mercoledì 24 novembre 2010

Molto bene, direi


Quando s’è saputo che Benedetto XVI concedeva vi fossero “casi giustificati” di uso del preservativo, vi ho invitato a non guardare la luna ma il dito: quella concessione non era esplicitamente espressa nella dottrina, ma si trattava della personale opinione di un teologo che discettava di morale. A parlare era stato Joseph Ratzinger, non il Papa, e ho scritto: “Non si tratta di un’affermazione tratta da un’enciclica pontificia, né da un documento ufficiale della Congregazione per la Dottrina della Fede sottoscritto dal Papa, né da un testo che abbia forza di emendare il magistero”. Mi è subito venuto a dare sostegno padre Federico Lombardi, che qualche ora dopo precisava che quanto riportato nel libro-intervista era espresso “in una forma colloquiale e non magisteriale”.
Intanto c’era chi faceva notare la possibilità di un errore nella versione in italiano dell’affermazione del dottor Ratzinger: l’uso del preservativo doveva ritenersi “giustificato” non già nel caso di una prostituta che lo pretendesse dal cliente per evitare il rischio di contagio da malattia a trasmissione sessuale, ma nel caso di “ein Prostituierter”. Era proprio così. Implicazioni? Sembravano essere notevoli. “Il prostituto sta comunque commettendo un male (perché è omosessuale e perché si prostituisce), ma si tratta di un male che avrebbe commesso ugualmente anche senza profilattico”; nel caso della prostituta, invece, con l’uso profilattico si ammetterebbe la liceità morale di scegliere “un male minore (la prostituta non può più rimanere incinta dei suoi clienti)” rispetto a “un male maggiore (la prostituta alla lunga rimarrà contagiata)”, sicché “ciò che si applica alle prostitute dovrebbe a maggior ragione applicarsi anche alle coppie sposate, e che dunque l’uso del profilattico sarebbe adesso considerato tollerabile per prevenire l’Aids: una vera e propria rivoluzione, per la Chiesa”.
Insistevo nel dire che cambiava poco o niente: non si era validato l’uso del preservativo come “male minore” rispetto a un “male maggiore”, ma lo si era solo definito – qui è il caso di citare testualmente – un “primo passo verso una moralizzazione, un primo atto di responsabilità per sviluppare di nuovo la consapevolezza del fatto che non tutto è permesso e che non si può far tutto ciò che si vuole”. L’ho definito “un memento del peccato che si sta compiendo”. E quindi prostituta o prostituta non faceva differenza.
Padre Lombardi tornava a darmi sostegno: “Ho chiesto al Papa se c’era problema serio di scelta nel maschile piuttosto che nel femminile. Lui mi ha detto di no. Il punto è il primo passo di responsabilità nel tenere conto del rischio della vita dell’altro con cui io sono in rapporto. Se si tratta di un uomo o di una donna o di un transessuale è lo stesso”. È lo stesso Papa – non dimentichiamolo – che poco più di un anno fa ha dichiarato che il problema dell’Aids non si risolve con la distribuzione di preservativi, che anzi “aumentano il problema”: è evidente che l’uso del preservativo è “giustificato” non già come soluzione, ma come “primo passo verso una moralizzazione”, come possibile occasione di “consapevolezza” del peccato.
Riassumendo: quella del dottor Ratzinger non era un’affermazione ex cathedra, né indicava il preservativo come “male minore” o soluzione, né ammetteva come tollerabile sul piano morale il suo effetto contraccettivo. E dunque? E dunque niente, come vi avevo detto: nessuna storica apertura. Anche qui padre Lombardi si affrettava a darmi sostegno: “Il Papa non riforma o cambia l’insegnamento della Chiesa, ma lo riafferma […] Il ragionamento del Papa non può essere certo definito una svolta rivoluzionaria”.
Ennesimo infortunio mediatico e comunicativo, concludevo. E il filo del distinguo nelle due note del direttore della Sala Stampa Vaticana era di così ardua comprensione da poter essere sicuri che anche stavolta si creerà smarrimento e confusione nel gregge. Molto bene, direi.

martedì 23 novembre 2010

Ghe basti mi



“Invito tutti al senso di responsabilità, alla sobrietà, al rispetto dei nostri militanti e dei nostri elettori che non approvano certo personalismi ed esibizionismi”


