Riporto
un brano tratto dall’intervista che Jorge Mario Bergoglio ha concesso ad Antonio
Spadaro per l’ultimo numero de La Civiltà Cattolica (CLXIV/3918), perché riapre
una questione che ho già discusso su queste pagine: «Visitavo spesso la chiesa
di San Luigi dei Francesi, e lì andavo a contemplare il quadro della Vocazione
di San Matteo di Caravaggio” […] È il gesto di Matteo che mi colpisce: afferra
i suoi soldi, come a dire: “No, non me! No, questi soldi sono miei!”» (pag.
452). Come Sandro Magister si è subito affrettato a segnalare con comprensibile
soddisfazione, si tratta della stessa «interpretazione che la storica dell’arte
Sara Magister ha rilanciato con forza su TV 2000», lo scorso anno, senza troppa fortuna: anche «Jorge Mario Bergoglio – scrive il babbo della Sara – ha sempre visto il Matteo della Vocazione
dipinta dal Caravaggio non nel maturo signore al centro del gruppo, come
predicano le guide turistiche e la maggior parte dei critici, ma nel giovane a
capo chino, che ancora “afferra i suoi soldi” proprio mentre Gesù lo chiama»
(Settimo Cielo, 20.9.2013). Il pudore lo trattiene dal dire che il Papa abbia
parlato ex cathedra – d’altronde non sarebbe una cathedra di Storia dell’Arte
– ma per dar forza a questo inaspettato avallo alla tesi di sua figlia ricorre
a una graziosa variante di quella che i logici di scuola anglosassone chiamano «fallacy
for appeal to authority», e cita un altro passaggio dell’intervista, quello in
cui Sua Santità dice: «In pittura ammiro Caravaggio: le sue tele mi parlano», quasi
ad insinuare che lo Spirito Santo assista in Bergoglio un
infallibile critico d’arte.
Sull’infondatezza
della tesi di Sara Magister mi sono già intrattenuto in due occasioni, ma qui
occorre ripetere:
(1) Per almeno dodici secoli fino al luglio del 1599 in cui
Caravaggio mette mano al dipinto, nella tradizione d’occidente e d’oriente San Matteo
è raffigurato anziano e barbuto, e lo stesso Caravaggio lo raffigura così in
almeno tre sue opere. In pratica, non si conosce un solo San Matteo che sia
stato ritratto giovane e imberbe nella Storia dell’Arte fino ai tempi di
Caravaggio, né dopo. Se fosse valida la tesi della Magister, questa sarebbe la
sola eccezione. Per giunta risalirebbe ad una epoca nella quale la Chiesa aveva
un controllo ferreo sulla produzione artistica e non ammetteva soluzioni ardite.
D’altronde, Levi (che poi si chiamerà Matteo) aveva tra i 40 e i 45 anni al
tempo in cui Gesù gli chiese di seguirlo (le fonti più attendibili datano la
sua nascita tra il 10 e il 15 a.C.): del tutto improbabile che si consentisse
di ritrarlo con le sembianze di un giovanotto intorno ai 20 anni, com’è quello
in cui la Magister e Bergoglio ritengono di poter identificare l’apostolo.
(2)
All’opera del Caravaggio si ispirarono parecchi artisti coevi o di poco
posteriori: talvolta il giovane che per la Magister dovrebbe essere Matteo è
addirittura assente e in tutti il gesto di Cristo risulta inequivocabilmente
indirizzato a un personaggio anziano e barbuto, di regola nella posa di chi, indicando se stesso, chieda:
«Chi? Io?».
(3)
Il committente della Vocazione di San Matteo, il cardinal Contarelli morì una quindicina d’anni prima che fosse realizzata, ma aveva lasciato istruzioni dettagliatissime all’esecutore testamentario sul come dovesse essere concepito quel quadro: vuole
– scrive – un «San Matteo [che sia ritratto] dentro un magazeno, over, salone ad uso di gabella con diverse robbe che convengono a tal officio con un banco come usano i gabellieri con libri, et danari [...]
