lunedì 10 maggio 2010

Quando è moda, è moda



“Grisbì è una cagnetta seduttrice”
Sandro Bondi, Corriere della Sera, 28.11.2009

“Non faccio più politica, porto a spasso la mia cagnetta”
Giuliano Ferrara, Corriere della Sera, 22.4.2010

“Stavo portando a spasso la mia cagnetta...
Giampiero Mughini, Libero, 8.5.2010

 
A un certo livello la vergine cuccia è diventata un must.

Un parrucchiere alla ristrutturazione degli Uffizi



L’intellettuale più lucido del centrodestra – parlo di Marcello Junio Clerici – è chiamato a superare se stesso, stavolta. Si tratta di difendere Sandro Bondi non già dalle insinuazioni che minano la sua reputazione di uomo onesto – per quello basta un Daniele Capezzone qualsiasi – ma dalle perplessità che sollevano certe sue scelte che il senso comune definirebbe “del cazzo”, come quella di affidare a un parrucchiere la ristrutturazione degli Uffizi. Compito arduo, ma non impossibile.
Gli consiglierei, prima di tutto, di invertire i termini della questione, per mettere in primo piano gli Uffizi, facendo arretrare di un passo il parrucchiere: dire che il signor ministro aveva un fine (la ristrutturazione di un bene artistico), e che sul mezzo per ottenerlo al meglio (parrucchiere o non parrucchiere) non era mosso da idee preconcette o preclusioni aprioristiche, tanto meno verso la nobile tradizione dell’artigianato italiano, da sempre contiguo all’arte, fino confondervisi. Un parrucchiere non è artigiano? Un sano pragmatismo scevro da condizionamenti ideologici mi esclude in partenza un parrucchiere alla ristrutturazione degli Uffizi?
Qui non guasterebbe una tirata – di quelle palpitanti, però – contro la natura dei pregiudizi che stroncherebbero l’opzione-parrucchiere senza neanche prenderla in considerazione: chiaramente radical chic, com’è di quella élite di sinistra, culturalmente egemone,  eccetera, eccetera, eccetera.
Poi, di botto, a chiudere, qualcosa tipo “pure il Vasari, in fondo, partì dalla bottega di un vetraio”.



The Puppet Show


domenica 9 maggio 2010

Avido, l’ebreo




Quando ci si intrattiene sulla differenza tra antisemitismo e antigiudaismo, tra odio razziale e odio teologico, si finisce sempre per trovare un tramite tra i due diversi modi di odiare un ebreo. Uno l’ho trovato stasera, ed è il dargli del cane, scritto in caratteri gotici (qui sopra) o greci (qui sotto).
Hund, nel Mein Kampf (1925). Ma quando degradarono (εξεπεσον) alla condizione di cani (προς την των κυνων συγγενειαν)? San Giovanni Crisostomo non ha dubbi: quando non riconobbero in Gesù il figlio di Figlio. Ma cosa spinse il popolo giudeo nell’abisso nella malvagità? Un vizio – insieme – fisico e morale, nel quale faranno cortocircuito “ragioni” teologiche e razziali: l’ebreo è grasso, la sua πολυσαρκια (Omelie contro gli ebrei, I, 2) è segno di empia ingordigia e di ampia disponibilità di beni materiali, accumulati con la stessa empia ingordigia.
Avido, l’ebreo. Come un cane insaziabile. Come si legge nel Mein Kampf.


Il catalogo è questo



Il database che raccoglie i 4.392 preti statunitensi (solo quelli statunitensi) accusati di abusi sessuali su minori, comodamente consultabile per nome, per diocesi e per stato.

sabato 8 maggio 2010

Gonzi, stanno cercando di rifilarvi un santino


Non farete fatica a trovarne ampia documentazione presso gli storici e i sociologi che hanno affrontato il tema: i rapporti tra chiesa e mafia sono sempre stati buoni, a ogni livello, per una straordinaria coincidenza di mentalità e costumi sotto le due cupole, non di rado sinergiche in affarucci morali e in affaroni economici.
Al netto di qualche prete ucciso da questa o quella mafia, al netto di qualche condanna del fenomeno mafioso emessa da questo o quel vescovo, vi è sempre stata simpatetica alleanza tra familismo mafioso e familismo cattolico: mai la mafia ha veramente rotto il cazzo alla chiesa, mai la chiesa ha veramente rotto il cazzo alla mafia, anzi, è assai più spesso accaduto che chiesa e mafia mostrassero – anche se a posteriori – una felice convivenza sulla pelle di una possibile doppia sudditanza, e dentro la sua stessa carne, dentro la sua stessa mente, come la doppia commessura della stessa bocca sanguisuga.