I “mitologici under 40”



Caro lettore, di tutto ciò che in qualche modo ci dovrebbe o potrebbe unire perché in comune a me e a te, l’età è la più aleatoria e più aleatorio di tutto è il legame per fascia d’età. Se siamo entrambi del 1957, già possiamo essere irreparabilmente distanti perché totalmente diversi, ma è pura follia pretendere che ci sia qualcosa in comune tra noi due per il solo fatto di essere nati entrambi negli anni ’50. Più che da folle è da idiota, poi, pensare che qualcosa accomuni me, te e tutti quelli che hanno più di 50 anni – e fino a un condiviso sentire (o sentir d’essere) – perché nati tutti prima del gennaio 1960. Però è ancor più che da idiota – direi sia da cretino senza speranza di un riscatto – pensare che si possa avere in comune abbastanza per il solo aver meno di un tot d’anni. Ma forse sono troppo lapidario, e allora diciamo che fino a una certa età, diciamo fino ai 15-16 anni, sentire un vincolo anagrafico è da minus habens in senso lato; dopo quella età è da minus habens in senso stretto.
Ciò detto, ci sarebbe da commentare l’uscita in edicola del primo numero di un “settimanale immaginato, diretto, scritto, impaginato e comprato dagli italiani nati dopo il gennaio 1970”, i “mitologici under 40”. Qui la cretinaggine mostra tutta la sua disperazione nel fatto che a pensare e realizzare una roba del genere è quel Mario Adinolfi che di lustro in lustro alza la soglia sopra la quale tutto è mito: under 30, under 35, adesso under 40, probabilmente nel 2050 sarà preso da qualche brillante iniziativa da proporre ai “mitologici under 80” (probabilmente si tratterà di rottamare gli ultracentenari dirigenti del Pd).
Non nuovo a questo genere di fanfaronate – un quotidiano chiuso dopo pochi mesi di vita – l’esuberante Adinolfi annuncia: “Ci abbiamo lavorato tanto che ora, eccoci qui: giovedì 25 novembre usciamo in edicola in anteprima nazionale a Roma, come fossimo un film”. Vietato ai maggiori di 40 anni, perché troppo impressionabili.

A margine


Gran parte della musica leggera prodotta nei paesi di lingua inglese negli ultimi 60-70 anni ha in comune la lontanissima e comune radice nei canti degli schiavi d’America. È la prima metafora che mi salta in mente in fondo al II capitolo de Il cristianesimo primitivo di Charles Freeman, che sto rileggendo e che riconsiglio. (Sarà che si tratta in entrambi i casi di un prodotto della/nella cattività.) Il cristianesimo primitivo sta al cattolicesimo dell’ultimo secolo – mi viene da pensare – come uno spiritual cantato in una piantagione di cotone sta a una canzone di Elvis Presley, di Bob Dylan, di Bruce Springsteen e dell’ultimo post-grunge. Ma i canti degli schiavi afro-americani in cosa avevano radice a loro volta? Per Gerhard Kubik (Theory on African Music, 1994), l’avevano nella musica islamica. E il cristianesimo primitivo, in cosa ha radice? Per Freeman, sicuramente nell’ebraismo. (La tesi dell’influenza essena è rigettata: gli esseni credevano nell’immortalità dell’anima, ma non nella resurrezione dei corpi, alla quale credevano i farisei. Gesù era un fariseo, poi dissidente.) Probabilmente tra i paramenti sacri indossati nel primo Tempio di Gerusalemme e gli orribili pastrocchi addosso a Benedetto XVI c’è la stessa differenza tra un maqam e una canzone di Kid Creole & The Cononuts.


When I see the price that you pay




Pareva


La settimana scorsa pareva che Silvio Berlusconi avesse i giorni contati e che rimanesse solo da decidere se appenderlo a testa in giù a Piazzale Loreto o consentirgli magnanimamente di fuggire ad Antigua. Questa settimana non pare. Pare che ancora una volta l’ometto eccella nel riprendersi, recuperare, rimontare e un’inquietudine serpeggia fra chi lo dava per spacciato, non detta, come per essere esorcizzata: ancora una volta riuscirà a vincere dove tutto lo dava per perdente? Come è potuto accadere?
Diciamo innanzitutto che la sua rovina dipendeva da quanti fossero stati disposti ad abbandonarlo e che in pochi giorni il numero di costoro è andato via via a diminuire, anzi, si è arrivati a registrare qualche resipiscenza e qualche ritorno, che ha intimorito e fin quasi intimidito chi gli si era rivoltato contro.

