venerdì 1 ottobre 2010

Art. 8


Su cosa debba intendersi per libertà religiosa non c’è unanimità di pareri, ma si conviene che “tutte le confessioni religiose sono essere ugualmente libere davanti alla legge”. Anche la nostra Costituzione si esprime in tal senso (il virgolettato, infatti, è al 1° capoverso dell’art. 8), ma lo fa subito dopo aver dichiarato che quella cattolica è più libera delle altre, in virtù dei Patti Lateranensi (2° capoverso dell’art. 7), e subito prima di tentare un correttivo contemplando la possibilità di intese con le rappresentanze delle confessioni religiose diverse dalla cattolica (3° capoverso dell’art. 8).
Questo correttivo implica, allo stesso tempo, la negazione del principio dell’eguale libertà di tutte le confessioni religiose e il suo superamento o, come dice Giuseppe Della Torre (Avvenire, 30.9.2010), “mette insieme ciò che parrebbe impossibile conciliare: l’eguale libertà di tutte le confessioni religiose, con la possibilità per ognuna, attraverso singoli accordi con lo Stato, di ottenere un regime giuridico rispettoso della propria identità”.

Nessuna contraddizione per l’editorialista del giornale dei vescovi: “Trattare allo stesso modo situazioni diverse è altrettanto lesivo della eguaglianza, del trattare in maniera diversa situazioni eguali”. Sembrerebbe un richiamo al 2° capoverso dell’art. 3 della Costituzione, che affida allo Stato il compito di rimuovere gli ostacoli che limitano di fatto l’eguaglianza dei cittadini, ma qui è invocato per legittimare un sistema di intese particolari che sono diverse da caso a caso.
Non è tutto, perché per il Della Torre una confessione religiosa può essere libera anche senza arrivare ad una intesa, e ugualmente libera. È il caso dell’islam: “È necessaria la firma di una intesa? E se no, è almeno da considerare opportuna? Diciamo subito che quello delle intese è il regime che la Costituzione contempla come ordinario per regolare i rapporti dello Stato con le confessioni religiose: ma non è l’unico possibile. Una confessione può preferire il non ricorso all’accordo con lo Stato; questo, d’altra parte, può non ritenere possibile – almeno per un certo tempo – aprire negoziati con i rappresentanti di una determinata confessione, ad esempio per conoscerne meglio la realtà interna”.

Inimmaginabile nel caso dei rapporti tra Stato e Chiesa cattolica: qui l’intesa deve essere privilegiata in forma di Concordato e la conoscenza della realtà interna deve essere considerata superflua per non risultare offensiva. Non così con l’islam: “Nel suo patrimonio religioso e culturale vi sono elementi in contrasto con i valori ed i principi racchiusi nella Carta costituzionale, i quali costituiscono il fondamento e la ragione stessa del nostro vivere assieme”.
Principi che renderebbero ragione della necessità dei Patti Lateranensi, ma consentirebbero di definire non opportuna una intesa con la comunità musulmana, tanto meno necessaria: paradossalmente è la diseguaglianza di trattamento che produce eguaglianza di diritti, almeno per il Della Torre.

12 commenti:

  1. Però insomma questi qui studiano da 2000 anni sempre lo stesso libro... e ne hanno dedotto tutto e il contrario di tutto... è il loro mestiere!

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  2. scusa l'off-topic, ma è una domanda che mi pongo ultimamente dopo aver discusso animatamente con un amico e su cui mi piacerebbe avere un tuo parere da liberale e anticlericale: sacrosanto l'anticlericalismo, ma l'avversione alla religione in sé, come è declinabile in un contesto liberale e democratico? intendo dire: giacché le costituzioni nella quasi totalità tutelano la libertà di credo come una delle libertà fondamentali, come vedi il perseguire l'idea che ogni confessione o credenza religiosa sia (presuntamente) inutile, nociva e dannosa al progresso, alla libertà individuale, alla libertà di scienza, etc? (il discorso mi interessa in rapporto alla prospettiva liberale)

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  3. Proposta di legge di modifica costituzionale.
    Articolato:
    Articolo unico
    All'art. 8, primo capoverso, della Costituzione Italiana, dopo le parole
    “tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge”
    si aggiunga
    "purché non rompano i coglioni a chi non crede."
    Relazione:
    Inciso che ci pare doveroso e perfettamente in sintonia con il declamato carattere laico dello stato italiano.

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  4. @ Marco
    Credi? Fatti tuoi. Ma non scendere nell'agorà venendo a dirci che parli in nome e per conto del tuo Dio. La religione, a mio parere, dovrebbe essere questione privata, un po' come il sesso: a casa tua fa' quello che ti pare, ma non pensare di poter scopare in piazza e di pretendere pure che tutti ti applaudano perché la tua scopata è sopraffina per principio.
    La libertà di credo è fondamentale solo perché è figlia della libertà di pensiero e infatti Dio nasce dal pensiero dell'uomo, che è fallibile. Su queste questioni ho scritto lungamente in passato: ti rimando agli oltre 8.000 post del primo Malvino (http://malvino.ilcannocchiale.it), lì in mezzo troverai molte occasioni di riflessione su questo tema.

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  5. valla a trovare una religione che accetta di farsi questione privata...
    e poi, vuoi mettere il sesso con la religione?

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  6. Vi ho posto relazione perché in entrambi i casi senti spesso dire: "Oddio, oddio, oddio...".

