L’editoriale di Giuliano Ferrara che ieri apriva il Giornale (Occupare i telegiornali èstato solo un autogol) è stato letto da molti come una severa critica a Silvio Berlusconi, e dunque come una coraggiosa prova di onestà intellettuale dell’Elefantino, ma io vorrei provare a dimostrare che non è affatto così. Non citerò altri suoi articoli che nel passato prossimo e in quello remoto hanno dato ai più la stessa impressione, senza la sua lingua si staccasse mai troppo dal culo del suo protettore, ma mi baserò sulla sola analisi del testo in questione, però servendomi della chiave di lettura offerta dallo stesso Giuliano Ferrara nelle prefazioni a due volumi: Leo Strauss, Scrittura e persecuzione, Marsilio 1990 (pagg. VII-XXIII); La saggezza della Fronda (Massime del Cardinale di Retz e di François de La Rochefoucauld), Edizioni Giuseppe Laterza 2001 (pagg. 5-9). Nella prefazione al primo volume, parlando delle “relazioni speciali, ambigue, ironiche, enigmatiche tra filosofi e tiranni, ideologi e principi, uomini di scienza e di autorità”, scrive che i primi sono costretti a usare nel trattare coi secondi “un linguaggio particolare”, praticando “un’arte dello «scrivere tra le righe»” che serve per lo più a parare il culo, ma che, quando è esercitata da maestro, tocca l’eccelsa paraculaggine, che poi costituisce “la giuntura tra il canone ermeneutico [di questo «scrivere tra le righe»] e la filosofia politica [che le sta sotto e dietro]”.
Per essere più chiari dobbiamo andare al “manualetto del perfetto frondista”: “In date circostanze, non rare, le tue azioni contrarie alla decenza saranno giustificate, però mai le tue parole. […] Le parole, non c’è fortuna che le innalzi e le glorifichi: devono fare da sole il loro sporco mestiere di spiegare l’indifferenza politica al bene e al male […] poiché bene e male non sono nemmeno equipollenti, sono la medesima cosa”. E dunque, “se ti rivolgi al Principe, devi sapere che la tua potenza benefica è considerata da lui altrettanto pericolosa, e quasi altrettanto criminale, della tua volontà malefica”. In pratica? “Conquistare la fiducia, installarsi nella confidenza dei grandi: è la battaglia campale del consigliere frondista, così diverso nella sua intrattabilità dall’adulatore e dal ruffiano”. D’altra parte, questa conquista della confidenza a colpi di intrattabilità è al servizio del Principe, non già a quello dei suoi nemici, perché “l’Italia del 25 luglio sa per esperienza che la Fronda è l’anticamera del tradimento, ma in linea teorica ne è anche il solo antidoto”. In più, “consigliare è meglio che comandare” e, visto che “non c’è più il mondo dei re, dei principi, dei papi e degli imperatori”, “la Fronda abbassa i suoi obiettivi, calibra i mezzi, porta come sempre servigio e divisione, che per la Fronda sono sinonimi, ma in una nuova dimensione di umiltà”, perché “nella politica contemporanea alla Fronda è rimasto un solo nemico, per abbattere il quale nessun sacrificio è vano: il ridicolo del potere abusato, dissipato, malamente perduto e senza onore”.
Quella che a molti è sembrata una severa critica a Berlusconi deve essere letta in questo modo e apparirà tutt’altro.
“Ho passato un bel pezzo della mia vita a difendere come potevo e sapevo Berlusconi, a cui ho sempre riconosciuto, in amicizia militante e mai servile, grandissimi meriti storici nel tentativo di tirare fuori l’Italia dalla crisi della Repubblica e dalla rovina della giustizia, e una simpatia di tratto liberale e scanzonato senza eguali; e quando non ero d’accordo, è successo spesso, riprendevo forza ed energia dal modo disgustoso scelto dai suoi avversari per combatterlo. La mostrificazione, la teoria del nemico assoluto, l’orrore del guardonismo giornalistico, della faziosità dispiegata, le accuse forsennate di stragismo, di mafia, accompagnate dalla totale resa al più sinistro spirito forcaiolo: questo mi è sempre bastato per dirmi senza problemi berlusconiano e per prendere il mio posto, costante negli anni, nella battaglia contro la deriva ideologica e di stile della sinistra più scalcinata e ipocrita del mondo, prigioniera di una cultura demagogica che la divorava”.
A una lettura piana: “Non sono un servo. Presto i miei servigi a Berlusconi perché i suoi nemici mi fanno tanto schifo da rendermelo simpatico, anche e nonostante i suoi difetti”. Tra le righe: “Vedete come sono libero e indipendente? Mica sono un Capezzone qualsiasi, io. Se e quando farete fuori il Cav, tenetelo da conto: berlusconiano per generosità d’animo e di intelletto, mica per interesse”.