E dunque, gonzi, sappiate che la chiesa farà santo Rosario Livatino solo perché era un giudice che della giustizia aveva una visione integralmente cattolica: la mafia ha dato solo il tocco necessario, certo non concordato, ma che oggettivamente torna a fagiolo, e di una oggettività che sta nella natura del potere e del tipo di obbedienza che gli è dovuta.
Quando la chiesa definisce Rosario Livatino “martire della giustizia e indirettamente della fede”, intende dire che nel pensiero di quel giudice, eloquentemente glossato e chiosato da molti cattolici integralisti attivi nel web, da anni, c’è la prova – la “testimonianza” – di un’aderenza piena ad un’idea di giustizia che sposa l’idea della sovranità sociale di Cristo.

Se non fosse morto, Rosario Livatino sarebbe l’originale di quella brutta copia che è Alfredo Mantovano (o viceversa, naturalmente) o sarebbe una di quelle penne che fanno coda di pavone su Avvenire, come editorialisti col tic giuridico.
Ma è morto – questo è l’importante – e un morto fatto santo puzza sempre meno di un vivo per il quale – parimenti – il principio che informa il legislativo dev’essere trascendente.
Gonzi, stanno cercando di rifilarvi un santino. Guardate a tergo: c’è una giustizia ispirata dal Catechismo

Certi flood


Ho avuto modo di leggere solo qualche giorno fa – via feed, l’unico ricevuto negli ultimi due mesi da un blog di quella piattaforma – un post di servizio (sarebbe meglio dire: di disservizio) de ilcannocchiale.ilcannocchiale.it datato 25 marzo: “In queste ultime settimane si sono verificati con molta frequenza alcuni disservizi, riassumibili in blocchi della piattaforma. Dopo tutte le verifiche del caso, è stato appurato il motivo di questi disservizi […] Stiamo assistendo ad attacchi di tipo malevolo da parte di gruppi di computer, probabilmente virati, che stanno sistematicamente bombardando il Cannocchiale con attacchi chiamati flood: inviano contemporaneamente, e da computer diversi, centinaia di migliaia di richieste di apertura di connessione, che i nostri server non riescono a soddisfare e vanno quindi in temporaneo blocco. […] Abbiamo deciso di contrastare comunque questi attacchi, per mantenere il livello di qualità degno del valore delle persone che frequentano questa piattaforma”.

Tre giorni prima, nell’impossibilità di accedere a malvino.ilcannocchiale.it sia in lettura che in scrittura, mi ero trasferito qui. Non prima d’aver contattato tre o quattro volte, e fino al giorno prima, i responsabili di quella piattaforma, ma dei flood non mi era stato fatto cenno, sennò sarei rimasto dov’ero, in attesa che il contrattacco al bombardamento riportasse tutto alla normalità.
Avrei sbagliato, perché il problema rimane e obbliga al trasloco anche il mitico Adinolfi, del quale leggo il post di addio al Cannocchiale grazie al solerte copia-incolla di un amico, che in prima battuta me ne aveva solo allegato il link, ignaro del fatto che non avrei potuto aprirlo. Continuo, infatti, a non avere accesso ai blog del Cannocchiale (su Google reader seguo Aronne, Desaparecidos, Makia e un’altra mezza dozzina di blog di quella piattaforma, ma non ho mai avuto un attimino, come si dice, di infilarci anche Adinolfi) e devo ringraziare un pazzo che per sei anni ha archiviato tutto di Malvino, inviandomene copia quando ha saputo, sennò adesso non avrei a disposizione neanche una virgola degli oltre ottomila post scritti di là.

Il mitico scrive: “Qui ci ho messo tutto. La vita che scorreva, giorno dopo giorno. E le idee che si facevano, crescevano, si confrontavano con quelle di ciascuno di voi. In un flusso di coscienza collettiva senza censure, totalmente libero. È stato un capolavoro. E i capolavori hanno un inizio e una fine. Questa è la fine. […] Grazie a tutti, è stato meraviglioso trascorrere questi sette anni insieme. Mi mancherete”.
Frasi brevi, come di commento all’avvincente trailer di un film assai palloso. È un post che merita di essere segnalato per mettere in evidenza l’idiota crudeltà di certi flood.

venerdì 7 maggio 2010

Facilmente accettabile



Un trader avrebbe digitato per errore billions invece di millions su un ordine di titoli della Procter & Gamble e il Dow Jones è crollato: 1.250 miliardi di dollari andati in fumo per una b al posto di una m, che su una tastiera stanno a meno di 3 cm di distanza l’una dall’altra. È pensabile che sia andata proprio così? No, però è spiegazione che sa di apologo e che dunque si presta ad essere facilmente comprensibile, più accettabile.