Diciamo che il ravvedimento ha effetto edificante (mostra il vantaggio che ne consegue) e che il pentimento ha effetto trascinante (prima ci si pente, maggiore è il vantaggio, che progressivamente scema): nessun prezzo era troppo alto per comprare il primo ravvedimento, ed è stato pagato. In questo genere di commercio Berlusconi potrà risultare osceno ai puri, ma è insuperabile: riesce a comprare tutto ciò che è comprabile e qualcosa di più. Non restava che dare la giusta pubblicità agli acquisti – pardon, alle resipiscenze – e il vantaggio nell’essergli fedele ha cominciato a superare quello peraltro assai incerto nel tradirlo. Ma fedeltà e tradimento – se è necessario chiarirlo – sono qui usati per semplificare atteggiamenti di maggior complessione morale, anzi, comportamenti extra-morali.


Quando il preservativo non è contraccettivo


L’Osservatore Romano pubblica la nota ufficiale della Sala Stampa Vaticana che dà il peso esatto alle affermazioni di Benedetto XVI riguardo ai “singoli casi [che egli ritiene moralmente] giustificati” dell’uso del preservativo: era l’opinione di un Papa, certo, ma espressa “in una forma colloquiale e non magisteriale”. Si tiene a far presente che in quel contesto la “giustificazione” non è data dalla scelta di un “male minore” (tra due mali, uno maggiore e l’altro minore, la Chiesa chiede di sospendere ogni scelta rifiutando entrambi), ma dal segno di responsabilità evidente in essa. Nulla, invece, su quella che s’è poi rivelata come errata traduzione in italiano di un termine che nella versione originale era al maschile (“ein Prostituierter”) e che anche L’Osservatore Romano ha riportato al femminile (“una prostituta”), sicché parrebbe che la Santa Sede sia intenzionata a non tenere in alcun conto ciò che sarebbe implicito nell’uso del preservativo da parte di un gay che si prostituisce e cioè il fatto che in quel tipo di atto sessuale il condom non abbia un fine contraccettivo: se non ce l’ha, perché dovrebbe essere moralmente illecito?
È come se la Santa Sede cercasse di eludere questa domanda, almeno così è parso ad alcuni, fra i quali l’ottimo Giuseppe Regalzi: “Nel caso del prostituto omosessuale […] usare il preservativo non fa deviare l’atto sessuale da quello che per la Chiesa è il suo fine: quell’atto, per la Chiesa, è già deviato […] Il prostituto sta comunque commettendo un male (perché è omosessuale e perché si prostituisce), ma si tratta di un male che avrebbe commesso ugualmente anche senza profilattico. [...] Se il papa avesse davvero detto che una prostituta può chiedere ai propri clienti di usare il preservativo per proteggersi dall’infezione dell’Hiv, avrebbe con ciò ammesso che un male minore – la prostituta non può più rimanere incinta dei suoi clienti – è preferibile a un male maggiore – la prostituta alla lunga rimarrà contagiata e, soprattutto se non ha accesso ai farmaci moderni, morirà. Avrebbe quindi negato uno dei principi più importanti della bioetica cattolica; e anche se un’intervista non può paragonarsi a un atto solenne del magistero, e non ha quindi valore dottrinale (il papa non parla qui ex cathedra, e non può quindi essere ritenuto infallibile), si sarebbe trattato comunque di un’affermazione clamorosa”. Stando alla versione originale, dunque, “il pensiero papale non va manifestamente contro la dottrina”, e allora perché precipitarsi dalla Sala Stampa Vaticana a precisare che Benedetto XVI non avesse parlato ex cathedra? Probabilmente perché “prostituta” poneva il problema bene esposto da Regalzi. Ma che bisogno c’era di fare il distinguo tra opinione personale e dettato magisteriale, una volta stabilito che il Papa aveva parlato di un “prostituto”? Forse che l’uso del preservativo è condannato dalla dottrina della Chiesa anche al di là del suo fine contraccettivo? Non dimentichiamo che “ein Prostituierter” può anche avere clienti di sesso femminile e in età fertile: anche in questo caso, il preservativo avrebbe tra i suoi fini, primario o secondario, quello contraccettivo. Ma dove sarebbe il peccato nell’uso del preservativo da parte di “ein Prostituierter” rigorosamente gay?
Perplessità legittime secondo una logica piana, ma quella cattolica non lo è. Infatti, sebbene la dottrina della Chiesa condanni esplicitamente l’uso del preservativo solo perché separa il momento unitivo da quello procreativo, non manca una condanna implicita del suo uso al fine di evitare il contagio di malattie a trasmissione sessuale: se consente di commettere un peccato mortale al riparo da ogni rischio, in qualche modo lo favorisce. In altri termini, il preservativo consente a un gay la scelta tra male minore e male maggiore, rendendogli più difficile il rifiutare entrambi con la castità, che poi sarebbe quanto il Catechismo chiede alle persone omosessuali (2359). E senza mai dimenticare che per la dottrina cattolica la vita non è un bene assoluto come lo è la salvezza dell’anima. 
Mi auguro con ciò di aver risolto i dubbi di Regalzi.  

