martedì 19 ottobre 2010

Sta’ tranquilla, mamma



[Prima di tutto vorrei tranquillizzare mia madre: sta’ tranquilla, mamma, non ho ripreso a scrivere letterine a Il Foglio, questa chissà come mi è scappata di mano e comunque – giuro – non ricasco nel vizio.]

È che Giuliano Ferrara m’era sembrato sbarellare più del solito nel suo editoriale di lunedì 18 ottobre e in un post (“Vendere allegramente” – Malvino, 18.10.2010 [04:54]) ho spiegato perché. Ho scritto che per colmare un debito pubblico di 1.800 miliardi allo Stato non basterebbe alienare “qualche caserma dismessa”, ciò che per Giuliano Ferrara parrebbe fare un “patrimonio immobiliare pubblico pari al 130 per cento di debito” (2.400 miliardi) e ho scritto che anche chi proponeva di “vendere, vendere, vendere”, però con qualche competenza in più di Giuliano Ferrara (Fondazione Magna Carta e Istituto Bruno Leoni), non nascondeva la necessità di vendere anche il Colosseo per colmare un tal debito (semmai, però, non iniziando proprio da quello).
Poche ore dopo aver scritto questo post, il topos letterario della messa in vendita del Colosseo tornava nel commento che Massimo Bordin faceva all’editoriale su Il Foglio in edicola (Stampa & Regime – Radio Radicale, 18.10.2010 [08:12:00-08:12:48]), per riportare la questione nei termini che Giuliano Ferrara aveva eluso, e m’è sembrato di far opera di bene nel richiamarglieli.
La sua risposta (qui sopra) è delle solite di quando non ha argomenti: ammette di essere incompetente in materia ma di essere assai convinto di ciò che dice, anche perché, ad uopo interpellati, esperti di fiducia lo avallerebbero (Idee e numeri per “vendere, vendere, vendere” un po’ di Stato – Il Foglio, 19.10.2010 [pag. 3]).

[Capito perché mia madre si rattrista nel sapere che mi intrattengo in questi passatempi assurdi?]

