Pur avendo a disposizione un termine come betulah, che sta a indicare vergine nella più stretta accezione del termine, nel passo che secondo la tradizione cristiana profetizzerebbe la nascita del Messia da una donna vergine prima, durante e dopo il parto (Is 7, 14), Isaia usa almah, che in molti altri punti dell’Antico Testamento sta chiaramente ad indicare giovinetta, senza alcun riferimento obbligato alla condizione di illibatezza che invece è proprio di betulah. Quando il libro del profeta viene tradotto dall’ebraico al greco, almah diventa parthenos, che come vergine ha una stretta relazione alla condizione di illibatezza, che ad esempio non è nella più stretta accezione di un termine come kore (fanciulla). L’anonimo che scrive il Vangelo secondo Matteo attinge alla tradizione veterotestamentaria dei Septuaginta, che hanno tradotto Isaia in greco alcuni secoli prima, ed è lì che almah è diventato parthenos: legge vergine e in quel punto nasce il dogma della verginità di Maria, sulla quale è costruito un gran pezzo di cristologia. Sarà su questa lettura di almah che si consumeranno le cruente polemiche fra cristiani che porteranno all’eliminazione fisica di quanti in parthenos leggono fanciulla invece che illibata, e sulla perpetua integrità dell’imene di Maria continueranno a sgozzarsi per secoli.
Tutto questo è già noto da decenni, com’è noto che il cammello che troviamo nei sinottici alle prese con la cruna dell’ago è un aramaico gamal che andrebbe correttamente tradotto con corda. Sì, però Agostino ha scritto: “Non a caso Giovanni Battista, precursore del Signore, indossava una veste di peli di cammello: vuol dire che l’indumento che indossava era formato da colui che sarebbe venuto giudice dopo di lui, di cui egli dava testimonianza. Infatti nel cammello dobbiamo riconoscere una figura di Nostro Signore, che è grande come il cammello e tuttavia capace di chinare il capo fino a terra, sicché nessuno può imporgli un carico se lui stesso non si abbassa fino a terra. Così anche Cristo, che umiliò se stesso fino alla morte” (Sermones, 346).
Dopo un’esegesi così autorevole, quale importanza può avere che un errore abbia tradotto gamal in kamelos (cammello) invece che in kamilos (corda)? Agostino ha detto che ci va cammello: azzardarsi a ritenere che corda possa andarci meglio sarebbe offesa a lui, a tutti quelli che hanno ripreso la sua esegesi, e a Cristo, e a Giovanni Battista. Il fatto è che, come Benedetto XVI ci raccomandava nel 2008, “la conoscenza esegetica deve intrecciarsi indissolubilmente con la tradizione spirituale e teologica perché non venga spezzata l’unità divina e umana di Gesù Cristo e delle Scritture”: tutto il sangue degli eretici sgozzati per aver messo in discussione la perpetua verginità di Maria fonda il criterio della retta “esegesi teologica” e richiama l’attenzione dei credenti “ai rischi di un’esegesi esclusivamente storico-critica” che può smarrire il cammello.
Tutto questo era già noto, ma ci sarà ripetuto ancora, ora che negli Usa viene data alle stampe una nuova traduzione della Bibbia nella quale almah non è più vergine, ma giovinetta.