lunedì 22 novembre 2010

Fedeli, però col brivido


Paura, eh? Tranquilli, i radicali non voteranno la fiducia al governo. Non hanno firmato la mozione di sfiducia del Pd, né quella dell’Idv, ma questo non vuol dire. Sia dato, dunque, il giusto rilievo alla notizia: i radicali non sono oggetto di campagna acquisti, non sono merce che Berlusconi può comprare. Alla Camera sono 6 e sono indispensabili: appena è girata voce che potessero “tradire”, la loro indispensabilità è parsa evidente a tutti. Già, ma come s’è potuta diffondere, la voce? C’è stato un equivoco, ecco. Un incredibile equivoco. Da non crederci.
È andata così, pare. Il 17 novembre Marco Pannella aveva preso carta e penna e aveva scritto al Presidente del Consiglio: “Quando si riconosce carattere e dignità di interlocutore politico al più antico partito nato in Italia, che sia Bersani, Berlusconi, Bossi o Di Pietro, noi riteniamo non solamente utile ma anche necessario un dialogo costruttivo sull’immediato e sulle prospettive”.
Una voglia di “dialogo”, questo è tutto. “Costruttivo sull’immediato e sulle prospettive”? Ma sì, era per dare un tono alla richiesta, mica poteva dire: “Silvio, ti va del pourparler?”. Parlare, nient’altro che parlare, Pannella non aveva altra intenzione: parlare e far parlare, possibilmente di sé. E lì, vil razza dannata, i giornalisti ad equivocare.
Quante ne abbiamo sentite. “I radicali so’ matti”. “I radicali so’ traditori, ce l’hanno nel sangue”. “No, no, un momento, pare che i 6 voti siano in cambio di 6 riforme”. “Forse anche solo 3”. “Forse solo 2”. E i radicali, intanto, muti. Probabilmente offesi.
Chiedevano a Matteo Mecacci che cazzo stesse accadendo: “È un’iniziativa presa da Pannella, chiedete a lui”. Stessa domanda alla Coscioni: “Che fate, tradite?”. Serafica: “C’è tempo per decidere”. Idem la Bonino: “Manca ancora un mese”. Qualcosa in più da Rita Bernardini: “Certo Pannella si rivolge al Presidente del Consiglio. Ma non è un caso se subito dopo mette il nome di Bersani. Noi radicali chiediamo a Bersani di riconoscerci come interlocutore politico”. Scrivendolo a Berlusconi: caro Silvio, vorremmo dialogare con Pierluigi…

Via, fuor d’ironia: Pannella cercava un modo di far parlare di sé, cercava un modo per rammentare a tutti – in primo luogo al Pd – che i 6 radicali alla Camera sono indispensabili e che sanno essere fedeli, però col brivido. Non si stava vendendo a Berlusconi, si stava rivendendo a Bersani.


A parte Il “più antico partito nato in Italia” non è quello radicale, ma il Südtiroler Volkspartei, che è nato nel 1945 e ha oltre 60.000 iscritti.

"... ci siamo comportati da malvagi..."




Che vi dicevo?


