sabato 9 aprile 2011

Panopticon



Nell’uso della metafora è inevitabile un minimo di violenza all’oggetto dal quale si piglia a prestito l’immagine, ma certe volte si esagera, e la violenza gli sfigura i connotati. È il caso del Panopticon, il modulo architettonico concepito da Jeremy Bentham a soluzione di alcuni problemi del regime di sorveglianza in convitti, collegi, ospedali, carceri, ecc. Basta leggere il testo, che è del 1787 (pubbl. 1791), per trovarci la filosofia e il metodo: tutto è “as much advantage as to convicts” (Panopticon, XVII).
Bene, occorre dire che l’oggetto è già discretamente mortificato dall’uso metaforico che fa Michel Foucault (Surveiller et punir, 1975): il Panopticon diventa solo carcere, e solo una delle sue funzioni, la sorveglianza, va a esaurirne il fine.
Subisce altra violenza da Shoshana Zuboff (In the Age of the Smart Machine, 1988), che prende l’immagine così lavorata da Michel Foucault per usarla come metafora del controllo informatico della produzione nella società post-industriale.
Così deformato, il Panopticon arriva sulle pagine di Government Technology (11.9.2007) per fare da metafora alla censura dell’informazione che il regime cinese attua sulla rete di internet.
Di qui passa nelle mani di William Gibson: “Jeremy Bentham’s Panopticon prison design is a perennial metaphor in discussions of digital surveillance and data mining, but it doesn’t really suit an entity like Google” (The New York Times, 31.8.2010). Qui, la violenza che l’uso della metafora fa all’oggetto sembrerebbe attenuarsi, perché si spiega che “in Google, we are at once the surveilled and the individual retinal cells of the surveillant” (più Anopticon che Panopticon, dunque, o entrambe le cose insieme). Sembra finalmente che a Bentham sia concessa un po’ di tregua, ma...

Ma ecco che arriva Daniele Capezzone col suo Contro Assange, oltre Assange (in abbinamento facoltativo a il Giornale di qualche giorno fa, pagg. 80, € 2,80, non un’idea, dicasi una): “È stato lo scrittore di fantascienza William Gibson a descrivere le cose nei termini più efficaci e insieme inquietanti: siamo arrivati ad una sorta di potenziamento all’inverosimile del Panopticon pensato da Jeremy Bentham, il carcere ideale dotato di forma e caratteristiche tali da consentire ad un unico guardiano di vedere tutti i prigionieri, senza che questi ultimi possano sapere se siano sorvegliati o no. Qui, invece, ognuno di noi è guardiano e prigioniero nello stesso tempo, concentrando in sé tutto il potere della prima figura e tutta la nudità della seconda” (pagg. 31-32).
E dunque, al pari di Gibson, Capezzone sembrerebbe voler dare a Bentham quel che è di Bentham, restituendo l’immagine all’oggetto e rinunciando a deformarla in modo improprio. Sembrerebbe anche un gesto carino da parte di chi si ostina a definirsi liberale, e quindi dovrebbe aver letto Bentham, almeno per simulare con un minimo di decenza. Ma è solo una finta e in copertina – voilà – il Panopticon. Che con Wikileaks, con Wikipedia, con Google e con Internet – si era convenuto a pagg. 31-32 – non c’entra niente. Ma sta lì, in copertina, sotto il titolo.



Per questo, se potesse, Bentham prenderebbe a schiaffoni Capezzone? Non per questo, non per questo.

Più nulla è inverosimile ormai

 

Una delle domande delle cento pistole che stasera Daria Bignardi ha posto a Carlo Conti era la seguente: “Gerry Scotti: Presidente della Repubblica, si o no?”. Ero lì tutto schifato da una domanda così scema – pensavo: poi sfottiamo Barbara D’Urso e Anna La Rosa per la fatuità che stendono ai piedi dei loro ospiti, ma a questa qui qualcuno scrive le domande, o se le scrive da sola? – e la risposta mi ha fatto trasalire: “Sì, così mi fa Presidente del Consiglio”.

