i reati agli articoli 317 e 600-bis del Codice Penale, ma a stigmatizzare i costumi privati di libere cittadine. Se uno è tanto idiota, può allora convenire che
Però il vero contenuto del processo è un altro: è il diritto, che viene contestato, di alcune ragazze, di alcune giovani donne, di essere invitate a cena da un uomo ricco e potente, di sedurlo, di farsene sedurre mondanamente e di giocare con lui, privatamente, dentro le mura della sua casa. Questo diritto è in forte contestazione – è diventato un reato penale – e il pretesto è difendere la dignità della donna.
La minore età di Ruby? L’abuso di potere? Volatilizzati, puf! Il processo che si terrà domani dovrebbe servire a sanzionare delle allegre cene private, l’idiota è pregato di crederci. Se poi ci crede, è pronto al parallelismo.
Vediamo come la dignità della donna viene difesa nel mondo islamico. Ho trovato in un blog (camilloblog.it) di un mio caro amico giornalista un piccolissimo documentario che vi sottopongo: lì si spiega come fanno gli islamici, quelli del burqa, quelli del velo, quelli della sharia, la legge secondo cui la moglie può piccare il… il marito può picchiare la moglie – insomma, quelli che mantengono le donne nelle condizioni che sappiamo – come concepiscono loro storie simili. Pregherei la regia di mandare in onda questo meraviglioso docu-drama.
[Sorvoliamo sul lapsus. Dovremmo tirare in ballo la signora Selma e non sarebbe bello.] Veena Malik, soubrette pakistana, ha partecipato all’edizione indiana del Grande Fratello, e perciò è fatta oggetto di una fatwa in diretta televisiva. La vicenda ha qualche relazione col processo che si apre domani? Nessuna, ovviamente. Se però siamo riusciti a spostare sulle puttane l’attenzione che abbiamo distolto dal puttaniere e dai magnaccia, che ci vuole a trasformare le prestazioni sessuali a pagamento in simpatiche cenette? Se ci si riesce, abbiamo fatto credere che domani, a Milano, si processano delle ragazze che non hanno commesso alcun reato – cosa che è comunque vera perché non lo è neanche il prostituirsi – e che a muovere la magistratura sia un’urgenza morale, affine a quella dei tribunali coranici. Ehi, tu, idiota, ascolta.
Ecco. Da una parte c’è un giornalista tipo Gad Lerner, il famoso giornalista de La7 che fa una trasmissione dietro l’altra per dire che Berlusconi è un nemico della dignità delle donne; dall’altro c’è un mufti o imam islamico, che dice «hai disonorato il Pakistan» a questa ragazza che ha il solo torto di essere andata al Grande Fratello. È andata in India per emanciparsi da una vita che non le piaceva. Si è messa un po’ in libertà – non proprio con il burqa, come si vede – ed è andata a fare il Grande Fratello, e partecipa al mondo colorito e colorato dello spettacolo. Il mufti, che assomiglia molto ad alcuni giudici che io conosco, gli dice «tu sei il disonore della patria», e crea lo scandalo moralistico per questa donna che cerca di esercitare come desidera la propria libertà, se non la propria dignità.
Non sei mosso a indignazione, idiota, nel sapere che domani, a Milano, sarà fatto il tentativo di applicare la sharia all’allegra compagnia di Arcore? Non ti fa pena sapere che al povero Apicella potrebbero essere riservate trenta nerbate? Chiediti, idiota, perché può accadere una roba del genere. Non ci riesci? Aspetta che a guidarti c’è sempre Ferrara.
Ora, vedete, io capisco che ci sia scandalo, perché la ricchezza fa sempre scandalo, il potere fa sempre scandalo, gli usi e i costumi privati di un potente sono sempre oggetto – insieme – da un lato di ammirazione e dall’altro di invidia, e poi di spirito critico o ipercritico. La ricchezza è una cosa che tutti dannano e molti desiderano, è un modo di compensare i talenti che tutti auspicano possa [?] arrivare per sé. Sappiamo di due clamorosi critici del Presidente del Consiglio – il comico David Riondino e l’attrice comica Sabina Guzzanti – che hanno affidato i loro risparmi a un finanziere che prometteva loro il 20% di interessi, non so se mi spiego. Insomma, la ricchezza è traditrice per i moralisti: la dannano e supplicano il cielo che arrivi anche per loro.
Ci arrivi, cocco? Bravo, proprio così: è tutta colpa dell’invidia, che è sentimento – insieme – atroce e ridicolo. E certi magistrati – ahinoi! – amministrano la giustizia in nome dell’invidia sociale. Infatti, ascolta come chiude questa esemplare puntata di Qui Radio Londra e poi decidi come schierarti.
Nessuno vuole qui fare l’apologia di Ruby, né l’apologia di Berlusconi e delle sue cene private. Il punto è un altro. Il punto è che quella ragazza che avete visto nel filmato è come la signora Karima el Maghroub, in arte Ruby. È una giovane donna che ha scelto un uso spregiudicato, criticabile quanto volete, ma libero, della sua vita, anche per emanciparsi da costrizioni e regole che rifiutava. E ha incontrato sulla sua strada un giocoliere galante – il Presidente del Consiglio – che ha organizzato delle cene per lei e per molte sue amiche. Il che è diventato – temerariamente – un reato penale meritevole di processo, di sputtanamento del paese ed eventualmente – perché no – di galera.
Vuoi vestire i panni del mufti? Dev’essere l’invidia, che altro? E ancora, come in apertura, torna lo “sputtanamento del paese”. Un paese pieno di giocolieri galanti. Chiamati a solidarizzare con l’imputato, non foss’altro che per amor patrio. Vogliamo che Milano diventi Islamabad? Sì? O tempora, o mores.
Così vanno le cose. A domani.
Domani non posso. Stasera era troppo.