Che vi dicevo? Nessuna “storica apertura”. Era questione secondaria, dunque, se Benedetto XVI avesse detto “prostituto” o “prostituta” (*) e padre Federico Lombardi nemmeno sfiora la faccenda, ma si precipita a precisare che quanto detto sul preservativo è stato formulato “in una forma colloquiale e non magisteriale”. L’ortodossissimo pontifex.roma.it commenta in modo ancora più brutale: “Il Papa ha detto certe cose non in qualità di magistero (sarebbe stato allora ex cathedra e dunque atto infallibile), ma in forma discorsiva e dunque criticabile sia pure con il dovuto garbo”. Proprio come vi anticipavo: “Non si tratta di un’affermazione tratta da un’enciclica pontificia, né da un documento ufficiale della Congregazione per la Dottrina della Fede sottoscritto dal Papa, né da un testo che abbia forza di emendare il magistero [...] Non è stato il Papa a dire che «vi possono essere singoli casi giustificati» di uso del preservativo, ma Joseph Ratzinger, e l’ha fatto nel corso di una conversazione privata, anche se destinata a diventare pubblica”.
Resta il fatto che siamo dinanzi all’ennesimo infortunio mediatico, mai visti tanti in un solo Pontificato. Anche stavolta è Benedetto XVI a provocarlo, ma non mancherà chi si arrampicherà sugli specchi per dimostrarci che è stato vittima di chi ha voluto fraintenderlo. Intanto, mentre ingenui e sprovveduti plaudono alla “svolta rivoluzionaria”, la Santa Sede va in affanno a smentirla con un distinguo che difficilmente sarà ben compreso dai semplici: il magistero della Chiesa continua ad essere irremovibile sul preservativo e il Papa, che ne è la più autorevole espressione, non può che esservi pienamente aderente, mentre Joseph Ratzinger può risultarne scollato fino al punto da essere “criticabile”. Vallo a spiegare ai poveri di spirito. 

(*) Sono passate 12 ore da quando Paolo Ferrandi ha segnalato che sui media in lingua inglese e francese la frase di Benedetto XVI fa riferimento a un “un prostituto” (“a male prostitute”, “un homme prostitué”), indicandola come versione errata; 10 ore da quando Giuseppe Regalzi ha segnalato che era così anche nella versione in tedesco messa in rete il 17 novembre da kreuz.net (“ein Prostituierter”), indicandola come possibile versione esatta; 5 ore da quando Ansa dà notizia che tutto si è chiarito (Sua Santità intendeva dire “prostituto”); e alle 23.00 di domenica 21 novembre su vatican.va si legge ancora quanto era sull’edizione cartacea de L’Osservatore Romano: “… quando una prostituta utilizza un profilattico…”. Forse nemmeno provvederanno alla correzione, pare non faccia grossa differenza. A rigor di logica la farebbe?
Regalzi scrive: “Se il papa avesse parlato di prostituta, al femminile, ci troveremmo di fronte a una radicale innovazione nel magistero ecclesiastico, che finora ha sempre condannato il profilattico e gli altri mezzi anticoncezionali in quanto impediscono all’atto sessuale di raggiungere la sua «finalità intrinseca» (cioè la procreazione), senza mai porsi il problema del male minore. Sembra chiaro che ciò che si applica alle prostitute dovrebbe a maggior ragione applicarsi anche alle coppie sposate, e che dunque l’uso del profilattico sarebbe adesso considerato tollerabile per prevenire l’Aids: una vera e propria rivoluzione, per la Chiesa. Ma se, come sembra, il papa ha parlato di prostituti, al maschile (e riferendosi, beninteso, alla prostituzione omosessuale), ci troviamo in un caso in cui di procreazione non si può assolutamente parlare, e l’apertura papale diventa assai marginale”. Non troppo marginale, direi.
Direi che anche qui siamo di fronte ad un peccato mortale (qui è un atto omosessuale, lì è un rapporto sessuale fuori da matrimonio: entrambi violano lo stesso comandamento, il sesto); anche qui è in discussione la “giustificazione” dell’uso del preservativo finalizzato ad impedire il contagio tra chi si prostituisce e il suo cliente; anche qui saremmo di fronte a “un primo atto di responsabilità” che si configurerebbe come scelta del “male minore” (che la dottrina morale della Chiesa non contempla come opzione valida). Anche la variante con “prostituto”, dunque, non è priva di problematicità. Ma  si è detto – Joseph Ratzinger parlava a titolo personale, e comunque non ex cathedra. Non poteva essere una svolta storica.