C’era dell’ironia, senza dubbio, ma non siamo il paese dove una sciampista può diventare ministro? E non è proprio questo il bello della democrazia? Gerry Scotti al Quirinale e Carlo Conti a Palazzo Chigi, che c’è di inverosimile? Più nulla è inverosimile ormai, siamo in overdose del bello della democrazia, e nessuno può escludere che il sorriso di Daria Bignardi alla risposta di Carlo Conti possa finire in un documentario storico di fine secolo, questo secolo.

 

 

venerdì 8 aprile 2011

[...]





Luogo e data di emissione



Il Foglio pubblica gli assegni che dimostrerebbero il versamento della caparra per l’acquisto di Villa Due Palme in località Cala Francese, a Lampedusa. La giurisprudenza non è univoca sul punto, ma pare prevalente l’indirizzo a non ritenere validi gli assegni privi di luogo e data di emissione, che qui mancano.


[un grazie a Simone Zaccagnini]

giovedì 7 aprile 2011

L’aiuto della Chiesa alla popolazione giapponese

 

L’Osservatore Romano di domani ci spiega in cosa consista L’aiuto della Chiesa alla popolazione giapponese, che è l’altisonante titolo dell’articolo. Tutto come sempre, niente di nuovo. La Santa Sede, che anche stavolta di suo non caccia un euro, destina i proventi di una colletta, che verrà effettuata durante la messa in Cena Domini che Benedetto XVI celebrerà il Giovedì Santo”, alle “vittime del terremoto e del maremoto nella regione dell’Honshu orientale”, cioè al titolare di quella diocesi, il quale userà la somma “per aiutare persone in difficoltà, per riparare le chiese, per ricostruire le case”. In pratica, come sempre, l’aiuto della Chiesa alla popolazione giapponese consisterà nel raccogliere denaro fra i fedeli laici all’altro capo del mondo per far fronte alle urgenze della lontana diocesi giapponese, intesa come succursale della Santa Sede in Estremo Oriente, e infatti il vescovo di Sendai ringrazia a nome dei “cattolici del Giappone”, ai quali andrà quanto non servirà a costruire chiese nuove e case destinate al clero senzatetto.

L’aiuto non è al Giappone, ma alla chiesa cattolica giapponese. Non viene dalla Santa Sede, se non come frutto della colletta che ha organizzato. Non arriverà in Giappone prima del 21 aprile, e dunque non risponderà alle prime necessità, che sono quelle più drammatiche, ma alle seconde e alle terze. Volontari cattolici spaleranno fango, come probabilmente faranno pure i volontari non cattolici, ma lo faranno da cattolici, coordinati dal vescovo, e dunque il merito andrà alla diocesi. L’articolo è illuminante, ma il titolo non va bene. Sarebbe stato più corretto dire Anche in Giappone, la Chiesa è sempre uguale a se stessa.

 

Non siate facilisti, non siate ipocriti


Sì, duecento e passa migranti sono affogati nel Canale di Sicilia, e questo muove a compassione, ma “soffrire con gli altri e per gli altri è molto complicato – avverte Giuliano Ferrara – se non si voglia essere facilisti e ipocriti”. Erano eritrei e somali, mica embrioni.

mercoledì 6 aprile 2011

En passant

Ho dato incarico ai miei legali di presentare formale denuncia-querela per il reato di diffamazione aggravata ai miei danni, e con l’intenzione di costituirmi parte civile, in attinenza a quanto leggo, oggi, su pontifex.roma.it, in un post nel quale vengo pubblicamente indicato, e fin dal titolo, con l’ingiurioso epiteto di “seminatore di odio contro i cristiani”.

Stasera era troppo



Buona sera. Domani è il gran giorno, il giorno fatale: comincia a Milano il processo Ruby. Centinaia di giornalisti da tutto il mondo arrivano lì per vedere se si può sputtanare ancora un po’ questo nostro martoriato paese. L’accusa è temeraria, goffa, ridicola: prostituzione.

