lunedì 26 aprile 2010

Un grande rispetto per tutto ciò che è naturale


Un antipertensivo e un ipoglicemizzante faranno mai felice un soggetto diabetico ed iperteso? E un obeso che abbia avuto due o tre episodi di fibrillazione atriale troverà mai la felicità negli antiperlipidemici e negli antiaritmici che gli hanno prescritto? Due domande cretine, vero? Avete ragione, nessun farmaco dà la felicità, né la promette. Diciamo che ho provato a infinocchiarvi, ma l’ho fatto in modo troppo grossolano.
Consentite ch’io faccia un altro tentativo, via, siate carini, lasciatemi tentare. Sappiate che non è un tentativo di infinocchiamento fine a se stesso: servo una nobile causa, io. Anzi, voglio giocare a carte scoperte: nutro un grande rispetto per tutto ciò che è naturale (ictus e infarto compresi) e ritengo che l’uso di antipertensivi, ipoglicemizzanti, antiperlipidemici e antiaritmici sia contro natura. Per dire: fosse per me, ne vieterei la vendita.
Non è in mio potere, ovviamente, ma almeno consentite ch’io cerchi di convincere anche un solo diabetico, anche un solo obeso, anche un solo iperteso, anche un solo cardiopatico a farne a meno. Come? Fatemi dire che questi farmaci sono ormai in uso da anni e anni, ma “non ci hanno portato la felicità”. Fatemi aggiungere: “si può fare di meglio nell’ambizione di viver felici”.
Dite che sarà difficile convincere qualcuno, soprattutto se diabetico, obeso, iperteso o cardiopatico? Non è detto, anzi, io penso di averne già trovato uno sul quale questo genere di argomento potrebbe fare ottima presa.
“Cinquantanni di pillola – intesa come contraccettivo orale – non ci hanno portato la felicità”, scrive il diabetico, obeso, iperteso e cardiopatico sul quale conto di far valere il mio argomento: mi basterà dirgli che nemmeno tutti i farmaci che ha sul comodino hanno sortito molto effetto, in quel senso. Scrive che “si può fare di meglio nell’ambizione di viver felici, parecchio meglio”. Mi basterà dirgli che son d’accordo, chiedendogli di dare il buon esempio: tutte quelle pillole non ti rendono felice, Giulia’, buttale.

domenica 25 aprile 2010

Togliere loro l’umana possibilità di farlo


“Vorrei vedere Hitler e i tedeschi suoi se quello che fanno non fosse nell’uomo di poterlo fare. Vorrei vederli a cercar di farlo. Togliere loro l’umana possibilità di farlo e poi dire loro: avanti, fate. Che cosa farebbero?”

Elio Vittorini, Uomini e no

sabato 24 aprile 2010

[...]


Fino a quando non la si cambia, piaccia o no, la Costituzione affida al Presidente della Repubblica il compito di sciogliere le Camere e di indire nuove elezioni politiche: le dimissioni di un governo non lo costringono a farlo. Potrebbe ritenere (a torto o a ragione, chi può dirlo con certezza a priori?) che in Parlamento ci siano i numeri per dar vita a un nuovo governo e, invece di interrompere la legislatura, incaricare chi ritenga capace (a torto o a ragione, come sopra) di dar vita a un nuovo governo.
Tremonti rifiuterebbe questo incarico? La Lega non gli accorderebbe la fiducia? Si andrebbe alle elezioni, le vincerebbe ancora il centrodestra? Dopo averle vinte, sarebbe lo stesso centrodestra che le vuole adesso?
Sarà meglio che Berlusconi tratti.

venerdì 23 aprile 2010

Segnalazione

Molte sagge parole (di Federica Sgaggio, via Luca Massaro).

Soldi buttati


La minaccia di azioni legali che ha costretto gli amministratori di Wikipedia a rimuoverla non lo specificava, sicché non si è mai capito cosa desse fastidio ad Antonio Angelucci di quanto alla voce che gli era dedicata, e non mi pare contenesse imprecisioni.
Non ne dà spiegazione neanche un suo autorevole famiglio, che a Ottoemezzo (La7, 23.4.2010) dice un gran bene di Wikipedia, sottolineando la possibilità di rettificare quanto di inesatto ciascuno abbia lì a leggere sul proprio conto.

