Al 31 marzo dell’anno scorso, quando Giulio Tremonti prometteva che la finanziaria ne avrebbe drasticamente ridotto il numero, le auto blu erano 629.120, e cioè 21.000 in più dell’anno prima e oltre 400.000 in più che nel 2005. Non sono riuscito a trovare dati aggiornati a quest’anno, ma nemmeno ho trovato notizie relative ad una riduzione del parco macchine a disposizione della Casta in questi ultimi 16 mesi, sicché devo ritenere che a tutt’oggi il costo di questo privilegio non sia inferiore ai 21 miliardi di euro ufficialmente dichiarato l’anno scorso. Superfluo dire che un consistente taglio di questa spesa sarebbe strutturale: di là da ogni implicazione di carattere morale, di là dal segnale che questo taglio darebbe a un paese che da sempre soffre una insostenibile pressione fiscale, si tratterebbe di far cassa. Neppure con la manovra finanziaria oggi partorita dal Parlamento si è intaccato questo sperpero: possiamo computarlo intorno ai 18 miliardi di euro, visto che in Francia, con una popolazione di poco superiore a quella italiana, circolano solo 65.000 auto blu, poco più di un decimo di quante ne circolano in Italia. Ma questa è solo una delle voci che avrebbero potuto far cassa e che invece sono state eluse da una manovra finanziaria dal peso di 48 miliardi, per di più spalmati su tre anni: più di un terzo sarebbe stato coperto mettendo mano a ciò che Giulio Tremonti prometteva l’anno scorso. Non è stato fatto.
Una voce mai neppure presa in considerazione è quella che fa dell’Italia il maggiore finanziatore di una confessione religiosa: tra contributi diretti e sgravi fiscali, il Vaticano costa ogni anno all’Italia circa 4 miliardi di euro. Ma se questo onere è da considerare un salasso inevitabile, visto che la Casta ecclesiastica è ancor più intoccabile di quella della classe politica, altre spese potevano essere tagliate, ma neanche sono state neanche prese in considerazione: dall’abolizione delle province alla possibilità di accorpare i comuni con meno di 5.000-10.000 abitanti; da un taglio delle “pensioni eccellenti” che non fosse, come è stato, soltanto simbolico, e dunque inconsistente, alla chiusura del rubinetto che le casse dello stato tengono aperto da sempre in favore di una miriade di cricche grandi e piccole, ormai ben mimetizzate nel parastato.
Si potevano tagliare i finanziamenti occulti e manifesti ai partiti e alle loro emanazioni, si poteva far piazza pulita degli sconti fiscali che ogni clientela è riuscita fin qui a lucrare senza soluzione di continuità tra Prima e Seconda Repubblica. Si poteva, infine, imporre un aggravio fiscale alle rendite parassitarie. Si è preferito, come sempre, colpire i più deboli, tosare fino alla carne viva fasce sociali già poco o null’affatto garantite. Questa sarebbe la “prova straordinaria” data dal Governo, almeno a quanto dice Giorgio Napolitano, che in nome del popolo italiano dice: “Il paese è grato al Parlamento”. E si tratta di personalità ad alto indice di gradimento, praticamente impossibile mandarlo a cagare.