La prima menzogna arriva dopo appena 30" (sigla di testa compresa). Sembra solo una banale imprecisione, perché l’accusa è di prostituzione minorile e di concussione, per Berlusconi, e di sfruttamento della prostituzione, per Mora, Fede e Minetti. La prostituzione – in sé – non è reato in Italia. Gli imputati non sono le prostitute passate per Villa San Martino, ma tre tizi che l’accusa sostiene le sfruttassero e un tizio che avrebbe pagato le prestazioni sessuali di una minorenne, abusando poi della sua carica istituzionale per sottrarla alla giustizia quando questa è stata fermata per furto, presumibilmente per assicurarsene il silenzio sull’illecito commercio sessuale. Domani, dunque, non si processa una puttana, né dieci, né cento, come Giuliano Ferrara cerca di insinuare, ma solo Berlusconi e i tre addetti a procurargli puttane. L’imputazione non è a carico delle donne pagate da Berlusconi, che infatti saranno chiamate in causa solo come testimoni; tanto meno è carico di Ruby, testimone e parte lesa. E allora come si può imbrogliare le carte? Facile.

[L’accusa] è a carico del Presidente del Consiglio e di un certo numero di suoi amici e amiche.

“Un certo numero”, ma quale? Se è 3 (Mora, Fede e Minetti), siamo d’accordo. Il fatto è, però, che “un certo numero” può significare dieci, trenta, trentatre e anche tutto il troiaio, sicché si sarebbe autorizzati a credere – se uno fosse tanto idiota da credere a Ferrara – che l’accusa sia di prostituzione, che il tribunale si stia ergendo ad autorità morale, e che il processo non serva a chiarire se Berlusconi abbia o no commesso i reati agli articoli 317 e 600-bis del Codice Penale, ma a stigmatizzare i costumi privati di libere cittadine. Se uno è tanto idiota, può allora convenire che

Però il vero contenuto del processo è un altro: è il diritto, che viene contestato, di alcune ragazze, di alcune giovani donne, di essere invitate a cena da un uomo ricco e potente, di sedurlo, di farsene sedurre mondanamente e di giocare con lui, privatamente, dentro le mura della sua casa. Questo diritto è in forte contestazione – è diventato un reato penale – e il pretesto è difendere la dignità della donna.

La minore età di Ruby? L’abuso di potere? Volatilizzati, puf! Il processo che si terrà domani dovrebbe servire a sanzionare delle allegre cene private, l’idiota è pregato di crederci. Se poi ci crede, è pronto al parallelismo.

Vediamo come la dignità della donna viene difesa nel mondo islamico. Ho trovato in un blog (camilloblog.it) di un mio caro amico giornalista un piccolissimo documentario che vi sottopongo: lì si spiega come fanno gli islamici, quelli del burqa, quelli del velo, quelli della sharia, la legge secondo cui la moglie può piccare il… il marito può picchiare la moglie – insomma, quelli che mantengono le donne nelle condizioni che sappiamo – come concepiscono loro storie simili. Pregherei la regia di mandare in onda questo meraviglioso docu-drama.

[Sorvoliamo sul lapsus. Dovremmo tirare in ballo la signora Selma e non sarebbe bello.] Veena Malik, soubrette pakistana, ha partecipato all’edizione indiana del Grande Fratello, e perciò è fatta oggetto di una fatwa in diretta televisiva. La vicenda ha qualche relazione col processo che si apre domani? Nessuna, ovviamente. Se però siamo riusciti a spostare sulle puttane l’attenzione che abbiamo distolto dal puttaniere e dai magnaccia, che ci vuole a trasformare le prestazioni sessuali a pagamento in simpatiche cenette? Se ci si riesce, abbiamo fatto credere che domani, a Milano, si processano delle ragazze che non hanno commesso alcun reato – cosa che è comunque vera perché non lo è neanche il prostituirsi – e che a muovere la magistratura sia un’urgenza morale, affine a quella dei tribunali coranici. Ehi, tu, idiota, ascolta.

Ecco. Da una parte c’è un giornalista tipo Gad Lerner, il famoso giornalista de La7 che fa una trasmissione dietro l’altra per dire che Berlusconi è un nemico della dignità delle donne; dall’altro c’è un mufti o imam islamico, che dice «hai disonorato il Pakistan» a questa ragazza che ha il solo torto di essere andata al Grande Fratello. È andata in India per emanciparsi da una vita che non le piaceva. Si è messa un po’ in libertà – non proprio con il burqa, come si vede – ed è andata a fare il Grande Fratello, e partecipa al mondo colorito e colorato dello spettacolo. Il mufti, che assomiglia molto ad alcuni giudici che io conosco, gli dice «tu sei il disonore della patria», e crea lo scandalo moralistico per questa donna che cerca di esercitare come desidera la propria libertà, se non la propria dignità.