Uno paga un dipendente, lo paga per produrre informazione, e quello non lo informa? Soldi buttati.  

Riparo



L’intervento di Gianfranco Fini alla Direzione del Pdl mi è piaciuto molto, ma più tutto m’è piaciuto il passaggio in cui ha detto:

“Ecco, per esempio, consentite che vi legga due righe prese dalle brevi in cronaca: «A Paderno, in provincia di Udine, una bimba appena nata è stata sepolta con rito islamico in un’area del cimitero che mesi fa il comune aveva riservato ai tanti fedeli musulmani residenti in zona. Questa cosa ha fatto storcere il naso alla Lega Nord, che per protesta ha organizzato un volantinaggio in occasione della tumulazione della piccola. Già in passato alcuni esponenti del Carroccio avevano presentato una raccolta di 1.700 firme ed una fiaccolata per eliminare la zona cimiteriale riservata ai musulmani. Ad appoggiare la protesta vi è stato anche il consigliere comunale del Pdl, Loris Michelini, che attraverso le segnalazioni di alcuni residenti ha deciso di portare la vicenda in consiglio». Amici del Pdl, vorreste convincermi che io sono un traditore e che questo Loris Michelini è uno fedele al partito? Ma mettetevi in ginocchio e baciatemi la punta dell’uccello. E attenzione alla cravatta: ci tengo, è un regalo della Betty”.
Ah, che leader!

Nota
Solo oggi recupero una notizia ormai vecchia più d’una settimana, e che a me pare enorme, sicché comincio col cercare di spiegarmi come possa essermi sfuggita e, mentre cerco, capisco perché cerco: mi ha fatto un male cane, mi sento in colpa per non averle lasciato modo di farmi male prima, subito, come meritava. Subentrano i meccanismi di difesa e comincio a riparare la ferita: i tg non ne hanno parlato, i giornali che l’hanno fatto vi hanno dato poco peso, non più di una dozzina di blogger hanno ripreso la notizia… Non mi basta, rimango ferito. L’Unità, per esempio, ne aveva parlato, ma io la leggo solo saltuariamente. E allora comincio a farmene una colpa, che riesco ad attenuare solo con un trucchetto un pochino disonesto, che vado subito a rivelare. Pare che il Pd voglia vendere l’Unità agli Angelucci e metterci Polito a dirigerla: se quello che una decina di giorni fa è accaduto a Paderno fosse accaduto ad affare fatto, non avrei comunque potuta apprenderla da l’Unità, perché non ve n’era cenno neanche su il Riformista, anche se questo lo so solo adesso, perché non lo leggo più da tempo.
E allora comincio a prendermela con questi cazzo di blog che ho fra preferiti, feed, blogroll e reader: più di duecento in tutto, e nessuno che abbia ritenuto degna la notizia di due righe. Pesco a caso un capro espiatorio – quello stronzone di Jimmomo, che proprio oggi mi ha fatto girare furiosamente le palle con il suo solito compitino perbenino sulle virtù di Pdl e Lega – e comincio a maledirlo ben benino, ma poi smetto subito, poveraccio, sennò dovrei pigliarmela pure con tutti i megablog da venti post al giorno... Niente, non riesco a trovar pace, la notizia continua a farmi un male della madonna, non so come neutralizzarla… Poi però trovo un rimedio: la piglio da dove l’ho presa, ci metto le dovute virgolette e la incastono in una fiction. Naturalmente tutta questa premessa mi torna inutile, eventualmente la userò come nota in coda.

"Non mi basta eliminare gli zaini dalle spalle dei bambini e dei ragazzi"




Date a Cesare quel che è di Cesare


“È stata presentata al tribunale federale di Milwaukee in Wisconsin, da un uomo dell’Illinois, la denuncia nei confronti della Santa Sede, di Papa Benedetto XVI e dei cardinali Angelo Sodano e Tarcisio Bertone per aver coperto un prete del Wisconsin che ha abusato di lui quando era ragazzo” (ansa.it, 23.4.2010).

Un galantuomo


Fra i servi in platea, almeno da quanto è andato in video, Gaetano Quagliariello sembrava il più irritato dalle cose dette da Gianfranco Fini, anzi, sembrava quello che più teneva a mostrare la sua personale irritazione, e si può capire: veniva infranto il principio di quel “nuovo centralismo democratico” che aveva teorizzato sei mesi fa, a novembre, quando gli dava forma nell’assunto di William E. Gladstone: “Tra la propria coscienza e il proprio partito, un gentiluomo sceglie sempre il partito”. Teneva a mostrare quanto è galantuomo, Quagliariello.

