domenica 23 maggio 2010

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“L’omosessualità è gradita a Satana in quanto induce l’uomo a violare le sacre leggi naturali”

sabato 22 maggio 2010

Quando era "persona", adesso neanche è "vita"


Chi sostiene che la persona sia già presente nell’ovocellula fecondata – solitamente per equiparare l’aborto a un omicidio – la individua nel patrimonio genetico umano che lì viene a determinarsi dalla fusione dei due gameti, e cioè dalla fusione dei loro nuclei aploidi in un nucleo diploide, in cui il Dna ha l’unicità e l’irripetibilità che sarebbero proprie – appunto – della persona.
Mi sono intrattenuto molte volte sulla debolezza di tale argomento, ma oggi voglio considerarlo incontestabile e sottoscriverlo: “Da quando si uniscono i patrimoni genetici dell’ovulo e dello spermatozoo, inizia un processo che è unico e irripetibile proprio perché nessuno al mondo ha un Dna uguale a quello di quella cellulina fecondata” (1). Sì, voglio sottoscrivere anche quel tenero “cellulina”.

Non faccio in tempo a sottoscriverlo che su L’Osservatore Romano, a commento del fatto che è stata “ottenuta in laboratorio una cellula con Dna artificiale”, leggo: “Pur essendo un ottimo motore, [il Dna] non è la vita” (2).
Da quando era persona, adesso neanche è vita.


(1)  Carlo Bellieni (zenit.org, 28.4.2004)
(2)  Carlo Bellieni (L’Osservatore Romano, 22.5.2010)

venerdì 21 maggio 2010

Grosse seghe



Le maglie che la Juve indosserà nel prossimo campionato sono tutto un programma.

Tra “i politici che in questi anni lo hanno difeso”



“Giovane democratico ci spiega tutto quello che il Pd pensa davvero di Santoro” (Il Foglio, 21.5.2010). Tolte le pagine che citano quello che pensa di Santoro, e che Il Foglio gli fa l’onore di fargli dire a nome di tutto il Pd, Google è assai avaro di voci sull’onorevole Stefano Esposito: è citato quasi esclusivamente per indicarlo tra i parlamentari del Pd che erano assenti in aula quando lo “scudo fiscale” passò per una manciata di voti, e per la sua attivissima presenza su Facebook.
Ennesima dimostrazione di quanto Google non dia a ciascuno il suo, perché a dispetto del poco che se sa, l’Esposito ha doti eccezionali: prima che Santoro spiegasse le sue ragioni, ieri sera, ne aveva già un’opinione, ieri mattina. Non è geniale?

Santoro avrebbe detto: “Gli unici ad avere sicuramente ragione, e che possono dire di tutto, e di più, e che possono perfino insultarmi, sono gli spettatori. E sono gli spettatori perché c’è una ragione profonda. Un programma come il nostro non crea un movimento politico, non crea un partito, ma crea una comunità in cui si investono sentimenti, emozioni, passioni, dialoghi, si riesce a parlare con qualcun altro la mattina dopo”.
Errato. La mattina dopo era inutile parlare, l’Esposito l’aveva fatto, e a nome di tutto il Pd: “Michele Santoro dice di essere stanco di una battaglia con l’azienda che va avanti ormai dal 2002, dal famoso «editto bulgaro» di Silvio Berlusconi. Giustificazioni che offendono per la loro scarsa sostanza i telespettatori e i politici – tra cui me – che in questi anni lo hanno difeso in nome della libertà di informazione”.
Non c’erano state ancora le giustificazioni, ma l’Esposito già sapeva che fossero di “scarsa sostanza”. Geniale, senza dubbio.