A parte  Immancabile chi non ha capito un cazzo.

domenica 21 novembre 2010

Battuto il record detenuto da Il Foglio


“Per i ragazzi l’età da matrimonio è attorno ai 20 anni e per le ragazze deve situarsi tra i 16 e i 17 anni”



“Storica apertura”


Nessuna “storica apertura”, figuriamoci. Ancora una volta il mondo fraintende: non è stato il Papa a dire che “vi possono essere singoli casi [moralmente] giustificati” di uso del preservativo, ma Joseph Ratzinger, e l’ha fatto nel corso di una conversazione privata, anche se destinata a diventare pubblica (Luce del mondo, Libreria Editrice Vaticana 2010). Il contesto è tutto, sicché Vittorio Messori ha ragione: “Nulla viene scalfito nell’impostazione etica del magistero” (La Stampa, 21.11.2010). E dunque, prima di analizzare ciò che Joseph Ratzinger dice a Peter Seewald, diciamo subito: non si tratta di un’affermazione tratta da un’enciclica pontificia, né da un documento ufficiale della Congregazione per la Dottrina della Fede sottoscritto dal Papa, né da un testo che abbia forza di emendare il magistero. E dunque – ancora con Messori – “quello di cui parla il Pontefice è un atto di carità (si tratta di una prostituta che chiede al suo cliente di mettere il preservativo per evitare un contagio), e da ciò non derivano conseguenze distruttrici sulla dottrina”: ogni atto sessuale è lecito solo nel matrimonio e deve rimanere aperto alla procreazione, l’uso del preservativo a scopo contraccettivo rimane un’offesa al sesto comandamento, e dunque è peccato mortale. Del tutto fuori luogo, quindi, immaginare che la Chiesa stia facendo una “storica apertura” su sesso e contraccezione.
Anche riguardo all’uso del preservativo come metodo per impedire il contagio di malattie a trasmissione sessuale, tutto è come prima perché in Luce del mondo si afferma che “questo può essere il primo passo verso una moralizzazione, un primo atto di responsabilità per sviluppare di nuovo la consapevolezza del fatto che non tutto è permesso e che non si può far tutto ciò che si vuole”: lungi dall’essere uno strumento ritenuto moralmente valido allo scopo – la Chiesa continua a ritenere che l’unico sia la castità – il preservativo viene ad essere considerato, meno di un “male minore”, un imperfetto memento del peccato che si sta compiendo. D’altra parte, in chiusa, Joseph Ratzinger dice: “Le prospettive della Humanae vitae restano valide”. E fino a quando restano valide quelle, nessuna “storica apertura” è possibile.



sabato 20 novembre 2010

Correte in edicola


Il prossimo numero di 30giorni è imperdibile per i viziosi: “ventiquattro testi inediti: bre­vi lettere o biglietti che ab­bracciano gli anni fra il 1935 e il 1963 [inviati dal] futuro Paolo VI [a] suor Maria I­gnazia dei Santi Innocenti, agosti­niana del monastero dei Santi Quattro Coronati […] dove fu anche superiora dal 1949 al 1968. […] C’è una propensio­ne all’eccesso da parte della mona­ca circa sacrifici e mortificazioni [e] don Montini [:] «Io non direi che lei debba imporsi altre penitenze, oltre a quelle recla­mate dalla regola […] Non aggiunge­rei pratiche particolari […] Faccia come crede meglio, ma, ripeto, con giudizio e modera­zione»…” (Avvenire, 19.11.2010), insomma un arrapantissimo carteggio tra una slave avida di lividi e umiliazioni e un master austero e algido, in sublime equilibrio tra distacco e controllo.
Solo un vizioso dai gusti grossolani potrà crucciarsi del fatto che 30giorni pubblichi solo i testi del master: il vizioso dai gusti bene educati saprà leggere quelli della slave in controluce, certamente sulla falsariga delle umiliazioni che si imponevano sante dei bei tempi andati, quando l’Europa era cristianissima. E sarà meglio così, perché il non detto è spesso più eccitante. A piacere, il vizioso sopraffino potrà immaginare che suor Maria Ignazia abbia confessato a don Montini la sua gran voglia di offrirsi al Signore al livello di una santa Caterina da Siena (flagellarsi, bere pus, ecc.) o di una santa Maria Margherita Alacoque (bondage estremo, leccare vomito, ecc.); lui, cattivissimo: «Mantieni un contegno, cagna!».
Se amate il genere, correte in edicola.