In fondo, in fondo, in fondo



“Sta facendo quello che io gli consigliavo di fare cinque o anche dieci anni fa, quando ero direttore dell’Indipendente” (Il Sole-24Ore, 22.4.2010).
Gianfranco Fini sta facendo quello che gli consigliava Giordano Bruno Guerri, quello che non ha mai smesso di consigliargli, neanche dopo essere stato sollevato dalla direzione de L’Indipendente, di cui era editore un finiano, Italo Bocchino.
Fu nel 2005. Di lì a qualche mese ci sarebbero state le elezioni regionali e L’Indipendente tornava scomodo presso il tradizionale elettorato di An con tutto quel parlare di «nuova destra», una destra che Guerri non si è mai stancato di auspicarsi “davvero liberale, liberista e anche libertaria” (il Giornale, 20.7.2006): licenziarono Guerri e al suo posto misero Malgieri.)

A quei tempi, ero molto scettico sul fatto che i consigli di Guerri potessero essere raccolti da Fini, e pensavo che quella «nuova destra», nel caso, stesse in fondo ad un lunghissimo percorso. Le ragioni del mio scetticismo interessarono in qualche modo Guerri, che mi chiese di collaborare al suo giornale. Durò solo nove mesi (una trentina di articoli e un centinaio di corsivi), perché interruppi quella collaborazione quando pensai di aver vinto la scommessa: il licenziamento di Guerri mi sembrò la prova che quella sua «nuova destra» fosse impossibile.

Su cosa potesse essere, questa «nuova destra», pochi mesi prima mi ero espresso così:

Il termine «cultura» è sommamente ambiguo. Può indicare l’insieme delle conoscenze fatte proprie da un gruppo più o meno esteso di individui, come cifra distintiva di carattere antropologico. Ma può indicare anche il comune patrimonio di pensiero, espresso nelle forme della produzione intellettuale, che quel gruppo prende a referente. Può indicare anche lo sviluppo di una tradizione di pratiche condivise, caratterizzate da comuni elementi di articolazione storica. E può indicare anche, soltanto, il minimo comune multiplo che lega eterogenee esperienze di ricerca in campo intellettivo, artistico e scientifico.
Il termine «cultura» tocca il punto più alto della sua ambiguità quando si fa tassonomia di queste esperienze, compilando liste di autorità in questi campi, affiliando ad esse il ruolo di numi tutelari, orse maggiori nel cammino delle elaborazioni individuali, sistemi, protocolli. Di qui l’ambiguità degenera nell’indistinto di consorteria, mero avamposto della secolarizzazione, carta geopolitica del prestigio e del fascino mondano, accademizzazione, cattedra e cattedrale, famiglia mafiosa di questo o quel mandamento filosofico, letterario, politico (in senso lato).
Il sommo grado di ambiguità del termine «cultura» si realizza, così, nella comune utensileria che un dato sistema produttivo (una catena di produzione intellettuale nella sua piena articolazione) si tramanda da generazione a generazione di monopolisti. La norma a regime è l’inscrizione a egemonia.
L’ambiguità che, invece, attiene ai termini di «destra» e «sinistra», su una ormai logora polarità che fondò il suo asse nella nascita e nello sviluppo della cultura politica come bastione di frontiere oggi irriconoscibili, è ambiguità di categoria socio-storica. Quando se ne adotta il metro è per mera impossibilità a muoversi in un territorio che è faglia perpetua. Fin dall’inizio, fin dal momento in cui nella Palestra della Pallacorda si disposero file di sedie su un lato e file di sedie sull’altro, il confine tra «destra» e «sinistra» si aprì in diastasi di impraticabilità politica, qui, e si sovrappose in aree di irrisolta similitudine, lì. Qualche momento di diastasi minacciò di ingoiare la differenza: per horror vacui la Storia riempì l’abisso di centrismo, e sopra vi eresse monumenti di moderatismo, tregue e sospensioni, ponti sulla faglia. Più spesso, il confine collassò, sovrapponendo i diversi: sinistre fasciste, nazi-maoismi, per dirne due.

