giovedì 20 maggio 2010
Lunga premessa a una riflessione su cosa sia questa benedetta «agenda progressista» della Chiesa del Terzo Millennio (più la rimandiamo e meglio è per i cosiddetti «progressisti»)
Da tempo – e il tempo muta il significato delle parole – si usa suddividere i cattolici che capiscono qualcosa del cattolicesimo (a naso, non mi paiono più del 2-3%) in «progressisti» e «tradizionalisti», con una semplificazione accettata anche da chi la ritiene ingannevole, sicché quasi più nessuno ne fa uso rammentando gli effetti indesiderati.
Capita, così, che quanti accettano per sé – sempre con fierezza – la definizione di «tradizionalisti» siano poco disposti a considerare cattolici quelli che così finirebbero per essere «progressisti»: un «cattolico progressista», in realtà, non sarebbe altro – dicono – che un eretico (luterano, calvinista, ecc.), perché «cattolico» – sostengono – non può che essere sinonimo di «tradizionalista», giacché senza piena fedeltà alla tradizione – affermano – non c’è cattolicesimo. Sembra argomento ragionevole.
E tuttavia questa opinione è contestata da quei cattolici per i quali, se è possibile una progressio populorum, è possibile anche una progressio ecclesiae: nel corpo mistico di Cristo – sostengono – è possibile un divenire, sicché la tradizione – affermano – è chiamata a darsi forme sempre nuove, se davvero vuol essere anima viva di un corpo vivo. Sembra argomento ragionevole, pure questo. E tuttavia costoro non accettano volentieri la definizione di «progressisti».
Non è tutto così semplice, perché ci sono i cattolici che rigettano per se stessi entrambe le definizioni: una suddivisione del genere – dicono – è impossibile, perché frequentemente si è costretti a constatare che vi sono più elementi comuni tra un «progressista» e un «tradizionalista» che non tra due «progressisti» o due «tradizionalisti». Non è argomento irragionevole, e in più ha la forza che gli dà il rilievo empirico: i «progressisti» – ciascuno a suo modo – si sentono i reali interpreti della tradizione; i «tradizionalisti» – ma non tutti – ritengono addirittura che la tradizione non vada interpretata, ma vissuta; i cattolici che rigettano la suddivisione finiscono per utilizzarla, ma solo e quando c’è da mostrarla come paradossale, perché foriera di grave danno a quanto del cristianesimo sta nel cattolicesimo.
Sarà il caso di usare una soda di carotaggio per verificare quanto abbiamo fin qui detto, e l’abbiamo: Joseph Ratzinger. I «progressisti» lo considerano «tradizionalista», ma abbiamo detto che essi hanno un gran rispetto per la tradizione, sicché usano sinonimi come «restauratore», «immobilista», ecc.; i «tradizionalisti», al contrario, ritengono Joseph Ratzinger un «progressista» (o «criptoprogressista»; o «progressista dei due passi avanti e uno indietro»; o addirittura – i lefebvriani, per lo più – «interprete [superfluo aggiungere: infedele] della tradizione»); piace, invece, e piace molto, a quei cattolici che capiscono poco o nulla del cattolicesimo, ma a quelli che ne capiscono qualcosa e con quel tanto arrivano a ritenere che il kerigma può cambiare senza cambiare, e che quindi in Joseph Ratzinger trovano l’ambiguità ad hoc (l’incarnazione dell’ambiguità come capo di una Chiesa che può ormai sopravvivere solo nell’ambiguità).
Semplificare può tornare utile in qualche raro caso, ma è sempre pericoloso, e perciò mettevo avanti le mani con una così lunga premessa. Dovendo affrontare una riflessione di carattere generale sulla Chiesa degli ultimi due pontificati, era il caso che chiarissi come e dove si può spendere lessicalmente questo soldo di latta che sul recto è «progressista» e sul verso è «tradizionalista» (o al contrario).
E io che mi pensavo fosse alterigia
“Sto in trenta mq scarsi al terzo piano a Trastevere per 1.250 euro al mese. Non uso riscaldamento né acqua calda, neanche in inverno”
Marco Perduca, Libero, 19.5.2010
Index
Tutti a pigliarlo per il culo, senza capire che ogni sua gaffe e ogni suo strafalcione rivelano un pezzo della realtà che si è costruito attorno, e che ridere di quella è pericoloso. Gogol non è l’errata pronuncia del celeberrimo motore di ricerca, ma è quel tal Google che ti dà solo la prima pagina di risultati, la più vista, spesso l’unica vista. Quando dice Gogol, non ridete: immaginate che gli venga l’uzzolo di comprare Google e cominciate a tremare.
mercoledì 19 maggio 2010
Tutto è relativo, d’altronde
Ogni volta che a un ebreo è stato impedito di prendere parola in una università italiana o europea, Il Foglio non ha mai mancato di protestare: in nome della libertà di espressione, prima ancora che in solidarietà di Israele, bastione di democrazia e tolleranza nell’assai poco democratica e dell’ancor meno tollerante realtà del Medioriente
Anche quando a Benedetto XVI fu vietato di parlare alla Sapienza, Il Foglio fu in prima linea: in nome della libertà di espressione, prima ancora perché il papa è papa, e non sta bene vietargli di parlare.
