Caro
Alessandro, tu scrivi: «Se verranno raccolte le firme necessarie, gli italiani
potranno dire la loro su dodici questioni importantissime che riguardano i
diritti civili e il funzionamento della giustizia in Italia, il che sarebbe un
bene per i cittadini». È vero, ma «la loro», siamo onesti, non conta un cazzo. Lo dimostra il
fatto che tra i dodici quesiti referendari per i quali voi radicali andate
raccogliendo le firme ce ne sono alcuni sui quali gli italiani si sono già
espressi, e proprio nel modo in cui vi auguravate, ma invano: nel 1987, per esempio, votarono in favore della responsabilità
civile dei magistrati, e nel 1993 per l’abolizione del finanziamento pubblico
ai partiti e per l’abrogazione della detenzione per uso personale di droghe
leggere. D’altronde, votarono pure in favore della riduzione dei voti di
preferenza, da tre a uno, nelle elezioni per la Camera, nel 1991, ma il
Mattarellum, prima, e il Porcellum, dopo, assecondarono la loro voglia di
uninominale secca? Nel 1993 dissero no al controllo dei partiti sulle nomine ai
vertici delle banche pubbliche, e nel 1995 si espressero in favore della
privatizzazione della Rai e per l’abrogazione della norma che impone ai
lavoratori la contribuzione sindacale automatica, ma il loro volere fu
rispettato? E allora, gentilmente, in cosa consisterebbe questo «bene per i
cittadini»? Di fatto sta nell’illuderli, e le illusioni saranno pure un balsamo per gli idealisti, ma sono pure la materia viva
della demagogia.
Scrivi, poi: «Se verranno raccolte le firme necessarie, il Pd sarà
finalmente costretto a pronunciarsi su quelle questioni, cosa che finora ha
accuratamente evitato di fare: il che sarebbe un bene per i cittadini e per il
Pd». Analogo ragionamento per il M5S: «Se verranno raccolte le firme necessarie
– scrivi – anche il M5S dovrà dire come la pensa, specie su quei quesiti che
sono da sempre i suoi “cavalli di battaglia” (leggasi, ad esempio, il
finanziamento pubblico ai partiti), facendoci capire una volta per tutte se le
questioni gli interessano in quanto tali o solo quando le promuove lui: il che
sarebbe un bene per i cittadini e per il M5S». Argomento ben costruito sul
piano del piatto politicismo, dunque ottimamente spendibile da chi si ponga l’obiettivo
di far esplodere le contraddizioni interne al Pd o di portare a lisi le
ambiguità del M5S, ma del tutto inservibile per perorare la buona causa del
referendum come momento della verità democratica. Perché voleva essere questo lo scopo del tuo post, vero? Bene, se è così, si tratta di un argomento inservibile perché viziato da almeno due
fallacie retoriche, quelle che i logici di scuola anglosassone chiamano «guilt
by association» e «two wrongs make a right»: nel primo caso, si rigetta un’affermazione
come falsa semplicemente perché persone a noi sgradite l’accettano come vera,
senza alcuna dimostrazione della falsità dell’affermazione; nel secondo, si
cerca di dimostrare legittima l’azione che Tizio compie (o tenta di compiere) ai danni di Caio dando
per assodato che Caio la commetterebbe senza meno ai danni di Tizio se questi
non la evitasse commettendola per primo, stornando così la questione se l’azione
sia in sé stessa legittima o meno. Non a caso, infatti, poni la questione per
il Pd e il M5S, che sembrano non avere alcuna intenzione di appoggiare i
referendum, ma non la poni per il Pdl, che pur tardivamente – chissà perché –
ha deciso di appoggiarli. Ora, sul piano del piatto politicismo, non è
difficile spiegarsi perché il Pdl abbia deciso di appoggiarli e perché il Pd e
il M5S desistano. In un certo qual modo, sono proprio le due fallacie retoriche
nelle quali sei incappato (do per scontato che tu non vi sia ricorso deliberatamente) a darne la più congrua spiegazione. Per semplificare
dirò che si tratta delle stesse ragioni che portarono il Pdl a negare l’appoggio
alla raccolta delle firme per i referendum sulla fecondazione assistita del
2005 e a concorrere al mancato raggiungimento del quorum invitando all’astensione:
non conveniva (c’era il rischio di creare spaccature nell’elettorato del
centrodestra e di guastare i rapporti con la Cei e la Santa Sede).
C’è da
ritenere che Silvio Berlusconi abbia di botto trovato in sé un istintivo
tavolinaro, dopo aver sempre snobbato e qualche volta boicottato tutti i referendum
che gli passavano sotto il naso, tranne ovviamente i tre che nel 1995 misero in
discussione il possesso di tre reti televisive, il tetto massimo di raccolta
pubblicitaria delle televisioni private e la riduzione degli spot in un film?