Data l’ambiguità di questi termini, è materia di vertigine pensare, dire e scrivere «cultura di destra» e «cultura di sinistra». Però lo si pensa, lo si dice, lo si scrive. Vertigine nella vertigine è il caso davvero strano che per «cultura di sinistra» si possa dire dove sia (non «cosa sia», perché l’identificazione è topografica, dunque storica) “l’insieme delle conoscenze fatte proprie da un gruppo più o meno esteso di individui come cifra distintiva di carattere antropologico”, dove sia “il comune patrimonio di pensiero, espresso nelle forme della produzione intellettuale, che quel gruppo prende a referente”, dove sia “lo sviluppo di una tradizione di pratiche condivise” e – soprattutto, oggi, nel punto in cui l’umile sottoscritto verga queste note chiocce per un giornale della «nuova destra» – dove sia la “consorteria” di sinistra, la mafia delle cattedre, delle società editrici, delle fondazioni para-, peri- e meta-partitiche, delle congreghe, delle cooperative, delle conventicole – di «sinistra». La «cultura di destra»? Direbbe Adriano Romualdi che “non esiste una cultura di destra”, perché a corto di “organizzazione, danaro e propaganda”, ma anche perché “a sinistra si sa bene quel che si vuole [...], a destra si brancola nell’incertezza, nell’imprecisione ideologica”.
Cattolici (sedevacantisti, lefebvriani, tradizional-popolari, lepantisti, fascio-tradizionalisti, carlisti, neoborbonici, ecc.) e non cattolici (tradizional-comunitari, evoliani, esoterici-ermetici, neopagani, guenoniani, tradizionalisti-non tradizionalisti, ecc.). Oltre: conservatorismo e rivoluzionalismo, ribellismo e perbenismo, ateismo e spiritismo, nazionalismo e universalismo, corporativismo e liberismo, futurismo e dada. Non c’è una destra. Le destre sono tante quante gli uomini che si dicono “di destra”, e ciascuno d’essi ha la sua cultura: qui codina e bigotta, lì dissennata e insistematizzabile; qui democratica, lì elitaria; qui accademica, lì anti-accademica. L’unico valore comune a tutte è l’individualismo. E l’unico portato politico-culturale che nel terzo millennio questo individualismo può far proprio è il liberalismo, per non esaurirsi.

La cultura della «nuova destra», a ben vedere, non rimuove e non esorcizza le sue diverse anime, le ricompone in esperienze di una stessa anima, desistematizzandole da Weltanshauung. L’approdo al metodo, più che alla sostanza, del liberalismo ne fa mezzi invece che inarrivabili fini, e forse anche dispositivi etico-estetici di conoscenza.
La «nuova destra» vuole rinunciare alla Verità Assoluta. Comincia – ma lentamente – a capire che essa è intraducibile nel nomos dello Stato Etico, ove l’individuo è uno solo se organico, per reductio. E l’unica rivoluzione che non abortirà – qui lo si crede, fidando più nella pazienza che nel fervore. Ma questo ovviamente è in fondo, in fondo, in fondo.
(L’Indipendente, 20.10.2004)
Ma in fondo, in fondo, in fondo.

giovedì 22 aprile 2010

La cosiddetta "allucinazione collettiva"



Trovato il “castello cattivissimo” che sembrava esistere solo nella fantasia dei bambini di Rignano Flaminio, corrisponde esattamente alle loro descrizioni.  

Giornata della Terra


Per la Giornata della Terra, questo 22 aprile, Magazine manda in edicola un numero monotematico, tutto ecologico. Tanto ecologico che a pag. 130 si pubblicizza un notebook “a basso impatto ambientale”: a renderlo tale, “dettagli in fibra di bambù”.
È un’idea da suggerire a chi produce frigoriferi: un bel rivestimento in fibra di bambù e il freon non è più un problema.