Non sei mosso a indignazione, idiota, nel sapere che domani, a Milano, sarà fatto il tentativo di applicare la sharia all’allegra compagnia di Arcore? Non ti fa pena sapere che al povero Apicella potrebbero essere riservate trenta nerbate? Chiediti, idiota, perché può accadere una roba del genere. Non ci riesci? Aspetta che a guidarti c’è sempre Ferrara.

Ora, vedete, io capisco che ci sia scandalo, perché la ricchezza fa sempre scandalo, il potere fa sempre scandalo, gli usi e i costumi privati di un potente sono sempre oggetto – insieme – da un lato di ammirazione e dall’altro di invidia, e poi di spirito critico o ipercritico. La ricchezza è una cosa che tutti dannano e molti desiderano, è un modo di compensare i talenti che tutti auspicano possa [?] arrivare per sé. Sappiamo di due clamorosi critici del Presidente del Consiglio – il comico David Riondino e l’attrice comica Sabina Guzzanti – che hanno affidato i loro risparmi a un finanziere che prometteva loro il 20% di interessi, non so se mi spiego. Insomma, la ricchezza è traditrice per i moralisti: la dannano e supplicano il cielo che arrivi anche per loro.

Ci arrivi, cocco? Bravo, proprio così: è tutta colpa dell’invidia, che è sentimento – insieme – atroce e ridicolo. E certi magistrati – ahinoi! – amministrano la giustizia in nome dell’invidia sociale. Infatti, ascolta come chiude questa esemplare puntata di Qui Radio Londra e poi decidi come schierarti.

Nessuno vuole qui fare l’apologia di Ruby, né l’apologia di Berlusconi e delle sue cene private. Il punto è un altro. Il punto è che quella ragazza che avete visto nel filmato è come la signora Karima el Maghroub, in arte Ruby. È una giovane donna che ha scelto un uso spregiudicato, criticabile quanto volete, ma libero, della sua vita, anche per emanciparsi da costrizioni e regole che rifiutava. E ha incontrato sulla sua strada un giocoliere galante – il Presidente del Consiglio – che ha organizzato delle cene per lei e per molte sue amiche. Il che è diventato – temerariamente – un reato penale meritevole di processo, di sputtanamento del paese ed eventualmente – perché no – di galera.

Vuoi vestire i panni del mufti? Dev’essere l’invidia, che altro? E ancora, come in apertura, torna lo “sputtanamento del paese”. Un paese pieno di giocolieri galanti. Chiamati a solidarizzare con l’imputato, non foss’altro che per amor patrio. Vogliamo che Milano diventi Islamabad? Sì? O tempora, o mores.

Così vanno le cose. A domani.

Domani non posso. Stasera era troppo.

martedì 5 aprile 2011

Nato ieri

Saggio di eroismo

Il presidente della Federazione Internazionale dei Medici Cattolici, il dottor José María Simón Castellví, dice che i ginecologi cattolici sono da considerare “autentici eroi” per le “grandi pressioni” che subiscono al giorno d’oggi (zenit.org, 4.4.2011). Come dargli torto?

Aborto?
“Spiacente, sono obiettore”.

Pillola?
“Spiacente, sono obiettore”.

Ma non ho specificato che tipo di pillola…
“Non c’è bisogno: la mia coscienza pone obiezione su tutte quelle che dice lei”.

Spirale?
“La spirale uccide l’embrione”.

Cerotto transdermico? Anello vaginale? Diaframma?
“Spiacente”.

Preservativo?
“Non c’è bisogno di prescrizione, ma le consiglio una farmacia cattolica”.

Ma lì non li vendono.
“Vorrà mica che il farmacista si metta sotto i piedi la coscienza?”.

Sterilizzazione tubarica?
“La Congregazione per la Dottrina della Fede non approva”.