venerdì 19 novembre 2010

Catfight



PALAPIDIELLE
19 novembre 2010

Incontro di lotta nel fango
Lady Wajassa    vs    Miss Cinema ’97

- lo spettacolo è gratuito -

Compagni, consentite



Sto avendo un sacco di noie per aver criticato l’intervento di Roberto Saviano a Vieni via con me: qualche post acido, commenti che non edito, mail che non vi dico, perfino qualche mugugno da una figlia semirifondarola. Sento di essermi messo in pericolo per ciò che ho scritto e quasi quasi chiedo una scorta. Scherzo, naturalmente, e passo a mettere i puntini sulle i.

Ho detto e confermo che a mio parere dire che “la Lega interloquisce con la ’ndrangheta” è una forzatura. Ora, sì, sotto una pioggia di link e insulti mi fanno notare che alla ’ndrangheta farebbe comodo il federalismo, che si sa di soldi calabresi reinvestiti in Padania, che brutti tipacci del Sud hanno talpe fra i colletti bianchi del Nord, non pochi dei quali vicini alla Lega. Bene, ma questo non è ancora quello che Saviano voleva intendere dicendo che “la Lega interloquisce con la ’ndrangheta”. Per esempio, tutto quello che mi viene a dire L’espresso con questo suo Ecco perché Maroni sbaglia non dà ragione a Saviano: un rapporto strutturato tra ’ndrangheta e galassia economico-politica della Lega non è dimostrato e, se c’è un -loquiri, non c’è un inter- che faccia sistema. Perché è a questo che Saviano voleva alludere: a un sistema di interessi comuni. E – mi spiace – non ci siamo, non si fa, è scorretto: puoi essere anche Falcone, anche Borsellino, ma hai l’alito pesante e te lo dico.

Per inciso, ma neanche tanto: quest’arietta briosa da imminente crollo del berlusconismo – consentitemi, compagni – è cretina e pericolosa. Anche se vi sembra di esservene quasi sbarazzati, il Berlusconi che ormai è dentro a tutti gli italiani (anche un poco dentro voi, guardate Vendola, guardate Grillo) vi renderà difficile ogni riforma, vi castrerà ogni progetto di società compiutamente liberaldemocratica.
Compagni, potrete offrirci solo un altro tipo di paternalismo: un padre forse meno cafone, ma altrettanto padrone. Nel trattarci da platea da conquistare nello stomaco, da utenti di un sentimento nazionalpopolare che ci vuole eterni figli, come non ci fate crescere: ci lasciate bambini in mano ai miti, alle favole, alla rassicurante ed inquietante (secondo la bisogna) figura dello Stato trascendente l’individuo, qui stimolandoci l’indignazione morale su tesi precostruite sul paradigma della vulgata capitale=destra=mafia.
Insomma, compagni, se lo psiconano ci ha illuso con le sue chiacchiere sulla “rivoluzione liberale”, voi volete da subito dirci che è impossibile? Anche voi, come Lui, mirate al cuore?

Saviano ha sbagliato. Adottato dalla nobile sinistra legalitaria e giustizialista, si è sentito in dovere di sdebitarsi rendendosi utile. Compagni, l’avete spinto oltre ogni allusione furbetta alla Lucarelli, e ha sbarellato. Poi vogliamo chiudere un occhio perché è Saviano e a criticarne l’alito si fa peccato?

