Un vecchio radicale, Lorenzo Strik Lievers, e un ciellino di lungo corso, Luigi Amicone, firmano insieme (vedremo perché non ci sia troppo da stupirsi) una lettera a Il Foglio: i due sollecitano Giuliano Ferrara a farsi promotore di una campagna in favore di un’amnistia, una campagna “di quelle di cui il giornale e il suo direttore sono capaci”.
Qui potremmo aprire una parentesi, chiederci quante campagne de Il Foglio abbiamo avuto un buon esito e se quella dei due sia poi un’idea così felice. Ma non importa, certe campagne hanno buon esito già nel dare visibilità a chi le sollecita, a chi promuove e a chi le sostiene: già in partenza non se ne prefiggono altro che quello minimo di costruirsi una buona reputazione. Non è bello, d’altra parte, dubitare della buona fede altrui quando il fine dichiarato è, come in questo caso, senza dubbio assai nobile. Altra cosa è se un’amnistia sarebbe la soluzione del problema o solo un palliativo.
Come ho già scritto alcuni giorni fa, ben oltre la premura di carattere umanitario, un’amnistia è ormai indispensabile, fosse solo per evitare l’accendersi di rivolte carcerarie, che avrebbero drammatica portata e conseguenze tragiche. E tuttavia, senza una riforma della giustizia che elimini la vergogna della detenzione preventiva e stabilisca pene alternative alla carcerazione per i reati meno gravi, un’amnistia servirebbe solo a rimandare la soluzione del problema, che probabilmente si riproporrebbe in dimensioni analoghe, e in breve tempo. Non siamo forse all’emergenza a pochi anni da un indulto? Senza la depenalizzazione dei reati connessi all’uso di sostanze stupefacenti e una matura svolta antiproibizionista, senza politiche che invertano la rotta sui problemi posti dall’immigrazione, le carceri italiane sono destinate a rifarsi stracolme. Qui, però, è difficile trovare intese tra radicali e ciellini. Non stupisce, invece, vederli insieme su una iniziativa che soddisfa il comune bisogno di visibilità, perché comune è la loro condizione di esigua minoranza in seno alla società italiana, e comune è la natura settaria delle loro comunità.
Non è tutto naturalmente, perché in ciellini e radicali, come in Giussani e in Pannella, c’è un altro punto in comune, anche se assai ben celato: la convinzione che a muovere una società debba essere una élite compassionevole. Dove la con-passione è la funzione che fa prossima persona a persona (in entrambi il rigetto dell’individuo) e il diritto (naturale ancorché acquisito, in Pannella; divino ancorché incarnato, in Giussani) è espressione del sacro: in entrambi – radicali e ciellini – la politica è il farsi di un evento eucaristico, tra grazia e carità.