Farsa stravista



La cricca si è ispirata ai più volgari luoghi comuni di cricca, mettendo insieme figurine prese in prestito da film di serie B: il faccendiere, il suo factotum, l’autista tunisino, il gentiluomo di casa pontificia un poco pederasta, il ras dei dissesti idrogeologici, il ministro strafottente e strafottuto, le sorelle con la casa davanti al Colosseo, l’anziano pretozzo che tiene cassa…
Trama arcinota, personaggi scontati, un cast di caratteristi riciclati, comparse spostate all’ultimo minuto da un altro di film di serie B, fondali ritagliati via da Case & Giardini, patetici effetti speciali, colpi di scena dove e come te li aspetti, cronisti costretti a spremere sangue dalle rape e pathos dall’ovvio, carabinieri e magistrati dalle ascelle molto sudate.
Quanto più affascinanti, quanto più eccitanti, gli affari tra i talebani e i grossisti d’oppio afghani, tra i signori della guerra e i trafficanti di diamanti sudanesi, tra gli agenti del Kgb e i guardiani della rivoluzione islamica: qui è farsa stravista.

1919



“Non lo so”


Recupero da pontifex.roma.it un articolo apparso sul Corriere della Sera del 19 aprile e che mi era sfuggito. Si tratta di un aneddoto estratto dal viaggio di Sua Santità a Malta, a firma di Lorenzo Salvia, che così narra: “Joseph Magro arriva davanti a Benedetto XVI e la voce gli trema ancor più delle gambe. Riesce a fare l’unica domanda possibile per chi […] da bambino è rimasto orfano e poi ha subito violenze terribili dai preti che si dovevano prendere cura di lui: «Perché ci hanno fatto questo?»”.
Leggendo, qui m’è salito il cuore in gola e ho pensato: ecco la madre di ogni topos, adesso l’“esperta in umanità” parlerà per voce della sua più alta espressione, e finalmente sapremo.
Ho scommesso che la risposta fosse: “Colpa di Satana”. Ho perso, perché Sua Santità ha risposto: “Non lo so”.

“Esperta in umanità”, la Chiesa: per duemila anni ha ascoltato miliardi e miliardi di confessioni e tutti le hanno aperto cuori e menti fino a offrirle una conoscenza di tutto ciò che è umano, nel bene e nel male, che non ha pari per estensione e profondità. Tuttavia, quando un prete confessava a un altro prete di aver stuprato un bambino, si distraeva, pensava ad altro, e così non è riuscita a formarsi un’idea sull’argomento: “Non lo so”, ecco il distillato.
Ecco la madre di tutti i topi, proprio così, ma nel senso di vera e propria zoccola.

L'orgoglio


“il grado di coscienza /nei muscoli del collo”
Franco Battiato, Fisiognomica (1988) 

Non ho mai dedicato un rigo a Denis Verdini, perché non mi saprei saputo trattenere da divagazioni sulla sua fin troppo eloquente fisiognomica, e parlo dei suoi muscoli del collo. Ne vado orgoglioso, perché sarei stato odiosamente disonesto sul piano intellettuale, dando alla fisiognomica una forza che essa ha solo quando se la prende, e dopo che se l’è presa, quando non ha bisogno di nessuno che gliela conceda.

Non si capisce esattamente cosa voglia, il Magris


Non si capisce esattamente cosa voglia, il Magris. Concede che non manchino i motivi perché la Chiesa sia oggi fatta “bersaglio dei lazzi” per le “gravissime colpe di alcuni suoi esponenti commesse ai danni di minori indifesi”, per la sua “inadeguatezza ad affrontarle”, per la sua “riprovevole tendenza a celarle”. Concede che il suo essere “maldestra nella comunicazione” abbia aggravato la sua posizione dinanzi all’opinione pubblica, sicché qualche “uscita di pessimo gusto la si può lasciar passare con indulgenza”. Poi, però, dopo aver tanto concesso, lamenta un “furore ingiusto” nei “dileggi indiscriminati” che nel fondo avrebbero la “maligna soddisfazione” di istigare a “sospettare in generale di pedofilia” tutto il clero.
Pare che anche al Magris sfugga che è proprio la “riprovevole tendenza” mostrata dalla Chiesa a “celare le gravissime colpe di alcuni suoi esponenti” che oggi non consente di far troppa distinzione tra erba ed erba: il fascio le ha troppo strettamente avvinte insieme, nascondendo la cattiva in mezzo a quella buona.