Suppongo sia la stessa cosa per la vasectomia?
“Non saprei, ma posso consigliare a suo marito un urologo cattolico di mia fiducia... Stasera ci vediamo per il rosario, vuole che gliene parli?”.

Lasci perdere, ho cambiato idea: voglio un bambino, ma non arriva. Fecondazione assistita?
“Di nessun tipo: offende Dio”.

Non ha importanza, sono già incinta. Amniocentesi? Ecografia?
“Solo se mi assicura che non prende decisioni moralmente illecite in base ai risultati”.

Dottore, può almeno vaccinare mia figlia contro il Papillomavirus?
“La vogliamo incoraggiare a diventare una troia?”.

Dottore…
“Basta, la prego. Lei mi sta sottoponendo a pressioni insostenibili...”.

Mi scusi, non volevo, ma è che...
“Fa niente, non si scusi... In fondo, voi donne avete l’anima da soli cinque secoli...”.

  


lunedì 4 aprile 2011

Mica so' tutti pedofili

Don Ruggiero Badiale, per esempio, no.

Potere e no


Piergiorgio Welby e Gabriele Cagliari sono morti entrambi per asfissia, entrambi suicidi, entrambi allegando al loro gesto un significato che esorbitava dal privato, per farsi atto civile, cosa nobilmente politica, sennò – come ritengono taluni, ma non per entrambi – gesto scandaloso, contro natura e contro Dio. Eccolo lì, Ferrara. Parla di Cagliari: un tale che pensava alla sua vita come a cosa sua, e che ne dispose liberamente, proprio come Welby avrebbe fatto da solo, se ne avesse avuto la possibilità. Sappiamo com’è andata: ci fu bisogno di qualcuno che l’aiutasse. Anche Cagliari, però, perché qualcuno deve averglielo pur dato quel sacchetto di cellophane. Quasi un suicidio assistito. E allora in cosa – asfissia per asfissia – Cagliari è nobile e Welby no? In cosa il suicidio dell’uno merita rispetto, toni sussiegosi, vocione da cerimonia, e l’altro può essere additato a crimine contro l’intera umanità?
Basta calarsi un attimino nella sfera morale di Ferrara – solo un attimino, sennò le esalazioni vi stendono – e lì vedrete Cagliari che può e Welby che non può: come al solito, è il potere che merita rispetto.


“Jesus as an openly gay man”


Michael Ruse sostiene che si possa ritenere “Jesus as an openly gay man” (guardian.co.uk, 4.4.2011), e da quanto e come riferisce dei codici paleocristiani trovati qualche anno fa nel nord della Giordania siamo autorizzati a tradurre “openly” in “manifestamente”. Da molti passi di quest’ennesimo vangelo, infatti, parrebbe più che lecito desumere che l’omosessualità di Gesù e dei suoi accoliti non fosse solo costume della setta, ma vera e propria cifra della dimensione comunitaria, peculiarmente caratterizzata da una omofilia di tipo cenacolare, tendenzialmente fusionale, forse paraorgiastico: a vicende che già avevamo trovato nei sinottici, e che qui si presterebbero assai bene ad una lettura del genere, ne emergono di nuove che parrebbero legittimarla, perfino incoraggiarla.
Fra qualche anno dovremmo poterci mettere gli occhi sopra e sarà meglio rimandare ad allora ogni altra considerazione, ma sempre tenendo conto che ogni nuova lettura del mito non fa che riscriverlo. Di là da quanto e come i codici autorizzino a ritenere valida questa lettura, tuttavia, è assodato che si tratti di documenti antecedenti o contemporanei al più antico dei sinottici, scritti in ebraico e su tavolette di piombo, a dar prova di fonte attendibile e non inquinata. Poco importa: quand’anche fosse possibile dimostrare l’attendibilità della fonte e la legittimità di una lettura come quella suggerita da Michael Ruse, si tratterebbe comunque di un vangelo destinato ad essere considerato come apocrifo, anche se si potesse esser certi che nel tempo e nello spazio abbia visto luce più vicino a Gesù di quanto siano i sinottici. Nessuna lettura è possibile, se non piace a chi si proclama mito vivente. “Jesus as a gay man”, chissà, forse. “Openly”, non se ne parla.