A questo punto non varrebbe nemmeno la pena di ascoltarle e tuttavia, giusto per mettere in risalto le straordinarie doti dell’Esposito, vediamo Santoro cosa dice: “Nonostante due sentenze dei giudici di primo grado e di appello, i partiti di destra e di sinistra, e di sinistra, che controllano la Rai e la stanno conducendo, a mio parere, sull’orlo di una crisi molto grave, non hanno mai voluto prendere atto di questa sentenza fino in fondo e infatti hanno fatto sempre ricorso, la prima volta, la seconda volta e adesso in Cassazione. Che cosa è successo? Che mentre loro facevano ricorso – adesso in Cassazione – nel frattempo Annozero andava in onda per quattro stagioni, 122 puntate, e la Rai grazie al fatto che Annozero andava in onda e che un giudice l’aveva messo in onda, badate bene, ha realizzato grandissimi profitti e tutti questi profitti la Rai li ha incassati e giustamente li ha spesi per fare anche altri programmi magari meno nobili di Annozero. Ora, che cosa succedeva mentre la Rai incassava questi profitti? Contratti bloccati, posizioni congelate, punizioni, minacce di punizione…”.

Una descrizione dei fatti che non corrisponde a ciò che l’Esposito ha scritto e che Il Foglio gli ha tempestivamente pubblicato, ma è chiaro chi dei due abbia ragione e, anche se non c’è traccia in giro di uno Stefano Esposito che abbia mai “difeso” Santoro, perché non credergli sulla parola? Non lo difende adesso, certo, ma chissà quante volte l’ha difeso in cuor suo.

Psicoantropologia clericale applicata


Alla sola descrizione di certi esperimenti in vivo c’è gente che ha bisogno dei sali: non riuscendo a cogliervi il fine scientifico, non vede altro che crudeltà gratuita, protesta, sta male, si lamenta, sviene. E dunque non so se faccio bene a raccontarlo.
Facciamo che i delicatucci sono avvisati, così evitiamo storie. Agli amanti della scienza, che in questo caso è la psicoantropologia clericale applicata, passo a illustrare l’esperimento.

Di ritorno a casa dopo una dura mattinata di lavoro, oggi, trovo nel parco il mio posto auto occupato da una Opel. Controllo l’istinto primordiale, scendo e vado a controllare se l’usurpatore abbia almeno lasciato le chiavi nel cruscotto. Buon per lui, ci sono.
Sposto la sua auto, lasciandola lì dove possa dare il massimo fastidio all’intero parco, e parcheggio la mia. Dalla quale sono appena uscito quando vedo sopraggiungere di corsa una suorina sulla sessantina: “Mi scusi, era solo un attimino… Dovevo solo lasciare… Mi scusi, pensavo…”.
Ero lì per dire: “Fa niente, sorella, problema risolto…”, quando la mia indole speculativa ha preso il sopravvento.

“Mi scusi, un cazzo… [spalancamento d’occhi, tremore al labbro inferiore] Sempre a chiedere scusa, e sempre dopo, mai una volta a pensarci prima… [tenue rossore sulle gote] Il mio posto auto, i poveracci bruciati vivi, Galileo Galilei, gli ebrei… [abbozzo d’un sorriso] e i bambini stuprati dai preti pedofili… [trasalimento repentino] Fate sempre il cazzo che vi pare, e poi chiedete scusa. Un attimino dopo, trenta, cinquanta, cento anni dopo, cinque secoli dopo, sempre dopo… [apre bocca come a dire, ma non dice niente] Basta, ci avete rotto i coglioni…”. Fine dell’esperimento.

Conclusioni: se non avevo l’argomento dei bambini abusati, probabilmente la suorina avrebbe in qualche modo sottolineato l’evidente sproporzione tra il massacro dei catari e il parcheggio della Opel, ma con quello non c’è stata partita. È cosa che ha lasciato il segno. Da considerare duraturo.

La vita è stupida di suo

È nel preciso istante in cui non è più possibile trovare alcuna differenza tra il “diamante artificiale” e quello “naturale” che il maggior pregio di quello “naturale” non si capisce più in cosa consista: stessa fisica, stessa chimica.
Ci si è riusciti con l’inorganico, nonostante le resistenze delle compagnie diamantifere, ci si riuscirà pure con l’organico, nonostante tutto: ci vorrà molto tempo ancora, ma alla fine non sarà più possibile trovare differenza tra “vita artificiale” e quella cosiddetta “naturale”, e discriminare sarà prima impossibile che insensato. Perché? Gesù, che domande, perché si può. Ogni volta che si è potuto, prima o poi si è fatto.
Tutti a sputare nel piatto dove mangeremo, intanto, come se fossimo certi di poterne fare a meno. Che stupidi siamo, speriamo che quelli “artificiali” vengano meglio. E tuttavia è pressoché certo che è inutile sperarlo: la vita è stupida di suo, il suo intramontabile fascino è tutto lì.
E dunque grazie a chi resiste.