E tuttavia il Magris ha ragione: ci sono preti pedofili e preti non pedofili. Io, per esempio, quando ne incontro uno per strada, mi trattengo dal dileggiarlo subito. Mi avvicino e gli chiedo prima: “Pedofilo?”.

giovedì 6 maggio 2010

Reliquia e icona, comunque feticcio


Il fatto che la Sindone di Torino sia stata definita “icona” da Benedetto XVI, e non “reliquia”, è stato sottolineato da un gran mucchio di penne, anche assai dotte, e tutte hanno appuntato a margine la sostanziale differenza del significato dei due termini.
Bene, io considero questa differenza del tutto irrilevante al fine ultimo che la Santa Sede affida al telo nell’economia salvifica: può non essere “reliquia” (s’è scritto pure che Giovanni Paolo II l’abbia definita tale, ma a me non risulta), può non esserlo, perché da icona serve in egual modo, e cioè da “feticcio”. Mi spiego subito, per evitare che si consideri arbitraria l’introduzione di questo terzo termine nella questione.
Se il mistero è trascendente, ciò che ne dà traccia nell’immanente è suo segno: tra reliquia e icona c’è solo differente profondità del segno, e Cristo sta a quel telo come il significato sta al significante.
Si vuole una prova? La dà proprio Benedetto XVI, subito dopo aver detto che la Sindone è icona: “Infatti essa è un telo sepolcrale, che ha avvolto la salma di un uomo crocifisso in tutto corrispondente a quanto i Vangeli ci dicono di Gesù, il quale, crocifisso verso mezzogiorno, spirò verso le tre del pomeriggio”.
Quell’“infatti” è meno paradossale di quanto sembri, perché esprime l’elemento feticistico comune a reliquia e a icona. Per dire, se al polso del morto, sull’icona, ci fosse impronta di orologio fermo alle tre, il telo sarebbe concorde ai Vangeli, e da feticcio potrebbe funzionare tale e quale. Tutt’è poter far conto su quanto i feticisti siano disposti a chiudere un occhio.

mercoledì 5 maggio 2010

L'Unità d'Italia per Santa Sede e Lega: perché e soprattutto come.


