mercoledì 9 giugno 2010

Le contraddizioni in Dio

L’uomo vive di contraddizioni, ed è oggetto di discussione se eliminarle non comporti l’eliminazione dell’uomo stesso. In uno di questi tentativi – il monoteismo – lo sforzo mira ad azzerare le contraddizioni umane nelle contraddizioni che l’uomo ha appioppato a Dio, nel venirlo a costruire così come lo vediamo nella Torah, nei Vangeli, nel Corano: il monoteista si libera delle contraddizioni riponendole nel Mistero entro le quali non sono più tali, e il suo Dio si contraddice senza sbagliare mai.
Se prendiamo l’islam, per esempio, dove le parole di Dio sono indiscutibilmente quelle del testo sacro, senza che all’interprete sia consentita una lettura simbolica o allegorica, abbiamo un Allah violentissimo, ma anche infinitamente misericordioso, che qui prescrive di sgozzare gli infedeli, lì di tollerarli, più in là perfino di amarli come fratelli.
Idem coi Vangeli, naturalmente, dove le contraddizioni si contano a dozzine, ma il cristianesimo – anche il fondamentalismo cristiano, che tende a coranizzare i Vangeli – lascia un margine all’interprete, sicché le contraddizioni dell’uomo si annullano in Dio – rimanendo tali nel peccato – con la plasticità che i tempi richiedono al suo Cristo vivente: e così, dal puntare l’attenzione a un Dio “padrone del cielo e della terra”, la si sposta al “date a Cesare quel che è di Cesare”.

Con l’islam è diverso. L’islam non ha bisogno di interpretazioni e queste contraddizioni le risolve in un califfato che non è né teocratico né cesaropapista. E sul rapporto cogli infedeli risolve le contraddizioni prima della politica, mentre il cristianesimo le risolve tramite essa: ecumenismo sul piano interno, evangelizzazione su quello esterno, tutto secondo quando possibile, con prudenza e opportunismo. Nessuna prudenza, invece, e scarsissimo opportunismo nell’islam: le sorti della politica interconfessionale sono affidate a quelle del califfato virtualmente elaborato, ed è da quando i musulmani hanno perso i loro territori in Europa che l’elaborazione del califfato è revanchista e sciovinista, cioè jihadista. Il trauma delle crociate e poi della sconfitta subita a Lepanto ha precluso all’islam ogni altra possibile elaborazione delle contraddizioni del suo Dio.
E dunque – per dirla con Manuele II Paleologo – “Maometto ha portano di nuovo solo cose cattive e disumane”? Sarebbe un “modo pesante” di porre la questione, così disse Benedetto XVI a Ratisbona, quattro anni fa, e non bastò: le proteste levatesi nel mondo musulmano lo costrinsero a inserire nella sua lectio – dopo – che l’imperatore bizantino si fosse espresso “in modo sorprendentemente brusco, brusco al punto da essere per noi inaccettabile”. E però il problema resta: per quanto espresso in modo inaccettabilmente pesante, il concetto di un islam inemendabilmente irrazionale e violento è – o non è – di questo pontificato? Se Giovanni Paolo II baciava il Corano, lo vedremo fare pure a Benedetto XVI?

Cominciamo col dire che, quando lo fece Giovanni Paolo II, quasi nessuno ebbe troppo da ridire (ai lefebvriani venne un attacco epilettico), ma era il maggio del 2001, mancavano ancora quattro mesi all’11 settembre: l’islam non era stato ancora dichiarato nemico dell’occidente. Il gesto non sarà piaciuto di certo al cardinale Joseph Ratzinger, quello che alcuni mesi prima aveva firmato la Dominus Jesus, ma se è per questo molto di ciò che faceva Giovanni Paolo II non gli andava a genio, ma non aveva indole per darlo a vedere. Sempre stato un cagasotto, il nostro. Uomo dei due passi avanti ed uno indietro. Come con l’islam. “Per la dottrina musulmana – diceva a Ratisbona – Dio è assolutamente trascendente. La sua volontà non è legata a nessuna delle nostre categorie, fosse anche quella della ragionevolezza”: un po’ meno “pesante” di Manuele II Paleologo, indubbiamente, ma non di tanto. Sicché in una nota aggiunta successivamente: “Questa citazione, nel mondo musulmano, è stata presa purtroppo come espressione della mia posizione personale, suscitando così una comprensibile indignazione. Spero che il lettore del mio testo possa capire immediatamente che questa frase non esprime la mia valutazione personale di fronte al Corano, verso il quale ho il rispetto che è dovuto al libro sacro di una grande religione. Citando il testo dell’imperatore Manuele II intendevo unicamente evidenziare il rapporto essenziale tra fede e ragione. In questo punto sono d’accordo con Manuele II, senza però far mia la sua polemica”.
Mica si diventa papa senza essere almeno un poco figlio di puttana.