Yeah! Yeah!


L’idea era quella di commentare le sue solite stronzate del lunedì, ma stavolta già il titolo mi ha scoraggiato: “Noi prigionieri dell’ingombro dell’io, la chiesa no” (Il Foglio, 4.4.2011). Se la geometria solida non è un’opinione, come cazzo si fa ad essere “prigionieri” di un “ingombro”? Insomma, ho lasciato perdere. Meglio il Ferrara beat.

 
 

domenica 3 aprile 2011

Il ritocco



Dico subito che a rattoppare insieme due video avrei dato più immediatezza e forza alle fonti, con un post più snello. Me ne scuso, ma non sono riuscito a trovare il video – se c’è – della dichiarazione fatta l’altrieri da Silvio Berlusconi e riportata da Il Sole-24Ore di ieri: “Abbiamo 9.000 comuni. Se restassero qui 9.000 nuovi cittadini, basterebbe distribuirne uno per comune e potremmo trovare lavoro a una persona in ogni comune”. Né sono riuscito a recuperare lo spezzone dell’ultima puntata di Anno Zero (ma potrebbe essere anche Ballarò) nel quale la stessa idea – fatta eccezione per il numero: 8.000 – trova paternità in un anonimo di Lampedusa (ma potrebbe essere anche di Manduria).
Nel dare il suo tocco personale ad un’idea che dev’essergli sembrata geniale nella sua sferica semplicità, l’ometto dà ennesima dimostrazione di come mette a frutto ciò che ruba: non sa che i comuni d’Italia sono 8.094 e l’errore in difetto di 94 gli diventa in mano un errore in eccesso di 906. Che poi, a pensarci bene, è la stessa proporzione tra i debiti che aveva prima di scendere in politica e gli utili che si ritrova 17 anni dopo.


Per una alternativa seria e costruttiva


Alle opposizioni mancano argomenti efficaci. Per esempio, da facile e rapida ricerca nei forum di settore risulta che l’ultima di Berlusconi fosse considerata vecchia già nel 2003. Invece che indignarsi per un premier che si intrattiene con gli amministratori locali di una Regione che è allo sfascio raccontando storielle di pessimo gusto, con mezza Italia che ne ride e l’altra metà che si sforza di non farlo, la questione andrebbe posta in altro modo: possiamo lasciare la guida del Paese a uno che si limita a ritoccare barzellette della Prima Repubblica?

La smania


Il professionista della politica non va mai davvero in pensione, neanche quando ci va di sua spontanea volontà, che peraltro è cosa assai rara. In un individuo che per decenni abbia svolto attività politica da professionista è praticamente impossibile estinguerne del tutto il bisogno, perché quella politica è una delle attività umane che tende a prendere tutta intera la vita di un individuo, fin quasi a coincidere in essa, com’è per tutto ciò che attiva dipendenza e coazione. Anche chi da citrullo teorizza la rottamazione di una classe politica, che in realtà è possibile solo neutralizzandola, non si nasconde questa verità, e immagina per i rottamati una pensione non del tutto lontana dall’attività politica professionale, alla sezione archivio: due volte citrullo perché una classe politica può essere neutralizzata solo seppellendola, e poi la sezione archivio è sempre ad un passo dalla stanza dei bottoni.
Se “la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi”, la politica è guerra che non si serve di mezzi cruenti, ma sempre guerra è, e non si è mai visto un generale in pensione senza opinioni sulla guerra in corso, smanioso di renderle efficaci.
Si prenda il caso del cardinal Ruini, che alla politica ha dato più di vent’anni: teoricamente è in pensione, ma smania dalla voglia di ribadire le sue opinioni su come vada usato l’esercito dei christifideles laici. In apparenza, sembra ristarsene buono buono alla sezione archivio, sembra star lì a ristudiare la Gaudium et spes e la Deus caritas est, il discorso che Giovanni Paolo II tenne a Loreto nel 1985 e quello che Benedetto XVI tenne l’anno scorso al Pontificio Consiglio per i Laici, ma smania. E chiudendo l’intervento tenuto a Riva del Garda l’altrieri, che qui proveremo ad analizzare, dice: “Concludo accennando alla questione che più mi preoccupa per il futuro del cattolicesimo in Italia: quella degli orientamenti culturali e delle scelte e stili di vita dei giovani. Tra dieci o venti anni, cioè, potremo avere ancora quel giudizio sostanzialmente positivo sulla vitalità del cattolicesimo italiano che mi sono azzardato ad esprimere riguardo all’oggi? Rendere possibile una risposta positiva non è compito da addebitarsi primariamente a chi fa politica. Tuttavia anche la politica e l’azione di governo hanno qui una responsabilità, sia pure per così dire «indiretta». Perciò vorrei chiedere anche a voi, come politici cattolici, di non sorvolare su questo interrogativo inquietante”.
È sulla “responsabilità «indiretta»” che Sua Eminenza smania, come a ribadire le linee della stagione politica alla quale ha legato la sua vita, quella del cosiddetto Progetto Culturale. Fa una pena, il Ruini. Si parva licet, sembra Rino Formica. Sembra il Massimo D’Alema che vorrebbe quel tre-volte-citrullo di Matteo Renzi, che fa politica già da 17 anni e non è riuscito a seppellire neanche Lapo Pistelli, che la fa da 24 anni. Ma non scendiamo troppo in basso e risaliamo a Ruini.