Sull’Unità d’Italia – intesa come evento storico e sua ricorrenza – si vanno delineando posizioni che solo in apparenza sono concordi o discordi. Le posizioni di Santa Sede e Lega, per esempio, sembrano discordi, ma non lo sono affatto, come dimostra quanto scrive Francesco D’Agostino (Avvenire, 5.5.2010), che, dopo aver definito l’Unità d’Italia “evento storico di grande rilevanza” e “ricorrenza di grande valore, celebrare la quale [è] un dovere e non un’opzione facoltativa”, passa a dare le definizioni di Unità e di Italia, sulle quali un leghista non avrebbe nulla da ridire.
L’Unità – quella che si realizza nel 1861 – è mera ratifica storica, evento epifenomenico di una identità italiana antecedente ad ogni guerra di indipendenza, antecedente ad ogni invasione e dominio straniero, connaturata – indovinate in cosa – nel suo carattere cristiano. Letteralmente: “L’Italia, da un punto di vista culturale, artistico, linguistico e soprattutto religioso, era già unita da secoli e secoli [prima del 1861]. L’Italia è, dunque, un fatto metastorico, è la perifrasi geografica di un carattere “soprattutto religioso”: l’evento storico del 1861 dà a questo carattere una dimensione statuale, ma quella nazionale è antecedente alla fondazione dello Stato unitario, ed è identità di nazione cristiana.
Messo questo paletto, Francesco D’Agostino ci si appoggia e lamenta confusione tra statuale e nazionale, confusione che lo Stato fa pesare alla Nazione, al punto che la “troviamo perfino nella nostra Costituzione, quando parla di territorio «nazionale» (art. 16) oppure quando (art. 87) afferma che il presidente della Repubblica rappresenta l’unità «nazionale»”. Trattandosi di entità identitaria “soprattutto religiosa”, provate a immaginare chi debba essere considerato rappresentante dell’unità nazionale al posto del presidente della Repubblica. “È evidente che tra Stato e Nazione esiste uno strettissimo rapporto – concede Francesco D’Agostino – che [però] non giustifica però l’assimilazione dei due concetti. Lo Stato fa riferimento al «potere» (e alle modalità del suo esercizio), la Nazione invece all’«identità» di un popolo (e alle sue forme espressive)”, che – ripetiamolo – sono culturali, artistiche, linguistiche e soprattutto religiose: è fatta bella sintesi della doppia obbedienza (a Cesare e a Dio) e della doppia fedeltà (allo Stato e al Papato) che, quando maturano contraddizione interna, non rendono difficile scegliere quale sacrificare.
Siamo ancora e sempre alla Lettera a Diogneto: è fatta giustificazione della disobbedienza al “«potere» (e alle modalità del suo esercizio)”, che sono laiche per principio, in favore dell’obbedienza alle espressioni identitariamente congrue alla natura di una Nazione cristiana, anzi cattolica, quando è necessario. Ed è necessario quando a dichiararlo tale è il rappresentante dell’unità nazionale, che incidentalmente ha prerogativa magisteriale.
E dunque “è indubbio che l’Italia attraverso l’Unità abbia consolidato indirizzato lo sviluppo della sua economia, abbia ottenuto maggiore attenzione nel concerto politico d’Europa, abbia garantito che alcune delle sue regioni più povere ottenessero significativi benefici, abbia soprattutto favorito movimenti demografici al proprio interno, indispensabili per la modernizzazione del Paese. Non dimentichiamoci però che ciò è potuto accadere perché, già molto, molto prima di costituirsi in Stato unitario, l’Italia si era già costituita, attraverso la sua lingua, i suoi costumi, la sua arte, la sua religione in nazione e tra le più antiche d’Europa”.
Bello, eh? E però rimane un problemino: com’è che questa nazione così antica, naturalmente espressa come identità cristiana, si è così tenacemente opposta alla fondazione dell’Unità statuale? Che senso acquista, la breccia di Porta Pia, in questa graziosa costruzione di Francesco D’Agostino? La Nazione italiana voleva o non voleva l’annessione dello Stato Pontificio al Regno di Savoia? In parte sì e in parte no, potremmo dire, se non vogliamo che la graziosa costruzione crolli.
E che sostengono, i leghisti? La stessa cosa. C’era chi voleva l’Unità d’Italia e c’era chi non voleva, c’è chi l’accetta di buon grado e chi a fatica. Sia, ma si affermi che è espressione di un potere, non di una identità. Il primo è riformabile, l’identità no. Tra la fedeltà allo Stato e la fedeltà ad una identità di Nazione (padana in quanto pre-italiana), quale è sacrificabile?

“Lei è un bugiardo e un mascalzone, vada a farsi fottere” (Massimo D'Alema - Ballarò, 4.5.2010)


Però dandogli del lei, pur sempre segno di un certo autocontrollo.


martedì 4 maggio 2010

Segnalazione

Le spente luci della città.

1977


Oh, nooo!



Mi pare disonesto il voler vincere a tutti i costi, non il riuscire anche a perdere pur di togliersi uno sfizio. Non mi sembra affatto scandaloso il comportamento della Lazio, né quello dei tifosi laziali. Male solo per l’assenza della virgola e del punto esclamativo.

Non è possibile riforma della Chiesa


Sul numero di Internazionale ancora in edicola (844/XVII) è pubblicato un articolo di Paul Kennedy, tradotto da Bruna Tortorella, apparso il 13 aprile sull’International Herald Tribune, e che vale la pena di leggere (qui, nella versione originale).
Kennedy chiede sforzi terribili alla Chiesa: “the strongest possible affirmation of the doctrine of the sheer evil of the abuse of power and trust”, “to remind all clergy that sexual abuse is not only a mortal sin but also a major transgression of criminal law”, “to articulate a sensible and just way of dealing with the superiors of the abusers”, tutta roba che la sovvertirebbe dal di dentro.
Dal di dentro, la Chiesa si sente corpo mistico di Cristo, i suoi preti vengono “costruiti” in questa convinzione: gerarchia organica dove le parti non si sentono distinguibili dal tutto, sicché Kennedy pretende davvero troppo, cioè che la Chiesa si abbassi ad essere una comunità qualsiasi.
È sul suo peculiare che la Chiesa pensa di aver sempre puntato con profitto, e nulla le farà cambiare idea nel posto dove l’idea si forma: durare è il suo unico scopo, oltre e sopra ogni altra cosa, anche a dispetto delle apparenze. Non è possibile riforma della Chiesa, se non posticcia.