"Chi amiamo, e se amiamo qualcuno, dovrebbe essere irrilevante per la legge"



(progetto fotografico di Chiara Lalli)

giovedì 20 maggio 2010

Comunicazione di servizio


Anche Makia lascia il Cannocchiale, annotate il nuovo indirizzo: http://makia.wordpress.com/.

Il vescovo e la sciocchina


Quasi tutti positivi, i commenti alle belle parole della Carfagna, anche se adesso non guasterebbe un bel gesto, “fatti concreti”, perché incidentalmente la signora è ministro.
Quasi tutti positivi, i commenti, fatta eccezione per qualche acidità de il Giornale e de Il Foglio: non una parola di Avvenire, men che meno de L’Osservatore Romano. Capita, cioè, che un personaggio pubblico, addirittura un ministro, abbandoni la Verità e sposi la moda del secolo, quella che riconosce piena parità di diritti ai non-eterosessuali e condanna ogni discriminazione ai loro danni, e non c’è uno straccio di tonaca che voglia dire due parole: per sentire un prete che mugugna bisogna andare per catacombe. Qui, il vescovo emerito di Alghero, monsignor Antonio Vacca, dà un saggio straordinario di cosa capita a un ministro, quando abbandona la Verità.

“Il ministro poteva risparmiarsela quella dichiarazione”. Duole che un politico non sia aderente al magistero morale della Chiesa, ma duole assai di più che faccia scandalo dichiarandolo pubblicamente. Soprattutto se a capo di un dicastero pertinente.
Se “il governo si è sempre dichiarato vicino ai valori cattolici”, com’è possibile? “Bisogna vedere nei fatti quanto ci sia di cattolico nelle singole persone”. Non è un darle della troia, senza dubbio, ma forse c’è qualcosa che è pure peggio: “La politica é ricerca del consenso anche a buon mercato. Esiste la convenienza politica e l’appoggio dei gay é importante, vista la loro influenza”. Insomma, la Carfagna s’è venduta i valori.
C’è di più: se “il governo si è sempre dichiarato vicino ai valori cattolici” e nel singolo ministro c’è poco di cattolico, quel ministro è in qualche modo fuori dal governo, ectopico perché atipico.

Basta? Macché. Sua Eccellenza chiude la sua riflessione con un gesto di carità: “Sono certo che in realtà il ministro non la pensi esattamente così”. Mente o parla senza sapere cosa dice, la sciocchina.

George Carlin



[...]

Santoro è convincente.

Segnalazione

Ismaele sul riflusso della blogosfera (1, 2).

Enciclica (2005)



Lunga premessa a una riflessione su cosa sia questa benedetta «agenda progressista» della Chiesa del Terzo Millennio (più la rimandiamo e meglio è per i cosiddetti «progressisti»)