Ordunque, siamo al passo indietro dopo i due passi avanti di Ratisbona? Pare proprio di sì, e in fondo già nei ritocchi successivi alla lectio era evidente l’intenzione: il professorino s’era accorto che da pontefice l’uditorio si ampliava di orecchie poco condiscendenti, fino al permaloso. Ma con le batoste prese da al Qaida, con il venir meno della sensazione di essere assediati da un miliardo e più di jihadisti, con la costruzione (ancorché surrettizia) di un “islam moderato”, i musulmani diventavano più facilmente dei possibili alleati che dei nemici contro la secolarizzazione del mondo.
I segni c’erano già tutti nel 2007 e nel 2008 con la ripresa dell’attività interconfessionale su temi di comune interesse. Meno irenismo, più agenda geopolitica. Naturalmente rimanevano in piedi gli enormi problemi politici relativi ai musulmani nei paesi di tradizione cristiana e ai cristiani nei paesi di tradizione islamica, ma questi, se non accantonabili, erano secondari a fronte dell’urgenza di spiritualizzare un mondo sempre più materialista.
Marciare divisi per colpire uniti: il senso del “trialogo” (cristiani, ebrei e musulmani) proposto dal papato era (ed è) questo. Ma in quale ardita ipotesi culturale e psicologica si possono immaginare insieme i vincitori e i vinti di Lepanto?

“Perché la Chiesa non può abbandonare lo spirito di crociata?”, si chiede uno jihadista cattolico. “Molto semplicemente perché non può rinnegare la propria storia e la propria dottrina. […] L’idea di crociata infatti non è solo un evento storico circoscritto al Medioevo, ma è una costante dell’animo cristiano che nella storia conosce momenti di eclissi, ma che sotto diverse forme è destinata a riaffiorare. […] Il Vangelo del resto, nel suo significato originario, è annuncio di vittoria militare, in questo caso la vittoria di Cristo sul male e sulle potenze delle tenebre” (Roberto De Mattei – Il Foglio, 8.6.2010). Manuele II Paleologo ne rimarrebbe imbarazzato: non è dunque solo l’islam a volersi imporre con la spada? E come si tengono buone queste feroci pecorelle? Come si può convincerle che i musulmani sono “fratelli”?
Ne scriverò ancora, diciamo che questa era solo l’esposizione del tema. Ma fin d’ora pare chiaro che molti ratzingeriani si sono dichiarati tali troppo in fretta, senza aver chiaro chi sia davvero Joseph Ratzinger. Ne vedremo delle belle: o Benedetto XVI dovrà tradire Joseph Ratzinger (come in parte ha già fatto) o dovrà tradire l’immagine che Joseph Ratzinger aveva dato di sé per vendemmiare fra i riformisti e i tradizionalisti (e anche questo in parte è già stato fatto).

Un’altra considerazione, prima di chiudere. Ancora non è noto il testo integrale dell’Instrumentun laboris per la Chiesa in Medioriente (qualche stralcio a Radio Vaticana, solo frustoli), ma potrà essere utile leggere quello la Chiesa in Africa dell’anno scorso, al punto in cui si fa cenno ai rapporti interconfessionali (102). Metto in evidenza i tratti salienti: “In certi luoghi, la convivenza con i nostri fratelli musulmani è sana e buona; in altri, invece, la diffidenza da entrambi i lati impedisce un dialogo sereno”. Qui è interessante notare che ultimamente la Chiesa di Roma tende a prendere le distanze da quel cristianesimo fondamentalista col quale aveva civettato negli scorsi anni, quasi a sottolineare che diffidenze cattoliche verso i musulmani non ci sono mai state, eventualmente erano soltanto di folli evangelici nel fondo più rurale di una certa America. “La tendenza a politicizzare le appartenenze religiose è del resto un pericolo comparso laddove si era iniziato il dialogo”, ma questo non vale pure per i lepantisti di casa nostra?
Ci divertiremo, ci divertiremo un sacco a constatare che le contraddizioni in Dio sono assai al di sotto dell’umano di quando rimangono nell’uomo.  

Bhopal


In un certo qual modo è stata fatta la volontà di Madre Teresa di Calcutta, che appena arrivò a Bhopal, dopo la tragedia, disse: “Perdonate, perdonate, perdonate!”. E infatti i proprietari della Union Carbide sono stati perdonati, mentre i dirigenti locali hanno avuto una condanna irrisoria. Più di mezzo milione di intossicati, qualche migliaio di morti, danni alla salute tuttora enormi, malformazioni fetali in numero cinquanta volte maggiore alla media standard…
Ora che Bhopal ritorna sulle pagine dei giornali, della santa va ricordato che la sua holding rifiutò ogni forma di aiuto umanitario alle donne che avevano deciso di interrompere la gravidanza che era in corso al momento dell’intossicazione. L’aborto di un feto gravemente malformato era peccato più grave dell’aver provocato la malformazione, tutto secondo la logica che dà un tozzo di pane all’affamata che si tiene un figlio malformato e lo nega all’affamata che interrompe la gravidanza.

