Quando è fine a se stesso, lo sfoggio di cultura è estremamente fastidioso, però questo vale solo per noi laici: anche quando sembra citare solo per il gusto di citare, un chierico non lo fa quasi mai per vacuo esibizionismo: ha sempre un altro scopo, nobile per giunta: tenta di distogliere l’attenzione dal livello culturale medio del clero, bassissimo ormai da decenni: è per questa ragione che Gianfranco Ravasi non infastidisce mai, neanche quando ha bisogno di due dozzine di citazioni per dire che non ci sono più le mezze stagioni. Se non fosse un chierico, sarebbe oltremodo irritante, ma da chierico fa un’infinita tenerezza: lo vedi far la ruota del pavone coi suoi virgolettati, e pensi: come si sacrifica, poverino, sembra una Billy carica di Adelphi. Si tratta di una missione, in un certo qual senso, del tipo di quella che si è data don Fortunato Di Noto, che va a caccia di pedofili su internet per farci dimenticare gli abusi sessuali commessi dai preti a danno dei minori.
C’è un ma: per dimostrare che un chierico non legge solo il breviario, il Ravasi trascura il breviario, e il peggio di sé lo dà proprio sui Vangeli: esegesi stortignaccole e fru-fru. È il caso del suo tentativo di spiegarci la patente contraddizione tra Mc 9, 40 (“Chi non è contro di noi è con noi”) e tra Mt 12, 30 e Lc 11, 23 (“Chi non è con me è contro di me”). Sul suo blog – da poco ha pure un blog, chissà quando trova il tempo per dir messa – scrive che “a prima vista i due detti di Gesù sono diametralmente opposti e si deve optare per l’uno o per l’altro, qualora si voglia ricostruire un’unica frase autentica detta dal Gesù storico”: ovviamente opta per la versione di Marco, più antica rispetto a quella di Matteo e di Luca, che ne sarebbe lo “stravolgimento”. Neanche lo sfiora il sospetto che, trattandosi di frasi dette da Gesù in diverso contesto, possano essere due facce della stessa medaglia. E sì che c’è una bella differenza tra il “noi” della versione di Marco e il “me” di quella riportata in Matteo e in Luca: la questione è tutta lì.
Nel primo caso, infatti, agli apostoli che gli segnalano il caso di un tale che opera prodigi in suo nome senza far parte della sua cerchia, Gesù fa presente che il fatto non costituisce un pericolo e che si può lasciar correre: “Non glielo proibite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me” (Mc 9, 39). Nel secondo caso, invece, la situazione è ben diversa: qui, i farisei sollevano la questione del perché Gesù esorcizzi gli indemoniati in nome di Beelzebùl. In apparenza, ma solo in apparenza, la risposta di Gesù è oscura: “Ogni regno discorde cade in rovina e nessuna città o famiglia discorde può reggersi. Ora, se Satana scaccia Satana, egli è discorde con se stesso; come potrà dunque reggersi il suo regno? E se io scaccio i demoni in nome di Beelzebùl, i vostri figli in nome di chi li scacciano? Per questo loro stessi saranno i vostri giudici. Ma se io scaccio i demoni per virtù dello Spirito di Dio, è certo giunto fra voi il regno di Dio. Come potrebbe uno penetrare nella casa dell’uomo forte e rapirgli le sue cose, se prima non lo lega? Allora soltanto gli potrà saccheggiare la casa. Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde. Perciò io vi dico: qualunque peccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata. A chiunque parlerà male del Figlio dell’uomo sarà perdonato; ma la bestemmia contro lo Spirito, non gli sarà perdonata né in questo secolo, né in quello futuro” (Mt 12, 25-32). Non si metta in dubbio che in Gesù operi lo Spirito di Dio. E lo Spirito di Dio ha potere su Satana. Gesù scaccia i demoni in nome di Beelzebùl, appellandosi al potere che lo Spirito di Dio ha su Satana: mettere in dubbio questo è commettere bestemmia non contro lui, ma contro lo Spirito.
Ecco che dunque le due frasi non sono affatto in contraddizione, anzi, definiscono il confine interno e quello esterno alla fede: il “noi” in Marco è ecumenico (si può chiudere un occhio su chi riconosce in Gesù il potere dello Spirito di Dio e opera in suo nome pur senza essere dei suoi); il “me” in Matteo e in Luca fa, invece, un chiaro riferimento alla professione di fede dello Spirito di Dio in Gesù (chi non lo riconosce commette bestemmia).
In realtà le due frasi non sono in contraddizione neppure per il Ravasi, che però risolve la questione definendole “corrispondenti a finalità e a contesti differenti e divergenti”. Non è affatto vero: sono entrambe convergenti nel fine di stabilire il confine tra amico e nemico. Si è “con” o “contro” Cristo, se si afferma o si nega la sua natura divina: se la si afferma, si è tollerati anche se non si è parte della sua cerchia; se la si nega, si è nemici.