Da quel banco San Matteo, vestito secondo che parerà convenirsi a quell’arte, si levi con desiderio per venire a Nostro Signore che, passando lungo la strada con i suoi discepoli, lo chiama». E l’esecutore testamentario, Virgilio Crescenzi, sarà scrupolosissimo nel trasmettere queste indicazioni al Caravaggio, come è accertato dal carteggio tra i due e dal contratto. Non già un San Matteo nell’atto di «afferra[re]
i suoi soldi, come a dire: “No, non me! No, questi soldi sono miei!”», come la tela ha detto a Bergoglio, ma in quello che è un
tutt’uno tra il chiedere: «Chi? Io?»
e per levarsi dond’era seduto. Basta osservare la postura delle sue gambe, nell’inequivocabile torsione di chi stia per alzarsi e scivolare via tra sedia e banco.
D’altra parte, il giovane in cui la Magister e Bergoglio hanno visto Matteo non sta
affatto «afferrando» le monete sul tavolo: l’impressione è data dalle due mani che sono giunte sul banco, ma il fatto è che non sono entrambe sue. Sono due mani destre, e appartengono ovviamente a due diverse persone, basta constatare che le maniche degli abiti sono di foggia e di colore diversi: una è la sua, del giovane seduto a un capo del banco, e si limita a contare le monete, forse ad impilarle; l’altra è dello stesso San Matteo che stringe in mano un foglietto, forse una ricevuta. Così accostate possono dare l’impressione che appartengano alla stessa persona colta in una posa di rapace avidità di denaro. Questo tipo di infortunio non è affatto raro in Caravaggio, lo hanno già segnalato Bernard Berenson e Maurizio Calvesi: maestro degli effetti speciali della luce, non era eccelso nel disegno, per tacere delle proporzioni anatomiche e degli equilibri di massa.
Non bastassero questi elementi, ve ne sono anche di più evidenti. Matteo era un esattore: è ragionevole pensare che un esattore segga su un lato lungo o su un lato corto di un banchetto rettangolare? Il registro di accredito, poi, è aperto in favore del soggetto anziano e barbuto o del soggetto giovane e a capo chino?
Pratica, cioè soluzione formale per adempiere il mandato della committenza; precedenti, cioè consolidata canonistica degli stilemi e dei simboli che caratterizzano un personaggio; pubblico, qui autorevomente rappresentato da autori coevi o di poco posteriori al Caravaggio, che reinterpretano la scena senza trovare alcuna perplessità nei discepoli del Caravaggio ancora in vita (Carlo Saraceni, Orazio Gentileschi, Giovanni Serodine): le tre P che guidano un critico d’arte tagliano le gambe ad ogni altra lettura.
Resta una domanda: cosa può aver ingannato Bergoglio?
Possiamo solo andare per ipotesi, cominciando a escludere che abbia fatto sua la tesi della Magister, che non è antecedente al 2012. Prima di allora, a identificare Matteo nel giovane seduto a capo chino era stato solo padre Joseph N. Tylenda, dell’Università di Scranton, in Pennsylvania, autore di una guida turistica (The Pilgrim’s Guide to Rome’s Principal Churches, 1993) che sarebbe interessante sapere se stia sugli scaffali di Papa Francesco. Potrebbe averla acquistata quando venne a Roma per il concistoro del 1998.
Più complicato cercare di capire come Tylenda sia arrivato a formulare la tesi di un Matteo che il Caravaggio avrebbe voluto rappresentare
nell’atto di
«afferra[re]
i suoi soldi, come a dire: “No, non me! No, questi soldi sono miei!”». Un indizio può darcelo la bibliografia della sua guida turistica, nella quale sono almeno due i volumi che riportano una suggestiva cazzata che per qualche tempo era data come fatto assodato: per la costruzione della scena della Vocazione di San Matteo il Caravaggio avrebbe tratto spunto da una delle incisioni di Hans Holbein il Giovane della serie La danza della Morte, quella che ritrae un gruppo di giocatori di carte attorno a un tavolo, il più giovane dei quali, approfittando del subbuglio causato dalla comparsa di un satanasso, fa man bassa della posta ancora in gioco.
Peccato che la cazzata non abbia mai trovato fonte documentata. Libri e stampe che avevano visto la luce in paesi dove la Riforma aveva attecchito bene non avevano alcuna possibilità di circolare a Roma, né sul resto della Penisola. Inoltre, ammesso e non concesso che l’incisione circolasse, non sarebbe stato estremamente pericoloso riprodurre una scena di quel genere mettendo Gesù al posto di un repellente diavolaccio?