Poi, volendo, bisognerebbe andare a controllare se fra i facoltosi benefattori della holding della santa ci fossero gruppi o singoli in qualche modo collegati a industrie che trattassero isocianato di metile: la santa accettava denaro da chiunque, anche da sanguinari dittatori come Duvalier – una straordinaria macchina per far soldi, la santa – perché non da quelli?

La via smilza da Togliatti a Benedetto XVI



Segnalazione

Un Luca Massaro perfetto.

martedì 8 giugno 2010

“Una cosa personale”


“Sicuro è che non si tratta di un assassinio politico o religioso, si tratta di una cosa personale”, ma questo per Benedetto XVI. “Aspettiamo ancora tutte le spiegazioni”, aggiungeva, e probabilmente faceva riferimento alle indagini in corso. Ora, “secondo voci nella polizia turca” (Il Sole-24Ore, 8.6.2010), Murat Altun avrebbe confessato di aver ucciso monsignor Padovese perché esasperato dalle sue asfissianti avances sessuali. “Una cosa personale”, proprio come aveva detto Benedetto XVI. Ma un martire della fede torna sempre comodo, soprattutto se la “cosa personale” è imbarazzante, e allora ecco che il papa potrebbe essere costretto a rivedere la sua opinione sull’omicidio. “Non vogliamo mescolare questa situazione tragica con il dialogo con l’islam”, aveva detto, ma ora potrebbe essere costretto a farlo, spinto dalla comunità cattolica in Turchia, alla quale un vescovo martire tornerebbe assai più utile di un vescovo omosessuale, e da quei lepantisti che hanno subito storto il muso al suo porgere la mano ai “fratelli musulmani”. 

Ricordate i sei senegalesi uccisi dalla camorra a Castelvolturno nel 2008? Uccisi perché neri? Pare che furono fatti fuori per errore: la camorra li riteneva, a torto, rivali nello spaccio di droga. A chi poteva tornar comodo che la strage avesse un movente “razzista”? Un po’ a tutti, forse agli stessi camorristi, dopo aver capito di aver sbagliato bersaglio. I quali non è affatto escluso che nel far fuori i sei senegalesi possano aver gridato: “Crepate, negri di merda!”.
Così per la morte di monsignor Padovese: potrebbe tornar comodo anche agli islamisti che sia stato ucciso perché cristiano, e vescovo per giunta, piuttosto perché avesse fatto saltare i nervi ad Altun con le sue pressanti richieste. Che questi possa aver gridato: “Allah Akbar!” (ma le fonti sono tutte di parte cattolica) diventa la cosa più importante, mentre passano in secondo piano tutte le stranezze del caso.
 
Monsignor Luigi Padovese aveva rinunciato al suo viaggio a Cipro poche ore prima di essere ucciso, dopo che Murat Altun gli aveva comunicato che non lo avrebbe seguito. Quel viaggio era un appuntamento importantissimo (doveva essere accanto a Benedetto XVI che consegnava quell’Instrumentun laboris alla cui stesura il Padovese aveva dato un grande contributo), ma a tuttora nessuno sa spiegare perché il vescovo vi abbia rinunciato.
Murat Altun era alle sue dipendenze come autista da quattro anni, e tuttavia il Padovese lo voleva accanto a sé anche quando non doveva spostarsi. Non sarebbero mancate occasioni per uccidere prima il vescovo, soprattutto nella settimana che ha preceduto quella nella quale si è consumato l’omicidio, nella quale il Padovese ha trattenuto presso di sé l’Altun senza mai consentirgli di tornare a casa. È diventato islamista in quarantotto ore, l’Altun?
Tutti dicono che si fosse convertito o stesse per farlo: per un islamista sarebbe inammissibile anche solo il simularlo.

Non regge, la tesi dell’omicidio rituale è fragile fino all’inconsistenza. E il fatto che su di essa si affanni soprattutto chi conosceva bene monsignor Padovese puzza maledettamente.

lunedì 7 giugno 2010

La coscienza


Non si può escludere la presenza di una qualche forma di coscienza nel soggetto in stato vegetativo persistente: non si può esserne sicuri, ma nemmeno la si può escludere, a questo arriva la “commissione Roccella”. Resta inteso che invece si possa escludere del tutto nel soggetto sano che decida di non voler vegetare, nel caso.


Nothing really blue

 


[...]



Soldato israeliano in mano a “pacifisti” filopalestinesi.