Da tempo – e il tempo muta il significato delle parole – si usa suddividere i cattolici che capiscono qualcosa del cattolicesimo (a naso, non mi paiono più del 2-3%) in «progressisti» e «tradizionalisti», con una semplificazione accettata anche da chi la ritiene ingannevole, sicché quasi più nessuno ne fa uso rammentando gli effetti indesiderati.
Capita, così, che quanti accettano per sé – sempre con fierezza – la definizione di «tradizionalisti» siano poco disposti a considerare cattolici quelli che così finirebbero per essere «progressisti»: un «cattolico progressista», in realtà, non sarebbe altro – dicono – che un eretico (luterano, calvinista, ecc.), perché «cattolico» – sostengono – non può che essere sinonimo di «tradizionalista», giacché senza piena fedeltà alla tradizione – affermano – non c’è cattolicesimo. Sembra argomento ragionevole.
E tuttavia questa opinione è contestata da quei cattolici per i quali, se è possibile una progressio populorum, è possibile anche una progressio ecclesiae: nel corpo mistico di Cristo – sostengono – è possibile un divenire, sicché la tradizione – affermano – è chiamata a darsi forme sempre nuove, se davvero vuol essere anima viva di un corpo vivo. Sembra argomento ragionevole, pure questo. E tuttavia costoro non accettano volentieri la definizione di «progressisti».
Non è tutto così semplice, perché ci sono i cattolici che rigettano per se stessi entrambe le definizioni: una suddivisione del genere – dicono – è impossibile, perché frequentemente si è costretti a constatare che vi sono più elementi comuni tra un «progressista» e un «tradizionalista» che non tra due «progressisti» o due «tradizionalisti». Non è argomento irragionevole, e in più ha la forza che gli dà il rilievo empirico: i «progressisti» – ciascuno a suo modo – si sentono i reali interpreti della tradizione; i «tradizionalisti» – ma non tutti – ritengono addirittura che la tradizione non vada interpretata, ma vissuta; i cattolici che rigettano la suddivisione finiscono per utilizzarla, ma solo e quando c’è da mostrarla come paradossale, perché foriera di grave danno a quanto del cristianesimo sta nel cattolicesimo.
Sarà il caso di usare una soda di carotaggio per verificare quanto abbiamo fin qui detto, e l’abbiamo: Joseph Ratzinger. I «progressisti» lo considerano «tradizionalista», ma abbiamo detto che essi hanno un gran rispetto per la tradizione, sicché usano sinonimi come «restauratore», «immobilista», ecc.; i «tradizionalisti», al contrario, ritengono Joseph Ratzinger un «progressista» (o «criptoprogressista»; o «progressista dei due passi avanti e uno indietro»; o addirittura – i lefebvriani, per lo più – «interprete [superfluo aggiungere: infedele] della tradizione»); piace, invece, e piace molto, a quei cattolici che capiscono poco o nulla del cattolicesimo, ma a quelli che ne capiscono qualcosa e con quel tanto arrivano a ritenere che il kerigma può cambiare senza cambiare, e che quindi in Joseph Ratzinger trovano l’ambiguità ad hoc (l’incarnazione dell’ambiguità come capo di una Chiesa che può ormai sopravvivere solo nell’ambiguità).

Semplificare può tornare utile in qualche raro caso, ma è sempre pericoloso, e perciò mettevo avanti le mani con una così lunga premessa. Dovendo affrontare una riflessione di carattere generale sulla Chiesa degli ultimi due pontificati, era il caso che chiarissi come e dove si può spendere lessicalmente questo soldo di latta che sul recto è «progressista» e sul verso è «tradizionalista» (o al contrario).

E io che mi pensavo fosse alterigia


“Sto in trenta mq scarsi al terzo piano a Trastevere per 1.250 euro al mese. Non uso riscaldamento né acqua calda, neanche in inverno”
Marco Perduca, Libero, 19.5.2010

Index




Tutti a pigliarlo per il culo, senza capire che ogni sua gaffe e ogni suo strafalcione rivelano un pezzo della realtà che si è costruito attorno, e che ridere di quella è pericoloso. Gogol non è l’errata pronuncia del celeberrimo motore di ricerca, ma è quel tal Google che ti dà solo la prima pagina di risultati, la più vista, spesso l’unica vista. Quando dice Gogol, non ridete: immaginate che gli venga l’uzzolo di comprare Google e cominciate a tremare.

mercoledì 19 maggio 2010

Tutto è relativo, d’altronde


Ogni volta che a un ebreo è stato impedito di prendere parola in una università italiana o europea, Il Foglio non ha mai mancato di protestare: in nome della libertà di espressione, prima ancora che in solidarietà di Israele, bastione di democrazia e tolleranza nell’assai poco democratica e dell’ancor meno tollerante realtà del Medioriente
 Anche quando a Benedetto XVI fu vietato di parlare alla Sapienza, Il Foglio fu in prima linea: in nome della libertà di espressione, prima ancora perché il papa è papa, e non sta bene vietargli di parlare.
Stavolta che a Noam Chomsky è impedito di parlare in un ateneo israeliano, la libertà d’espressione diventa un fatto relativo (tutto è relativo d’altronde) e in primo piano Il Foglio mette in evidenza che Noam Chomsky sarebbe un pezzo di fetente.