Stavolta che a Noam Chomsky è impedito di parlare in un ateneo israeliano, la libertà d’espressione diventa un fatto relativo (tutto è relativo d’altronde) e in primo piano Il Foglio mette in evidenza che Noam Chomsky sarebbe un pezzo di fetente.
Non male
Sull’intervista concessa a la Repubblica dalla moglie di Scajola, subito smentita dal marito, a Parla con me (Raitre, 18.5.2010), Fiorenza Sarzanini avanza la mia stessa ipotesi con uguale argomento: i due hanno confezionato la classica richiesta d’aiuto ai compari non ancora fottuti, tra disperazione e ricatto. Naturalmente, la cronista del Corriere della Sera usa espressioni più felpate.
Altra questione che tocca, e che anch’io ho segnalato come centrale in questa Tangentopoli ancora allo stato gassoso, è quella dei 280 mila euro dati da Angeli Balducci a monsignor Franco Camaldo (“prestito a fondo perduto”): insieme a «don Bancomat», crea il link con lo Ior e il Vaticano, da un lato, e mostra di rivelare la funzione svolta nel governo (Gianni Letta) e presso i singoli ministri e sottosegretari (Angelo Balducci) da questi Gentiluomini della Casa Pontifici che paiono indispensabili per avere la benedizione delle gerarchie ecclesiastiche, dall’altro.
Su cosa vogliano le gerarchie ecclesiastiche dall’Italia, intesa come stato e come nazione, non c’è bisogno di trattenerci a lungo. Idem, su cosa possa volere questo o quel vescovo, questo o quel prete, immancabile tonaca ad ogni posa di prima pietra, di ogni congresso di partito, in ogni piega del welfare, sotto ogni forma di volontariato a pagamento.
Cosa la Chiesa offra quando non si è in campagna elettorale, adesso è più chiaro: socia di malaffare, paravento di prestigio, via di fuga per i protetti, garanzia di massima discrezione.
Non male, non male, davvero non male. Dopo tutta la merda piovuta su San Pietro in questi ultimi due anni, altra ne pioverà al primo no che il Vaticano darà alle rogatorie dei magistrati. Leggeremo complicatissime spiegazioni di questi no, e avranno tutte dei bei risvolti canonistici, ecclesiologici, teologici… Già mi figuro il nostro caro Angelus: “Cari amici, in questa domenica la liturgia ci invita all’adorazione del mistero dello Ior…”.
martedì 18 maggio 2010
Mi dispiace fratello, ma se ti dà fastidio non hai che da voltarti di là
“Mettiamo che io adesso fondi una religione che considera atto sacrilego dare calci a un pallone…”. Fin quando avremo intelligenze belle come questa, l’evo non sarà mai scuro.
Giusto perché mi arriva l'email...
“Da un’analisi di confronto rispetto al 5xmille degli ultimi due anni disponibili (2007-2008) risulta che l’Associazione «Luca Coscioni» sia riuscita a passare dal 166° posto del 2007 al 104° posto del 2008 relativamente agli importi che le verranno destinati”. Accolgo con piacere questa notizia, certo che nel 2009 ci sarà ulteriore e più consistente impennata, grazie ai ripetuti annunci pubblicitari (700 euro a paginone) che quest’anno la «Luca Coscioni» ha strategicamente piazzato su Il Foglio, i cui lettori sono notoriamente assai sensibili ai temi cari all’associazione.
“I contribuenti che hanno deciso di scegliere la nostra associazione sono stati in termini assoluti: 2925 nel 2007 e 4592 nel 2008. Il valore di ciascuna firma è stato di 30/35 euro circa”. I 60/70 contribuenti che hanno pagato i tre paginoni su Il Foglio non vedono l’ora di rifarlo.
Penso a cosa si leggeva di lui, su Il Foglio, quando era ancora vivo e penso che, a vedere quei paginoni, Luca Coscioni si sarà rigirato nella tomba, dimenticando di essere morto di SLA.
9.12.1930-18.5.2010
Prendi una poesia, piegala e ripiegala fino a farne l’origami di una rosa, e posala sulla tomba del poeta. Splendido omaggio di Leonardo a Sanguineti. Si può evitare di scrivere altro.
Raccapriccio
“Ricordo con raccapriccio l’auto di Elio Vito…”
Massimo Bordin, Stampa & Regime
(Radio Radicale, 18.5.2010)
A certi lacchè impettiti nella loro sfavillante livrea è necessario rammentare ogni tanto che fino a l’altrieri erano dei pezzenti, però simpatici. Tutto sta nel registro.
lunedì 17 maggio 2010
L'aggravamento karmico
“La vita non è sopportabile oltre i limiti prescritti posti dalla salute del corpo e della mente, e invecchiare significa avvicinarsi sempre più, inesorabilmente, all’oltrepassamento di ogni sopportabilità di vivere”. Bella, come al solito, la lamentazione di Guido Ceronetti, stavolta sull’“invecchiamento smisurato”, su questo folle voler prolungare oltre il decente la vita che è solo un prolungare la vecchiaia, cosa di per se stessa indecente, per giunta provocando catastrofico “aggravamento karmico”. Sì, ma da che punto in poi? L’83enne non ha dubbi: “da ottantacinque anni”.