E dunque: gli esperti avallerebbero l’ideona di Giuliano Gerrara. Il condizionale è d’obbligo, perché sul punto – vendere o no il Colosseo? – gli esperti non si sbilanciano: “Il patrimonio pubblico, secondo i calcoli di Ricolfi, è dello stesso ordine di grandezza del debito (1.800 miliardi)”, che dunque non è – com’era scritto su Il Foglio di ieri – “largamente inferiore al valore”. Ma facciamo finta che questa sia una bazzecola, e andiamo avanti: “Venderne una parte non basterebbe a portarci al 60 per cento del pil, come vorrebbe il nuovo Patto europeo di stabilità in fieri, ma «scendere sotto il 100 per cento sarebbe già un grande risultato»”. Venderne una parte – è chiaro – servirebbe a colmare solo un terzo del debito pubblico, ma nel suo editoriale Giuliano Ferrara contava di ricavarci pure un extra “per finanziare cultura, sapere, ricerca, crescita”. Non basterebbe Tremonti, ci vorrebbe Gesù in vena di miracoli.
Questo primo esperto, dunque, non avalla un tubo: implicitamente afferma che per arrivare a 1.800 miliardi bisognerebbe vendere tutto il patrimonio immobiliare pubblico, non demaniale e demaniale. Ergo – adhuc – etiam Coliseum.
“La proposta di Ricolfi, che parla di quote collocabili sul mercato, ricalca per diversi aspetti l’idea lanciata nel 2005 dall’ex ministro Giuseppe Guarino, che propose una superholding in cui far confluire beni statali e società pubbliche da quotare in Borsa, incassando almeno 450 miliardi”. Idem con patate. Come si arriva a 1.800? Cosa ci vendiamo? Se non il Colosseo, gli Uffizi?
Per Edoardo Reviglio, un altro esperto interpellato da Il Foglio, “vendere, vendere, vendere” comporta un sacco di problemi: “«A differenza di altri più ottimisti di me – dice Reviglio – dopo aver studiato e osservato il patrimonio nelle sue varie sfaccettature per una decina d’anni, sono arrivato alla conclusione che il riordino del patrimonio sia una grande opportunità per il territorio, e più in generale per lo sviluppo del paese. Tuttavia, considerata la natura complessa, dispersa e granulosa, e le rigidità giuridiche e amministrative, la sua dismissione non può rappresentare la soluzione alla riduzione del debito pubblico in tempi brevi». Secondo Reviglio, «può dare un contributo (pari allo 0,2-0,4 di pil all’anno per i prossimi due/tre decenni), può contribuire a finanziare investimenti secondo il ‘principio di sostituzione’, ovvero dismetto un asset che non serve e con i proventi ne costruisco uno che serve». Va ricordato, inoltre, che il patrimonio non è fatto solo di immobili ma anche di partecipazioni locali, di crediti, di concessioni e di reti e infrastrutture: «Alcune di queste possono e devono dare maggiori redditi (sul fronte dei flussi) altre possono invece essere privatizzate». [Conclude Reviglio:] «Nessun miracolo ma piuttosto un’azione graduale di riordino. L’avvio di un grande processo che durerà decenni»”. E questo sarebbe un avallo?
Non va meglio con altri due esperti interpellati, Emilio Barucci e Federico Pierobon, che addirittura “stimano il valore nominale degli attivi immobiliari [non demaniali] dello Stato in 194 miliardi di euro”, ma “«il dato – aggiungono – non comprende molti immobili per i quali non è disponibile un inventario completo (parte del demanio militare e quelli ubicati all’estero) o è difficile effettuare una valutazione (musei e monumenti)»”. E siamo ancora agli Uffizi e al Colosseo. E io su cosa chiedevo franchezza?
Finiti, gli esperti? No, ce n’è un altro, Gianfranco Polillo, che però è il più scettico di tutti: “«Ad oggi – dice – lo Stato – dice – non sa esattamente di che cosa è proprietario»”. E che ti vendi, se non lo sai?

[Ora, forse, mi spetterebbe una replica, ma mamma si preoccuperebbe. Stavolta mi faccio bastare questo post. “Non mi fido”? Siamo pari: neanche mamma.]



5 commenti:

  1. la tua mamma ha ragione di preoccuparsi

    quando rilevi: "quando non ha argomenti, ammette di essere incompetente in materia ma di essere assai convinto di ciò che dice", non ti sembra di aver già fatto centro?

    chiaro che prima di vendere qualcosa bisogna sapere di averlo, indi quanto vale e costa mantenerlo, ma soprattutto bisogna sapere bene a cosa serve. per taluni è meno ovvio che quest'ultimo aspetto non riguarda per nulla gli economisti (e i fiscalisti) e men che meno gli "incompetenti in materia", seppur molto compiaciuti dei propri convincimenti e sospettosi dell'aritmetica

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  2. Ma nel regime di massima incompetenza dichiarato da Sua Epinenza, non sarebbe meglio stare zitti* e far parlare - previa riunione, presenti i cervelli e le calcolatrici - i competenti?

    Non è che uno, solo perché dotato di parola e/o ditini per pigiare i tasti della tastiera del pc o della macchina da scrivere - evito di proposito di citare il raziocinio - debba per forza riempire il mondo della sue fanfaluche.


    Evidentemente è così che deve andare.
    Se dopo 6 mesi di assenza del ministro dello sviluppo economico, il neoeletto dice per prima cosa che la trasmissione della Gabanelli è odiosa, evidentemente, evidentemente, qualcosa non va nelle sinapsi.

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  3. sinapsi? vendute, anche quelle

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  4. E' l'allocco perfetto a cui vendere un Colosseo. Beato il suo commercialista. E' evidente data la manifestata incompetenza che quando chiudeva mezzi editoriali con la frase "E' l'economia, bellezza" scriveva principalmente per sé stesso.

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  5. Vendere sarebbe il meno, trovando chi compra ...

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