[segue]

venerdì 1 aprile 2011

Di tutto un po’ (Confessioni di un blogger stanco)




Avevo avuto l’impressione che Ignazio La Russa non avesse mandato a fare in culo Gianfranco Fini, ma un deputato che gli aveva dato del fascista dall’emiciclo alla sua destra (spalti alti appaltati alle supercazzole del centrosinistra). Sbagliavo, perché La Russa ha implicitamente ammesso di averci mandato proprio Fini: “Al ministro è stato chiesto se avesse incontrato il presidente della Camera, Gianfranco Fini, con il quale, l’altro ieri, ha avuto una accesa discussione… «Oggi qui non c’era», si è limitato a dire La Russa facendo intendere che con Fini non c’è stato alcun faccia a faccia” (Agcom, 1.4.2011), non già che un incontro non abbia motivo d’esserci.
Sbagliavo, e meno male che mi sono risparmiato un post a cazzo di cane. Però confesso che, dopo aver realizzato quale figuraccia avevo rischiato, sono stato tentato dallo scriverne uno nel quale, tacendo del mio errore, spiegavo che il mandarsi a fare in culo in Parlamento è cosa grave in sé, e che non ha importanza chi ci manda chi, e che, fossi il Capo dello Stato, scioglierei il Parlamento ai sensi dell’art. 88 della Costituzione…
Troppo, eh? Infatti, l’ho pensato anch’io. Mi sono reso conto che stavo pagando un prezzo troppo alto alla vergogna di aver stravisto il video, e mi sono risparmiato un altro post a cazzo di cane.

[Poi si parla di noi blogger come di irresponsabili. Ci sono professionisti che scrivono articoli a cazzo di cane, pretendendo pure che la realtà si adatti a quello che hanno stravisto, sennò che si adatti al principio che giustifica lo stravedere, e scrivono, pure di getto, e non provano due grammi di vergogna.
Quel trombone di Ferrara, per esempio. Questa sera faceva ballare il suo triplo mento e diceva che Gheddafi “girava con le sue tende, diceva le cose sue sbrasate, si faceva baciare la mano…”. Gheddafi “si faceva” baciare la mano? Andava in giro con la mano sollevata a portata di bacio – così deve aver stravisto il famoso video, Ferrara – e fra i tanti che gli sono capitati a tiro c’era pure Berlusconi, che un poco preso alla sprovvista gliel’ha baciata. Conclusioni? Io che sono un blogger, in quanto blogger, sarei una merda – Ferrara sarebbe il professionista.
Ma della puntata di Qui Radio Londra andata in onda stasera parlerò a parte, perché il Ferrara che si lamenta dei 40 civili morti a Tripoli sotto il fuoco della Nato, dopo aver fatto spallucce alle centinaia di migliaia di civili iracheni morti sotto i bombardamenti del suo Bush, be’, merita un’attenzione particolare. Anzi, no, voglio risparmiarmi pure un altro post su Qui Radio Londra [*].Volevo parlare d’altro e qui divagavo. Metto questo capoverso tra parentesi e proseguo.]