Casual Profanity





Michele Fronterrè, Imprenditori d'Italia, Edizioni della Sera 2010



Gustavo Dufour, il Signore delle Caramelle, davanti alla sua fabbrica picchettata dagli operai in sciopero, poco meno di un secolo fa, così rimuginava: “Il fenomeno bolscevico è uno dei tanti tentativi periodici di sconvolgimento dell’ordine sociale per opera dei malcontenti che sperano dalla rivoluzione un posto migliore dalla società. Ad impedirne lo scoppio violento bisogna che le classi padronali, specialmente industriali, favoriscano l’elevamento della classe operaia nell’educazione, nell’istruzione, nel benessere”.
È uno degli Imprenditori d’Italia raccontati da Michele Fronterrè (Edizioni della Sera, 2010). Non manca – non poteva mancare – Adriano Olivetti: “Occorre capire il nero di un lunedì nella vita di un operaio, altrimenti non si può fare il mestiere di manager”. Falck, Buitoni, Rana, Florio e gli altri – due dozzine di interpretazioni del capitalismo italiano – sono ritratti in questa luce: non c’è epica, ma il respiro è quello del romanzo e, se non è un saggio storico, come rileva Alberto Mingardi che firma la prefazione, se non è nemmeno un affresco socio-economico dell’Italia dello scorso secolo, siamo davanti (possiamo dar ragione all’Autore) a “storie di business, lette a prescindere da considerazioni partigiane macroeconomiche”.
E tuttavia una passione partigiana traspare, ed è quella della fiducia negli spiriti animali che muovono il capitalismo, che “non va corretto ma interpretato”, e qui c’è l’album di famiglia di un’Italia che fu capace di pensare l’impresa come forza dell’intelligenza e del coraggio.

Fronterrè non lo suggerisce mai, ma il raffronto con l’adesso è incombente ad ogni pagina: l’imprenditore di ieri si rivela illuminato, riformista, capace di dare un senso nobile al profitto e perciò in grado di farsi avanguardia sociale. L’imprenditore italiano del Novecento si rivela interlocutore dello Stato degno di questo nome. Ciascuno è un mondo a parte, eppure hanno tutti in comune una straordinaria caratura della filosofia di vita. Il taglio è trasversale e ciascuno la riflette secondo tempo e indole, ma questi uomini paiono degni di tenere testa al potere politico anche quando sono costretti ad abbassarla.
Abbiamo i Florio che danno vita ad un giornale con “due tristi primati: il maggior numero di morti ammazzati tra le fila dei giornalisti e collaboratori; il fatto di essere il giornale più querelato”. Chiuso da Mussolini nel 1926, L’Ora riapre nel 1947 con la stessa ostinazione socialista. E abbiamo Giovanni Buitoni che, alla richiesta di Mussolini di diventare Podestà di Perugia, risponde: “Non ho il tempo né le competenze per coprire il ruolo ma ho solo una possibilità: ubbidire”. Ma abbiamo anche Enrico Mattei, più manager che imprenditore forse, e in grado di tenere alta la testa – seppure per poi perderla – né ubbidendo, né avendo ragione della sua ostinazione. Storie diverse, ma con la stessa morale: non si sta al rimorchio dello Stato, semmai lo si traina, dovesse anche spezzarsi il gancio.
Senza alcuna pretesa di tracciare un profilo storico dell’economia italiana del secolo passato, questo libro ne rivela l’anima. Procuratevelo, leggerlo non sarà tempo sprecato.

Hitler, l'ateo



(grazie a Giovanni Fontana)

giovedì 18 novembre 2010

[...]




“In aiuto di Silvio Berlusconi potrebbe arrivare il drappello dei sei deputati radicali che siedono nel gruppo Pd. È stato lo stesso leader Marco Pannella ad aprire uno spiraglio ma a precise condizioni: «Quando si riconosce carattere e dignità di interlocutore politico al più antico partito nato in Italia, che sia Bersani, Berlusconi, Bossi o Di Pietro, noi riteniamo non solamente utile ma anche necessario un dialogo costruttivo sull’immediato e sulle prospettive»”

Il Sole-24 Ore, 18.11.2010


 

Poi si vedrà




Il golpe costituzionale caro al pensiero perbenista, che è pronto a sovvertire le regole liberaldemocratiche perché ha in uggia lo stile di vita e la facies di Berlusconi, si definisce così: decretare l’esclusione del Cav. dalle liste elettorali e arrivare al voto solo dopo che un’alleanza costituzionale, da Fini a Vendola passando per Casini e Bersani, abbia ricostruito le condizioni per l’abbattimento del tiranno e l’esclusione del suo popolo dalle urne”

Giuliano Ferrara, Il Foglio, 18.11.2010


Di tanto in tanto, fin dal 2004, qualcuno pensa che l’Elefantino cerchi di smarcarsi dal Caimano. Quella di oggi è l’ennesima smentita: fino a quando Berlusconi regge, Ferrara gli sarà legato. Poi si vedrà.