Non male


Sull’intervista concessa a la Repubblica dalla moglie di Scajola, subito smentita dal marito, a Parla con me (Raitre, 18.5.2010), Fiorenza Sarzanini avanza la mia stessa ipotesi con uguale argomento: i due hanno confezionato la classica richiesta d’aiuto ai compari non ancora fottuti, tra disperazione e ricatto. Naturalmente, la cronista del Corriere della Sera usa espressioni più felpate.
Altra questione che tocca, e che anch’io ho segnalato come centrale in questa Tangentopoli ancora allo stato gassoso, è quella dei 280 mila euro dati da Angeli Balducci a monsignor Franco Camaldo (“prestito a fondo perduto”): insieme a «don Bancomat», crea il link con lo Ior e il Vaticano, da un lato, e mostra di rivelare la funzione svolta nel governo (Gianni Letta) e presso i singoli ministri e sottosegretari (Angelo Balducci) da questi Gentiluomini della Casa Pontifici che paiono indispensabili per avere la benedizione delle gerarchie ecclesiastiche, dall’altro.

Su cosa vogliano le gerarchie ecclesiastiche dall’Italia, intesa come stato e come nazione, non c’è bisogno di trattenerci a lungo. Idem, su cosa possa volere questo o quel vescovo, questo o quel prete, immancabile tonaca ad ogni posa di prima pietra, di ogni congresso di partito, in ogni piega del welfare, sotto ogni forma di volontariato a pagamento.
Cosa la Chiesa offra quando non si è in campagna elettorale, adesso è più chiaro: socia di malaffare, paravento di prestigio, via di fuga per i protetti, garanzia di massima discrezione.
Non male, non male, davvero non male. Dopo tutta la merda piovuta su San Pietro in questi ultimi due anni, altra ne pioverà al primo no che il Vaticano darà alle rogatorie dei magistrati. Leggeremo complicatissime spiegazioni di questi no, e avranno tutte dei bei risvolti canonistici, ecclesiologici, teologici… Già mi figuro il nostro caro Angelus: “Cari amici, in questa domenica la liturgia ci invita all’adorazione del mistero dello Ior…”.

martedì 18 maggio 2010

Mi dispiace fratello, ma se ti dà fastidio non hai che da voltarti di là


“Mettiamo che io adesso fondi una religione che considera atto sacrilego dare calci a un pallone…”. Fin quando avremo intelligenze belle come questa, l’evo non sarà mai scuro.

Giusto perché mi arriva l'email...


Da un’analisi di confronto rispetto al 5xmille degli ultimi due anni disponibili (2007-2008) risulta che l’Associazione «Luca Coscioni» sia riuscita a passare dal 166° posto del 2007 al 104° posto del 2008 relativamente agli importi che le verranno destinati”. Accolgo con piacere questa notizia, certo che nel 2009 ci sarà ulteriore e più consistente impennata, grazie ai ripetuti annunci pubblicitari (700 euro a paginone) che quest’anno la «Luca Coscioni» ha strategicamente piazzato su Il Foglio, i cui lettori sono notoriamente assai sensibili ai temi cari all’associazione.
“I contribuenti che hanno deciso di scegliere la nostra associazione sono stati in termini assoluti: 2925 nel 2007 e 4592 nel 2008. Il valore di ciascuna firma è stato di 30/35 euro circa”. I 60/70 contribuenti che hanno pagato i tre paginoni su Il Foglio non vedono l’ora di rifarlo.

Penso a cosa si leggeva di lui, su Il Foglio, quando era ancora vivo e penso che, a vedere quei paginoni, Luca Coscioni si sarà rigirato nella tomba, dimenticando di essere morto di SLA.