Sbagliavo, dicevo, perché La Russa ha mandato a fare in culo proprio Gianfranco Fini. E allora, volendo dedicarmi all’onorevole (si fa per dire) Massimo Polledri e all’episodio del quale è stato protagonista a Montecitorio – gli è stata attribuita la seguente frase rivolta ad una parlamentare portatrice di handicap: “Stai zitta, handicappata del cazzo” – non ho voluto commettere alcuna leggerezza, ché ho un orgoglio delicatissimo. E allora sono andato a informarmi lungamente sul suddetto.
Cattolicissimo, pare. Particolarmente impegnato nelle tematiche bioetiche, pare. L’ho seguito su Youtube in un soffice duetto con monsignor Rino Fisichella in difesa dei soggetti in stato vegetativo permanente (mi fa schifo linkarlo, andate a cercarvelo), e l’ho visto annuire con tutta l’anima quando Sua Eccellenza diceva che “stato vegetativo permanente” è espressione brutta, perché chi è in coma da trent’anni è persona viva, degna del massimo rispetto, eccetera.
Com’è possibile – mi son chiesto – che a uno così possa scappare di bocca una frase come quella che gli è stata attribuita? Stavolta non mi faccio fottere dalle apparenze – mi sono detto – e come prima cosa vado a leggere le dichiarazioni del diretto interessato. Può darsi non si sia rivolto all’Argentin – è la prima cosa che ho ipotizzato – ma a quel cerebroleso del Bossi.

E invece no. «Voglio rinnovare le mie più sentite scuse alla collega Ileana Argentin per aver ferito la sua sensibilità a causa di un increscioso equivoco. Quanto accaduto ieri in Aula altro non è stato che un inopportuno commento a un’affermazione male interpretata di un collega. Un riflesso condizionato dal clima teso che si respirava in quel momento in Aula. Purtroppo, come spesso accade nel tritacarne mediatico, la frase “ha ragione” pronunciata da me è stata trasformata in altre espressioni offensive che a mio giudizio, ma verificheremo, non sono state mai pronunciate da nessuno. Mi auguro che Argentin accetti le mie scuse e voglia mettere una pietra sopra su quello che è stato un increscioso equivoco» (Asca, 1.4.2011).
E che cazzo mi significa? C’è stato un “increscioso equivoco”, però si scusa. Dice di non aver pronunciato la frase che gli attribuiscono, però chiede una attenuante in ragione del “clima teso”. E poi quale sarebbe la parte della frase “stai zitta, handicappata del cazzo” che può essere strasentita al posto di un “ha ragione”?
Basta, troppo complicato per un povero blogger. Potrei finire col dare del pezzo di merda al Polledri e aggiungerci che l’essere cattolicissimo non è indispensabile per esserlo, ma aiuta. E poi Polledri mi denuncia. E poi i cattolici mi danno del cristianofobo. E io già sono così stanco, ma così stanco, ma così stanco, ma così stanco.


[*] Ecco, c’è Luca Massaro che ne ha appena scritto uno che sottoscrivo, così non buco l’evento.

Così di suo


Alessandro Gilioli chiede a Ignazio La Russa: “Il signor ministro sarebbe disponibile a offrire un suo capello alla scienza per mettere fine a tutte le malevolenze sul suo stato di alterazione?”. Ora, tutti sanno che le sostanze psicotrope in grado di produrre stati di alterazione del tipo di cui è affetto il signor ministro provocano tutte una significativa midriasi, e basta farsi un giretto su Google per constatare che La Russa non è mai in midriasi, nemmeno quando dà il peggio di se stesso: è così di suo. Consiglio a Gilioli di ritirare la richiesta.


L’inizio della fine


Il presidente siriano, Bashir Al Assad, ha parlato alla nazione e ha ammesso: “Intorno a noi il mondo sta cambiando”. Poi ha fatto capire di essere lo stronzo di sempre, e che buon sangue non mente, ma almeno ha ammesso: “Intorno a noi il mondo sta cambiando”. Ammetterlo è l’inizio della fine.