Guido Ceronetti è persona seria, non è come Mario Adinolfi che già da qualche anno ha smesso di chiedere dei trentenni alla guida del Pd, per chiedere dei quarantenni: Guido Ceronetti non ci deluderà, e tra due anni leverà disturbo al karma.
Puttanata per puttanata
Se ho capito bene, L’espresso ha chiesto ai suoi lettori “chi sarà tra cinque anni il leader del Pd” e la cosa ha generato tensione fra i candidati. Se non ho capito male, uno di questi ha prima criticato l’innocente giochino in quanto assai poco innocente, ma poi vi si è buttato subito a capofitto, giusto per dimostrare di non essere meno innocente, che da quelle parti deve essere sinonimo di fesso. Se ho capito bene, appena s’è scoperto che a costui il giochino piaceva, ma di brutto, è saltato il tavolo e si arrivati allo scambio di accuse fra i fan di questo, di quello, di quell’altro e di quell’altro ancora. Accuse cocentissime, perché si è arrivati al lancio della peggior accusa, quella di errore di ortografia: era scappato un turbolente al posto di turbolento.
Dimmi tu, caro il mio lettore, se non faccio bene nel frattempo a dedicarmi alla assai più seria puttanata di Fatima.
Ditemi se uno deve farsi trattare da coglione
“In relazione all’articolo apparso oggi su la Repubblica e riportante un’intervista asseritamente resa da mia moglie – dice – preciso di non condividerne il contenuto. In particolare, non è assolutamente conforme al vero la circostanza che io abbia deciso di non presentarmi dinanzi ai Pubblici ministeri di Perugia per non «creare problemi ai veri colpevoli» o a «persone molto più coinvolte di me»”.
Ditemi se uno deve farsi trattare da coglione in questo modo. Ha palesemente usato la moglie per mandare un elegante pizzino ai suoi compari (più o meno: “salvatemi il culo, sennò viene giù tutto”) e io dovrei bermi la pantomima.
Veniamo ai fatti. La moglie concede un’intervista a un giornale. Manco a un giornale qualsiasi, ma a la Repubblica. Dovremmo credere che in una situazione tanto delicata a casa Scajola non si sia concordato nulla su cosa dichiarare, e a chi? “Prego la stampa – dice – di non cercare di ottenere dichiarazioni dai miei familiari”: non faceva prima a pregare la moglie di non rilasciarne?
D’altra parte, non smentisce che la signora abbia davvero rilasciato quell’intervista, né che abbia davvero detto ciò che stamane riportava il giornale: si limita a dire che la moglie non ha detto il vero. “Preciso – aggiunge – che le uniche persone titolate a rilasciare dichiarazioni in merito alla nota vicenda siamo io e il mio legale”: non faceva prima a precisarlo alla signora?
Così intima e così poco addentro? Così poco prudente da inguaiare il marito con dichiarazioni tanto imbarazzanti da dover essere tempestivamente smentite? Poco attendibile anche quando avverte “attenzione perché mio marito è uno tosto”?
«Froci, la natura e il mondo vi ripudierà»
“Udine – Non si placa la polemica sull’affissione dei 100 manifesti di Arcigay e Arcilesbica in città. E non è soltanto polemica sulle idee, sui contenuti, sull’opportunità dell’inizitiva, ma anche contrapposizione che definire di cattivo gusto è un eufemismo. Ieri mattina, in diverse parti della città sono comparsi alcuni adesivi incollati ai muri o alle colonnine dei parcometri con la scritta «Froci, la natura e il mondo vi ripudierà»” (Il Friuli, 17.5.2010).
Non si tratta di banale errore grammaticale: il verbo è coniugato per la terza persona singolare per suggerire un’identità tra natura e mondo. Si tratta di un errore di Weltanschauung.
Un po' di comprensione per il logorio del secondino, illuministi del cazzo!
“Quanto alle punizioni corporali [inflitte agli ospiti degli orfanotrofi gestiti dal clero cattolico], anche qui sarebbe opportuno distinguere, cercare di capire. Immaginare ad esempio quale logorio rappresenti fare ogni giorno il guardiano, il secondino, magari con tutto l’amore possibile, ma anche con tutta la miseria che ci portiamo addosso. Non sarebbe difficile capirlo, se solo si volesse. Se non vi fosse nella nostra cultura quell’odioso pregiudizio illuminista che ci porta a guardare sempre tutto con aria di sopracciò, e di superiorità”
Francesco Agnoli, Il Foglio, 15.5.2010
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