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  7. Chiaro. Anche libertà di culto come libertà di pensiero, mi pare tutto torni. Però le argomentazioni a favore di una religiosità limitata al privato non contrastano con la religiosità in sé per sé, è questo che volevo chiarire. E' il contrasto della religiosità in quanto tale che mi pare male si collochi in conteso liberale.

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  8. @ Marco
    La religiosità in sé e per sé è un fatto privato, o dovrebbe esserlo. Il fatto è che tende sempre a proporre un modello di bene che si propone come assoluto, addirittura antecendente e superiore all'individuo e alla collettività: nel fondo è negatore della democrazia e della libertà di pensiero (altrui). Chi non vede di buon occhio la religiosità in sé e per sé lo ha capito e sa che per sua natura il credo tende a esorbitare dal privato. Siamo sempre alle solite: tolleranza verso tutti, ma anche verso gli intolleranti? libertà di scegliere il proprio bene, ma anche a chi pensa che il suo sia tale per tutti? Per quanto mi riguarda, la risposta è: no.

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  9. Ah ah, bella l'ultima battuta di Malvino. Mi è venuta in mente un'altra che sentii una volta, forse durante una stand-up commedy, in inglese: "Oh my God" detta da un ateo è diventata "Oh my non-existent god".

    Era venuta voglia anche a me di rispondere a Marco. Da par mio verso i credenti non c'è che un sano moto di aperta critica. Si è liberi anche di credere all'astrologia o agli gnomi, ma questo non deve impedire a me e a chicchessia di esercitare una decisa e dura dialettica critica, che se anche sconfinasse ipoteticamente in dileggio non contraddirebbe mai il riconosciuto principio della libertà di culto. Libertà di culto non è sinonimo di libertà di non essere criticati se non addirittura (perché no, se uno volesse) derisi per il proprio culto.

    Adesso a tutto ciò mettiamoci dentro la pretesa, sempre nell'esempio di poco sopra, del fanatico dell'astrologia di appendere tutti i simboli dei segni zodiacali nei luoghi pubblici, o che dallo Stato il comitato degli esperti astrologi riceva cospicui finanziamenti: questo tratto è comune a molti credenti lontani dal clero, che pur dicendosi moderati poi non vogliono che la propria chiesa venga privata di privilegi o ampia visibilità.

    Vi è poi un altro aspetto: un non credente può ritenere che la fede religiosa, pur tutelata nella sua espressione per un principio di libertà, sia un elemento più dannoso che vantaggioso per l'individuo stesso. Al di là se questo punto di vista abbia del fondamento o meno, il non credente avrà lo stesso pari diritto di ripetere ossessivamente al credente che, come la droga, secondo lui la religione gli fa male.

    Come dice Malvino: se la sfera religiosa rimanesse privata, allora nessun problema. Ma sono molti credenti a rendere pubbliche ogni volta che ne hanno la possibilità le loro convinzioni su Dio, a partire dai ringraziamenti finali e le dediche, senza tralasciare le ben più inquietanti convinzioni su taluni temi etici che si tramutano in scelte di partecipazione politica irrazionali e dannose per gli altri (come la scelta di dare il benestare implicito ad una legge liberticida che poi i giudici sono costretti a smontare caso per caso e caso su caso).

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  10. Anche qui mi sento di darvi pienamente ragione. Bisogna restare vigili, perché spesso la religione spesso e volentieri è appoggiata in modo bieco e strumentale dalla politica, per raggiungere i propri fini.
    Sulla mancanza di rispetto invece mantengo le mie riserve: ho rispetto per la sincera convinzione altrui e rimango dell'idea che non sarà di certo mortificandola che mi farà trovare con essa un punto di incontro. Grazie a tutti e buona giornata.

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  11. Ho il sospetto che sostenere che la religiosità abbia una dimensione essenzialmente privata sia un errore: come fatto antropologico, la religione mi sembra appartenere alla sfera pubblica, fino al punto di esserne costitutiva.
    Fin dalle origini, la dimensione religiosa fa, anzi, da collettore di pratiche e saperi la cui dimensione è quella del pubblico: dalla sanzione del diritto all'istituzione della sovranità, dalla formazione delle scienze (astrologi,a agrimensura, geografia), alla fondazione rituale delle comunità, il culto si svolge sempre al di fuori del foro interiore dell'individuo.
    Del resto, il fatto che si parli di libertà di culto, e non di credo, dovrebbe essere sufficiente a chiarire che non ci si trova nella dimensione individuale: il culto, come tale, è sempre una pratica sociale, anche quando consiste nel privatissimo gesto apotropaico di fronte all'immagine sacra. A questo punto, è chiaro che l'esercizio del culto, che ha la sua valenza fondamentale nella costituzione della comunità, dunque in una formazione di esclusività, se non di universalità, è sempre in una condizione di conflittualità almeno latente con altri culti.
    In altre parole, una comunità che si forma attorno all'esercizio di un culto ambisce sempre a inglobare le altri comunità o i singoli individui che non ne fanno parte. Ciò significa che, se la sfera pubblica moderna e la sua comunità statuale si formano secondo pratiche diverse da quelle cultuali, l'esercizio del culto si situa sempre su un versante nel quale la libertà dell'individuo di esplicare una certa serie di funzioni comunitarie rischia di entrare in contraddizione con le norme condivise che istituiscono la sfera pubblica. In questo senso, la libertà di culto, lungi dall'essere quella primaria, è semmai un luogo di compromesso tra le istanze generali della comunità moderna, la cui legittimazione non è, per definizione, di tipo religioso, e delle forme particolari di istituzione comunitaria radicalmente diverse.

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