Giuliano Ferrara non dà alcuna spiegazione del «perché la destra [sia] repellente e la sinistra [sia] tanto carina», si limita a lamentarlo. Cominciamo subito col dire, dunque, che questo editoriale nasce storto fin dal titolo, che manca di un onesto punto interrogativo.
Sarà vero, poi, che la destra sia fra «le cose insopportabili al gusto del mondo» e la sinistra goda di «simpatia universale»? Un tempo, forse. Se così fu in passato, non è la sinistra, oggi, a sentirsi «antipatica» (Luca Ricolfi, Longanesi 2005) e a interrogarsi sulle ragioni? Ed è corretto dire, poi, che «la destra in ogni campo soffre di una forma di disprezzo pubblico»? Riesce a creare aree di fidelizzazione sempre più consistenti intorno ai suoi leader e ai suoi valori, uscendo spesso vittoriosa dalle urne e dettando l’agenda politica e culturale di mezza Europa, riuscendo sempre più spesso a riscrivere la storia come le fa comodo e a trasformare molta democrazia in democratura. Come si spiegherebbero tutti questi successi?
Non è bello contraddire Ferrara, perché gli salgono gli zuccheri. Dice che la sinistra fa ancora «mainstream»? Annuite in silenzio. Dice che l’«omologazione liberaldemocratica del mondo» incoraggia ogni sorta di «bastonatura» ai «cultori severi dell’ermeneutica della continuità»? Tacete: anche se è proprio la liberaldemocrazia a sembrarvi sempre più spesso bastonata dalla destra economica, da quella religiosa, da quella culturale e da quella politica, nessuno lo contraddica. Eventualmente chiedetegli perché.
Sarà mica dovuto ai «danni storici che le destre del Novecento hanno arrecato all’umanità e alla pace»? Macché, «il XXI è un tempo che viene dopo, post per definizione», e solo chi è rimasto intrappolato nel secolo passato potrebbe pensare a fascismo e a nazismo quando sente parlare di destra. Non deve essere quello, il motivo.
E allora «perché la destra è repellente e la sinistra è tanto carina»? Ferrara non lo dice, ma si capisce che può trattarsi solo di un ottuso pregiudizio, roba di pancia, volgare conformismo. E infatti «tutti sanno [leggasi: dovrebbero sapere] che le migliori idee dopo il New Deal sono venute dalla destra liberista e libertaria, che si tratti di tasse, libero commercio, promozione dei consumi, analisi sociale, filosofia dell’autonomia individuale, della responsabilità e della libertà del cittadino».
Tutto è chiaro, adesso: parliamo della cosiddetta destra liberale americana, degli anarco-capitalisti, dei libertarians. E dunque non è la destra che è di casa sulle pagine de Il Foglio, che è destra clericofascista, niente affatto libertaria e sempre meno liberista, una destra da cattodandies ai quali piace alzare il gomito e, quello che è peggio, la voce; non è nemmeno la destra alla qualche Silvio Berlusconi ha tolto il tappo, che è xenofoba e razzista, omofoba e sessista, e in fondo, ma neanche troppo in fondo, reazionaria, classista e statalista; è tutta un’altra roba, in senso stretto non è nemmeno destra.
È stato un brutto week end per Ferrara: Berlusconi ne ha sparata una più repellente dell’altra, difenderlo era praticamente impossibile e il vittimismo gli sarà sembrato un buon diversivo. Imbrogliare vien da sé.