Può darsi. Può darsi che Marco Pannella l’abbia convertito e l’abbia fatto
diventare un vero liberale. Sembrava che l’avesse convertito già nel 1994, ma i
segni della conversione furono un pochetto deludenti. Così, quando scrivi che «la
firma di Berlusconi, e il conseguente impegno nella raccolta delle firme da
parte del Pdl, potrebbe fare in modo che l’obiettivo dei referendum venga
raggiunto, e comunque potrebbe innescare il dibattito di cui sopra anche prima
di quel momento», e aggiungi che anche questo «sarebbe un bene per il paese», a
me viene spontaneo domandarmi, scusa, se ci fai o ci sei. L’operazione Berlusconi-Pannella, infatti,
è stata tenuta a battesimo da Il Foglio, che in quanto a qualità del dibattito non
offre alcuna garanzia.
Qui, caro Alessandro, non è discussione la buona o la
cattiva fede di chi vuol dibattere sui temi proposti dai radicali, ma la natura
tutta strumentale della discussione. Superfluo aggiungere che, da insuperabile
opportunista, Pannella si presti alla manovra per uscire dal vicolo cieco in
cui si era andato a ficcare, e già mostra come un trofeo il consenso ad un’amnistia
che vanta di aver ottenuto da un Berlusconi condannato in via definitiva, come se avesse strappato le corna al toro. Anche
qui scopriamo un Berlusconi che di colpo è sensibile al sovraffollamento delle
patrie galere, che ha riempito lui, con leggi come la Bossi-Fini e la
Fini-Giovanardi, che neppure pare aver intenzione di rinnegare. Però dice che
un’amnistia non gli dispiacerebbe. E grazie al cazzo. Sicché, caro Alessandro,
quando scrivi che «chi afferma che Berlusconi ha firmato i referendum per
salvarsi dalle condanne dovrebbe spiegare con una certa precisione quale dei
dodici quesiti radicali è tale da garantirgli questo risultato, il che sarebbe
un’impresa complicata, visto che quel quesito non esiste», mi cadono le
braccia.
Fino a quando Berlusconi ha potuto, si è confezionato leggi che gli
stavano a pennello, e dalle condanne si salvava depenalizzando il reato. Ora
non può più farlo ed è costretto a fare quel che può: mettere in discussione la
costituzionalità di una norma che ha votato pure lui, come la legge Severino, e
tentare la destabilizzazione del quadro politico cercando di rimanere attore in
scena, possibilmente nel ruolo di ricattatore, sennò di avvelenatore di pozzi. I referendum gli servono a questo, e chi gli ha consigliato di
appoggiarli ha dovuto pure fare una certa fatica a fargli capire come potevano tornargli
utili: «La forza di Berlusconi – dice Ferrara – è nel fatto che un
conservatorismo divenuto liberalismo di massa può esprimersi nei termini di un
radicalismo assoluto» (Il Foglio, 2.9.2013). Non farti intimorire dai paroloni:
dice che servendosi anche stavolta di Pannella, come nel 1994, può fottere
qualche cretino che già c’è cascato allora e che è tanto cretino da essere disposto a ricascarci ancora.
Io, caro
Alessandro, non «reput[o] ridicolo il fatto che Berlusconi abbia firmato per
presentare dei quesiti che si propongono di abrogare leggi approvate dal suo
stesso governo (leggasi immigrazione o droga)»: reputo sia prova che è disposto
a tutto pur di restare a galla, d’altronde sbattere in galera un Cucchi,
internare in veri e propri lager dei disperati appena buttati in mare dagli
scafisti e augurare alla Englaro lunga vita e figli maschi non erano
espressioni di una Weltanschauung, l’ometto non ha alcuna Weltanschauung,
ha solo cangianti proiezioni di una fenomenologia che si condensa nei lerci
cazzi suoi. E dunque, sì, non mi sfugge che «i referendum veng[a]no indetti
affinché i cittadini si pronuncino sul loro contenuto, non necessariamente
perché si è d’accordo con quello che chiedono», ma mi è altrettanto chiaro che
spaccano trasversalmente i partiti di massa e quelli che hanno vocazione di forte impronta
identitaria (tutt’altra cosa, poi, se a vocazione riesca a corrispondere). Non dev’essere un mistero neppure per te, che infatti scrivi: «Chi
afferma che in realtà Berlusconi ha firmato i referendum in modo strumentale,
al solo scopo di tornare ad “esistere” politicamente in un momento nel quale i
suoi guai personali lo stanno sommergendo, probabilmente (molto probabilmente)
ha ragione». Proprio perciò trasecolo quando aggiungi: «Ciò non toglie che in
ragione della sua firma le positive conseguenze politiche di cui ai primi
quattro punti potrebbero prodursi lo stesso, il che equivale a dire che le
intenzioni di Berlusconi sono assai meno importanti degli esiti che potrebbero
determinare». Importanti per chi, caro Alessandro? Solo per chi ha fede nel
referendum come strumento di democrazia diretta in grado di correggere i guasti
della democrazia rappresentativa. E qui, con quanto aggiungi al punto
successivo, veniamo alla quaestio dolens.
