Arriva su la Repubblica di sabato 3 settembre, tradotto da Anna Bissanti, un lungo articolo di Edward Docx, pubblicato alcuni mesi fa su Prospect Magazine col titolo Postmodernism is dead, che qui diventa Addio, Postmoderno. Tutta nel titolo, la tesi non è affatto nuova – basti pensare a The death of Postmodernism and beyond di Alan Kirby (Philosophy Now, 2006) – ma qui si fa forte di un argomento che l’autore ci offre come inoppugnabile: il 24 settembre, al Victoria and Albert Museum di Londra, si inaugurerà una prima retrospettiva globale di quanto il Postmodernismo ha prodotto in campo artistico, e tanto farebbe da lapide all’“idea predominante della nostra epoca”. Non ci vuol molto a capire, infatti, che per Docx non sarebbe morto solo un movimento artistico, ma “un modo di pensare e di fare”, perché col Postmodernismo siamo dinanzi a “una tendenza artistica evolutasi fino ad assumere significato sociale e politico”. Il consueto interpretare l’arte come prodotto di una società, dunque, qui è capovolto: “ogni forma d’arte è filosofia e ogni filosofia è politica”, ma il pensiero e l’azione sarebbero frutto della loro rappresentazione, non viceversa, sicché parrebbe che la fine di un mondo possa essere causata dal collasso della sua immagine, non il contrario, e che questa immagine non proceda dal mondo, ma lo preceda, anzi. Docx non chiarisce se questo assunto valga in assoluto o solo per il Postmodernismo e, in tal caso, perché. Verrebbe voglia di consigliargli di non sprecarsi in frivoli articoletti, ma di impegnarsi seriamente nella costruzione di una teoria, possibilmente solida, così poi vediamo se ci convince. Chissà, può darsi riesca a spiegarci l’avvento del nazismo col tramonto del Déco.
Il Postmodernismo, dunque, è morto. Era “scherzoso, intelligente, divertente, affascinante”, prediligeva “la mescolanza, l’opportunità, la ripetizione”, aveva un debole per “l’apparenza e l’ironia”, “mirava a rompere col passato”, era animato da “un forte desiderio di disfare, che ha preso di mira la struttura politica, la struttura cognitiva, la struttura erotica, la psiche dell’individuo, l’intero territorio del dibattito occidentale”, insomma, era uno stronzetto mosso da pulsioni nichiliste che ci ha instillato una letale “mancanza di fiducia nei dogmi”, generando in noi “una sensazione di confusione” che “negli ultimi anni è diventata onnipresente”, sicché erano in tanti a lamentare: “Nessuno ci sta dicendo che cosa fare”. Ma per fortuna, è finita: si avverte, infatti, “un crescente desiderio di una maggiore veridicità”, e “i valori tornano ad avere importanza”, e “stiamo entrando in una nuova era” che “potremmo provare a chiamare Età dell’Autenticità”. Non ci vuole molto per capire che l’anima del Postmodernismo era il Relativismo e che, pur riconoscendogli qualche merito, Docx gli rimprovera di averci fatti orfani della Verità, rendendoci così deboli e insicuri, vulnerabili alle bieche norme del mercato che hanno sostituito le leggi dei padri. Non si trattasse dell’articoletto di un professorino che insegna al Christ’s College di Cambridge, sembrerebbe il fervorino di un pretonzolo sulla crisi di un mondo che ha smarrito le sue radici cristiane. Ma la riflessione si mantiene a un livello basso, poco più articolato del malessere di una anziana signora con veletta davanti a una installazione di Hermann Nitsch.
Il Postmodernismo, dunque, è morto. Era “scherzoso, intelligente, divertente, affascinante”, prediligeva “la mescolanza, l’opportunità, la ripetizione”, aveva un debole per “l’apparenza e l’ironia”, “mirava a rompere col passato”, era animato da “un forte desiderio di disfare, che ha preso di mira la struttura politica, la struttura cognitiva, la struttura erotica, la psiche dell’individuo, l’intero territorio del dibattito occidentale”, insomma, era uno stronzetto mosso da pulsioni nichiliste che ci ha instillato una letale “mancanza di fiducia nei dogmi”, generando in noi “una sensazione di confusione” che “negli ultimi anni è diventata onnipresente”, sicché erano in tanti a lamentare: “Nessuno ci sta dicendo che cosa fare”. Ma per fortuna, è finita: si avverte, infatti, “un crescente desiderio di una maggiore veridicità”, e “i valori tornano ad avere importanza”, e “stiamo entrando in una nuova era” che “potremmo provare a chiamare Età dell’Autenticità”. Non ci vuole molto per capire che l’anima del Postmodernismo era il Relativismo e che, pur riconoscendogli qualche merito, Docx gli rimprovera di averci fatti orfani della Verità, rendendoci così deboli e insicuri, vulnerabili alle bieche norme del mercato che hanno sostituito le leggi dei padri. Non si trattasse dell’articoletto di un professorino che insegna al Christ’s College di Cambridge, sembrerebbe il fervorino di un pretonzolo sulla crisi di un mondo che ha smarrito le sue radici cristiane. Ma la riflessione si mantiene a un livello basso, poco più articolato del malessere di una anziana signora con veletta davanti a una installazione di Hermann Nitsch.