Monsignor Rino Fisichella ha detto un mucchio di stronzate


Intervistato da Franca Giansoldati per Il Gazzettino (21.4.2010), monsignor Rino Fisichella ha detto un mucchio di stronzate: “Il presidente Berlusconi essendosi separato dalla seconda moglie, la signora Veronica, con la quale era sposato civilmente, è tornato ad una situazione, diciamo così, ex ante. Il primo matrimonio era un matrimonio religioso. È il secondo matrimonio, da un punto di vista canonico, che creava problemi. È solo al fedele separato e risposato che è vietato comunicarsi, poiché sussiste uno stato di permanenza nel peccato. A meno che, ovviamente, il primo matrimonio non venga annullato dalla Sacra Rota. Ma se l’ostacolo viene rimosso, nulla osta”.
Qui gli vien chiesto: “Con la separazione dalla signora Veronica, il presidente Berlusconi è nelle condizioni di accostarsi alla comunione dato che non vive più in uno stato di permanenza di peccato?”. E Sua Eccellenza: “Esattamente”.

Esattamente, un cazzo. O Fisichella non conosce il Codice di Diritto Canonico, e allora sarebbe il caso stesse zitto, o lo conosce, ma ne dà una lettura stravolgente. La cosa più inquietante, tuttavia, non è che Fisichella dica stronzate, ma che nessuno glielo dica. Almeno fino ad ora, infatti, nessuno gli ha fatto presente che quella “situazione, diciamo così, ex ante” sarebbe realizzata solo – ripeto: solo – qualora Berlusconi tornasse dalla prima moglie. Il che non è accaduto.
La Chiesa, è vero, “non riconosce come valida una nuova unione, se era valido il primo matrimonio” (Catechismo, 1650). Ma il divorzio tra Berlusconi e la prima moglie non l’ha reso invalido (solo l’annullamento della Sacra Rota avrebbe potuto): agli occhi di Dio, è ancora il marito della signora Carla Dall’Oglio, alla quale s’è unito in matrimonio con rito religioso nel 1965.

Monsignor Rino Fisichella applica al caso di Berlusconi, ma assai impropriamente, la normativa relativa alla cosiddetta “separazione con permanenza del vincolo” (Codice di Diritto Canonico, libro IV, parte I, titolo VII, capitolo IX, articolo 2, cann. 1152-1155).
Qui, siamo dinanzi al caso in cui un coniuge, tradito dall’altro, non riesca a perdonargli l’adulterio: la Chiesa gli concede “il diritto di sciogliere la convivenza coniugale” (1151), non già di considerare sciolto il vincolo matrimoniale, tanto meno di potersi risposare. E tuttavia, “cessata la causa della separazione [che il Fisichella vede cessata anche se il secondo matrimonio non è ancora formalmente sciolto], si deve ricostituire la convivenza coniugale” (1153).
Ora, anche volendo considerare cessata la “causa della separazione” tra Berlusconi e la Dall’Oglio, non si ha notizia della loro “ricostituzione della convivenza coniugale”. E dunque Sua Eccellenza straparla.
La cosa più grave, però, è che nessuno – né chierico, né laico – intervenga a correggerlo.


A parte
Ci sarebbe un’altra questione, tutt’altro che secondaria, e cioè se Berlusconi si sia accostato all’eucaristia previa confessione. Tutt’altro che secondaria, perché, salvo quanto fin qui detto, se non ci fosse stata confessione, si tratterebbe di sacrilegio. E tuttavia questo pare non meritare troppa attenzione da monsignor Rino Fisichella.
“Sapevo che Berlusconi era divorziato”, ha ammesso il prete che gli ha somministrato l’eucaristia, ma non sapeva se l’aveva confessato prima?

Nuit blanche


Un gran bel farsi male



Premette: “Sarò serio”. Conclude: “Siamo fottuti”. In mezzo, esattamente al centro: “La vita si è complicata e suscita ovunque più paura di prima”. Invito alla lettura della lectio magistralis di Formamentis, un gran bel farsi male, e farne.

mercoledì 21 aprile 2010

[...]


Scoprire che la canzoncina dello spot della Audi A3 recita “the cat came back”, e non “the cock in back” come pareva a me, mi tranquillizza.

Ristretti

Numeri sui detenuti in Italia (al 28.2.2010).