Tu scrivi: «Chi afferma che Pannella,
a sua volta, ha “accolto” la firma di Berlusconi in modo strumentale, al solo
scopo di tornare ad “esistere” politicamente in un momento in cui il suo
partito è ai minimi storici, probabilmente ha ragione anche lui, ma ciò non
toglie che i radicali quei referendum li stiano presentando e sono gli unici
che continuano a sollecitare un dibattito pubblico su quei temi, dibattito che
tutti gli altri si guardano bene dal sollevare, il che vuol dire che
quell’esistenza, Berlusconi o non Berlusconi, se la meritano tutta». Qui, consentimi
la franchezza, puoi convincere solo chi non sappia le ragioni che hanno portato
i radicali alla decisione di presentare questi quesiti referendari, e
soprattutto ignori il perché e il come da sei sono diventati dodici. Vabbe’ che
non significa niente sul piano delle decisioni, e nemmeno su quello della
conoscenza, ma in fondo sei dirigente di un soggetto della «galassia radicale»,
bazzichi in via di Torre Argentina, non ti manca naso per fiutare e capire: può
darsi tu non sia arrivato ancora al disgusto per quel monumento di ipocrisia,
cinismo, ambiguità e opportunismo che comanda la baracca, e può darsi non ci
arriverai mai perché di animo buono, ma so che sei dotato dell’intelligenza e dell’onestà
intellettuale che sono sufficienti a sgombrare il campo dalla retorica. E
allora dimmi: ma tu davvero credi che i sei quesiti sulla «giustizia giusta» siano stati concepiti per aprire un dibattito? Sarò ancora più brutale: ma tu pensi che in via della Panetteria scenda ogni volta lo Spirito Santo per dettare le priorità tra le iniziative politiche che mirano ad alleviare le sofferenze che affliggono l’umanità? Non saresti il primo radicale ad ignorare la storia del partito radicale da quando è diventato proprietà privata di Pannella, ma non puoi aver dimenticato che,
quando qualche temerario gli faceva presente, non più di qualche mese fa, che l’amnistia non bastasse
a risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri, e che si dovesse
fare qualcosa per mettere in discussione la Bossi-Fini e la Fini-Giovanardi, il
vecchiaccio gli zompava addosso e lo sbranava, lasciano i resti ai suoi
leccaculo.
«Chi sostiene che i radicali sono dei “voltagabbana” e dei “venduti”
perché “parlano” con Berlusconi – scrivi – muove da presupposti che a mio
parere sono inappropriati per analizzare la politica». Io penso di no. Penso
che chi ha ingannato mezza Italia con la sua truffa della «rivoluzione liberale» deve essere isolato, prima di tutto dai veri liberali, altro che bersi la
panzana che spacciava l’altrieri in Largo di Torre Argentina («avrei voluto, avrei voluto tanto, giuro sulla buonanima della mia mammina, ma
non avevo il 51%»: ma va’ a cagare, ché hai avuto le più ampie maggioranze
parlamentari della storia repubblicana e sei stato capace solo di scrivere leggi clerico-fasciste
o tardo-dorotee).
Su una cosa, però, devo darti ragione, caro Alessandro: «Chi ritiene che il Pd
faccia bene a non promuovere i referendum per “non mischiarsi” con Berlusconi –
scrivi – muove da presupposti che a mio parere sono ancora più inappropriati
per analizzare la politica». È vero, ma questo non è argomento, se non fallace
(«guilt by association», dicevamo). «Chi, infine, afferma che i referendum siano uno
strumento logoro, sopravvalutato, inutile, e quindi che la loro
“strumentalizzazione” non sia l’effetto collaterale di un obiettivo politico,
ma l’unico obiettivo, pone invece un problema del quale credo sia interessante
e utile discutere»: così concludi, e può darsi che tu faccia
riferimento ai post coi quali ho messo in discussione la natura stessa della
consultazione referendaria, ma ho i miei dubbi, perché tra i commenti non ho
letto alcuna tua obiezione, e poi sarai troppo occupato a raccogliere firme per perdere tempo su queste pagine. Fatto sta che scrivi: «Sulla
questione la penso diversamente», ma non aggiungi altro. Non sono uno
strumento inutile? Perché? O meglio: spiegami a cosa sono utili, però produci numeri, portami fatti. A cosa servono, oggi, se sono mai serviti a qualcosa, i referendum? A creare lo
scompiglio dal quale Berlusconi pensa di poter trarre vantaggio, hai detto
no, o non solo, o comunque
–
ritieni –
senza effetto rilevante. A dare un po’ di ossigeno
all’asfissiata cosuccia radicale, abbiamo detto sì, può darsi, ma
–
tieni a precisare –
non è quello l’importante.
E allora? A cosa?