Piergiorgio Welby e Gabriele Cagliari sono morti entrambi per asfissia, entrambi suicidi, entrambi allegando al loro gesto un significato che esorbitava dal privato, per farsi atto civile, cosa nobilmente politica, sennò – come ritengono taluni, ma non per entrambi – gesto scandaloso, contro natura e contro Dio. Eccolo lì, Ferrara. Parla di Cagliari: un tale che pensava alla sua vita come a cosa sua, e che ne dispose liberamente, proprio come Welby avrebbe fatto da solo, se ne avesse avuto la possibilità. Sappiamo com’è andata: ci fu bisogno di qualcuno che l’aiutasse. Anche Cagliari, però, perché qualcuno deve averglielo pur dato quel sacchetto di cellophane. Quasi un suicidio assistito. E allora in cosa – asfissia per asfissia – Cagliari è nobile e Welby no? In cosa il suicidio dell’uno merita rispetto, toni sussiegosi, vocione da cerimonia, e l’altro può essere additato a crimine contro l’intera umanità?
Basta calarsi un attimino nella sfera morale di Ferrara – solo un attimino, sennò le esalazioni vi stendono – e lì vedrete Cagliari che può e Welby che non può: come al solito, è il potere che merita rispetto.
Neanche mi ci avvicino, figuriamoci calarmi. Meglio il pozzo nero di un condominio.
RispondiEliminaA me sembra che Ferrara non abbia "gradito" il suicidio di Monicelli, che aveva potere di portare a termine la sua idea di fine vita.
RispondiEliminaQuindi magari bisogna spostare l'obiettivo sulla modalità o i mezzi. Sacchetto sì, finestra no?
O c'è dell'altro?