“Vorrei continuare la corsa, ma se la strada è quella dell’invadenza arrogante a reti unificate, del monologo che umilia gli interlocutori e gli elettori, del semplicismo e del baby talk arrangiato, sciatto, poveramente regressivo, mi manca il fiato. Va bene che Enzo Biagi faceva i suoi show elettorali con Benigni per bastonare il Cav sotto elezioni quando era capo dell’opposizione, ma quale esperto impazzito di marketing politico ha suggerito al premier di presentarsi in tutti i tg come un propagandista, di diminuire la sua autorità e credibilità di presidente del Consiglio e di leader del partito di maggioranza relativa di una grande nazione occidentale con discorsi da bettola strapaesana?”.
Traduzione piana: “Non è che poi abbia fatto nulla di male, in fondo le elezioni sono elezioni e nessuno riesce a resistere alla tentazione di abusare del mezzo televisivo, però est modus in rebus”. Tra le righe: “Vedete? Mica sono un Cicchitto. Quando e se arrivasse il 25 luglio, trattatemi da Bottai, non da Starace”.
“Chi gli ha consigliato di perdere all’istante i voti dei cattolici diocesani abbracciando a Milano, dove le intemerate leghiste più sprovvedute non hanno mai attratto consensi, la crociata della lotta a zingaropoli o il trucchetto del trasferimento in terra meneghina di alcuni ministeri romani, subito contraddetto dal sindaco della Capitale? Che cosa può portare il capo di una classe dirigente che dovrebbe puntare su libertà e responsabilità ad avallare, dopo la magra figura dell’attacco ad personam a Pisapia, e senza le dovute scuse, l’idea che la vittoria dell’avversario nella lotta per il Municipio porterebbe terrorismo e bandiere rosse a Palazzo Marino? Perché farsi del male con parole d’ordine primitive, giocando irresponsabilmente la carta dei cosiddetti «valori conservatori» in una offensiva lanciata da gente di governo contro «gay e drogati», una caricatura del motto Dio-patria-e-famiglia, quando quella carta è sempre stata pudicamente scartata quando si doveva giocarla con sensibilità e intelligenza nelle occasioni giuste e per motivi giusti?”.
Mica ha commesso l’ennesimo abuso di potere, il suo Cav, si è solo esposto a critiche di un certo peso. Pare che la sua colpa più grave sia quella di aver imbarazzato chi lo voglia difendere senza cadere nel ridicolo, e Ferrara non vuole cadervi: può difenderlo solo da frondista, facendo da antidoto alla montante protesta. Tutti pensano che Berlusconi abbia fatto un goal di mano con la sua apparizione televisiva in cinque tg su sette, ma Ferrara alla moviola dice che è un’autorete. Tifoso, sì, ma che fairplay.
“Spero che la Moratti vinca e che Pisapia perda il ballottaggio, per ovvie e argomentate ragioni politiche e amministrative che si stanno perdendo nei fumi sulfurei di un incendio ideologico senza senso. Ma intanto non voglio che Berlusconi perda la faccia nella contesa, che il suo comprensibile radicalismo politico, il suo accento popolare e diretto nel linguaggio, diventino un incattivito vaniloquio della disperazione. Non lo merita lui e non lo meritano coloro che si sono battuti e si battono per ciò che lui ha rappresentato”.
Qui il «tra le righe» affiora per un attimo e subito s’immerge: “Se Berlusconi perde la faccia, appresso a lui la perde chiunque lo difende. Mica so’ Paniz, io”.
“Chiunque conosca Berlusconi e la storia del berlusconismo sa quel che manca a questo punto della parabola: mancano la sicurezza di sé, un minimo di ottimismo, la capacità originaria di sfidare le convenzioni, di fare cose nuove e liberali, di smascherare le ipocrisie altrui, di parlare pianamente e urbanamente anche il linguaggio più irriducibile e aspro, manca il gentile «mi consenta», manca il Berlusconi ilare e sapido che rompe il monopolio dell’informazione, che disintegra ogni forma di conformismo, che spiazza e interloquisce con la società italiana alla sua maniera originaria. Vedo in questa deriva la vittoria dell’avversario di tutti questi anni, e di quello più incarognito e miserabile. Farsi simili alla caricatura che il nemico fa di te è il peggiore errore possibile per un leader politico”.
Lui non è così, vedete come me lo hanno ridotto? Fa il dittatorello, sì, ma sono i suoi nemici ad averlo ridotto così. E lui sbaglia, sì, e questo “è l’errore che può cagionare «l’ultima ruina sua»” (e qui davvero sembra di sentire il Machiavelli che si spende per il culo del Borgia).
Povero Cav, insomma. Ridotto dai suoi nemici alla malevola caricatura che da sempre gli hanno appiccicato addosso. Errore fatale, “che lo isola con le tifoserie, che ne avvilisce l’indipendenza intellettuale e di tono, la credibilità personale”. Errore che Ferrara non può permettersi.