Finiani, finioti e finoidi


L’umore del padrone non è sempre desumibile dall’abbottonatura della livrea del suo servo, ma stavolta Gaetano Quagliariello può tornarci utile: venerdì 16 aprile, a Ottoemezzo, distingueva tra finiani e finioti, mentre oggi, su Il Foglio, distingue tra finiani e finoidi. Mantenendo l’iperbole che in quella puntata di Ottoemezzo era nel commento di Stefano Folli sull’andamento della crisi (“è scoppiata la pace”), possiamo dire che alla “pace” si stia arrivando perché l’umore di Silvio Berlusconi non slabbra più le asole semantiche dei suoi.
Pur di non essere costretto a far cadere il governo, andare alle elezioni, vincerle ma facendo ancora più forte la Lega, e cioè Giulio Tremonti, il padrone del Pdl pare disposto a tollerare che nel suo partito si possa rimanere, anche da dirigenti, per una convenienza non coperta da piena ed entusiastica obbedienza. Anche chi non lo ama follemente, e non è disposto a fingere, può rimanere nel Pdl: per un narcisista come lui è un prezzo alto da pagare, ma pure un narcisista sa fare di calcolo sul proprio culo.

Da finioti a finoidi, dunque, ma tenendo ben presente una differenza tra Fini e i finiani sulla quale gli uomini di Berlusconi hanno sempre posto un particolare accento, fin da subito.
Nella costruzione che veniva appaltata a il Giornale di Vittorio Feltri, Fini si muoveva in preda ad un malessere esistenziale che lo portava a tradire se stesso, prima che i suoi. D’altra parte, i suoi colonnelli lo davano per “malato” già nel 2005, ben prima di diventare sergenti di Berlusconi. Tutt’altra cosa, invece, i finiani: interessati alla poltrona o criptocomunisti.

Torniamo alla livrea del servo. Venerdì scorso, per Quagliariello, ci sono finiani e finioti. “È scoppiata la pace”, ma chi ha voluto la guerra? Non Fini, non i finiani, ma certi idioti fra i finiani che sarà il caso Fini voglia tener buoni per evitare un’altra guerra. Oggi, invece, ci sono finiani e finoidi: “Il problema non è Fini”, dice Quagliariello, ma è che “in Parlamento ci sono troppo pochi finiani e troppi, davvero troppi, finoidi”.
Alzate gli occhi dalla livrea, guardate oltre le spalle del servo: ottenuta la tregua, Berlusconi finge di averla concessa e già sta facendo un pensierino sui prossimi acquisti. “Malati”, a non vendersi. 

martedì 20 aprile 2010

Morning


Sei tu che devi spiegare


“Se qualcuno ha cambiato idea, è lui che deve spiegare perché ha cambiato idea”. Vi dico subito chi l’ha detto, ma promettetemi di mantenere un minimo di contegno: l’ha detto Daniele Capezzone, ieri (Il Fatto del Giorno – Raidue, 19.4.2010), e il riferimento era a Gianfranco Fini.

Innegabilmente, Fini “ha cambiato idea” negli ultimi anni, mostrando una sensibile maturazione in senso laico e liberale a un’opinione pubblica divisa tra la piacevole sorpresa e il sospettoso scetticismo. Ma che ha da spiegare uno che s’è venuto pian piano convincendo che, “su se stesso, sul proprio corpo e sulla propria mente, l’individuo è sovrano”?
Io penso che, comunque ci si arrivi, il perché sia in qualche modo sempre uguale. Capita che a un certo punto – empiricamente o razionalmente – scopri che, se su quella roba non è sovrano l’individuo (e per sovrano intendo totalmente libero e totalmente responsabile), lo è (o prima o poi lo diventa) un tiranno che si prende tutto, in cambio di poco o di niente, anche se sembra tanto.
Da quel punto in poi, se non sei stato irreparabilmente rotto dentro dagli strumenti di questo o di quell’autoritarismo, prendi in mano la tua vita come un arnese mai usato, invece di continuare a servirti di quella a noleggio, per la quale paghi il caro prezzo di te stesso.

Ciò che è più difficile da capire – ed è questo che meriterebbe ampia spiegazione – è com’è che, da laico e liberale, si possa diventare portavoce di un partito che ti manda a dire: “Quello che fa impazzire di rabbia la nostra gente è il fatto che Fini si inventi ogni giorno un argomento per distinguersi”.
Che gente è? E cosa ti è capitato perché tu possa darle voce? Come puoi farti espressione di una “rabbia” che trarrebbe a tuo parere un buon motivo dalla rottura di un unanimismo drogato? Dal laico e liberale che eri, come sei arrivato a poter definire le idee laiche e liberali di Fini come “argomenti inventati per distinguersi”? Sei tu che devi spiegare.