L'autista



“Era in procinto di partire per Cipro, incontro a Benedetto XVI, ma è stato ucciso alla vigilia, giovedì 3 giugno, festa del Corpus Domini” (Settimo Cielo, 3.6.2010). Sandro Magister trascura l’essenziale: monsignor Luigi Padovese aveva prenotato il volo a Cipro per sé e per il suo autista, annullando la prenotazione poche ore prima di essere ucciso. Eppure, come fa notare Andrea Tornielli, “quell’appuntamento a Cipro era certamente uno dei più importanti dell’anno nella sua agenda [perché] aveva collaborato intensamente al documento preparatorio del Sinodo [e] doveva essere vicino al Papa nei tre giorni della visita” (il Giornale, 6.6.2010).
Cosa può averlo fatto rinunciare? Sappiamo solo – grazie a ciò che ci racconta suor Eleonora Di Stefano (Il Giorno, 4.6.2010) – che la decisione del Padovese di non andare a Cipro è stata di poco successiva al rifiuto dell’autista di seguirlo. Visto che il programma della visita papale a Cipro aveva Nicosia come unica tappa, a cosa gli serviva un autista al seguito, soprattutto se in penose condizioni psicofisiche?

Murat Altun non era solo il suo autista, diciamo che era soprattutto un suo figlioccio. Sua Eccellenza gli si era tanto affezionato da volerlo accanto a sé, notte e giorno, per l’intera settimana antecedente a quella in cui si sarebbe consumato l’omicidio e, quando il giovane aveva fatto ritorno a casa, non aveva fatto passare due giorni: “Si stava riposando quando il vescovo lo ha chiamato chiedendo di andare a prenderlo per fare una passeggiata. Mio figlio – racconta la signora Altun, che si dice “triste perché è morto il vescovo, non perché mio figlio è in prigione”gli ha detto che era stanco ma lui ha insistito […] Voleva portare mio figlio a fare una passeggiata e poi a pranzo fuori” (Avvenire, 6.6.2010).
Un attaccamento un po’ asfissiante, forse, ma è troppo poco per dar credito alle insinuazioni. Avvenire cita il quotidiano turco Sabah, che avrebbe “ipotizzato moventi sessuali”, ma su sabah.com.tr non ne ho trovato traccia, neanche in cache: si parla solo di possibili moventi “personali” (“kişisel”), sicché quella del giornale dei vescovi sembrerebbe una excusatio non petita. Tanto più se con l’ansiosa notazione che si sarebbe trattato di “ipotesi poi rivelatesi false”, e non si capisce come.

Ma questo, in fondo, non è cosa rilevante. Inoltre bisogna tener conto che in Turchia l’omosessualità non è ben tollerata, e Murat Altun potrebbe far fatica ad ammettere che l’affetto che gli portava monsignor Padovese fosse tutto casto. La cosa importante, e al momento assai controversa, è capire se Murat Altun fosse un convertito al cattolicesimo o in procinto per esserlo, e qui le voci sono contraddittorie e ambigue: tutti dicono di sì, smentisce solo la sorella di don Andrea Santoro. E sì che un vescovo ucciso da un neoconvertito sarebbe cosa assai imbarazzante, assai più che se ucciso da un giovane stanco delle sue stringenti attenzioni.


A parte
“La Chiesa dica che quel vescovo non è morto per accidente”, chiede Giuliano Ferrara, che da blogger poco informato – sua unica fonte è Settimo Cielo, a quanto pare – chiede che le gerarchie ecclesiastiche facciano subito di monsignor Padovese una bandiera della “condizione dei cristiani nel mondo islamico”, non foss’altro per “i giudizi drammatici [che] sull’islam e la condizione penosa della libertà di coscienza e religiosa al suo interno” sono stati espressi in passato da Sua Eccellenza, “francescano e patrologo, genuino missionario in terre difficili e innamorato della Turchia” (Il Foglio, 7.6.2010). Non si rende conto che la Santa Sede non può arrischiarsi a farlo con troppa leggerezza: può darsi che monsignor Padovese sia morto proprio per un “accidente” da “innamoramento” o, peggio, da proselitismo. Santo sì, ma solo dopo il processo a Murat Altun, se questi continuerà a darsi per matto.

sabato 5 giugno 2010

Finisci per inorgorglirti


Quasi tutti i redattori e buona parte dei collaboratori fissi de Il Foglio hanno un blog. A che possa servir loro, non s’è mai capito. Non è cosa ridicola, e un po’ puzzona, dare a gratis la propria scrittura? Scrivono su un giornale (ullallà!), peraltro un giornale assai critico sul blogging. Sarà che vogliono dimostrare indipendenza dalla linea del giornale, non vedo altra spiegazione, ma allora perché ilfoglio.it li linka? Sarà che il giornale vuole dimostrare indipendenza dalla sua linea? Saranno gli unici blog decenti in giro, via, la spiegazione sarà questa.

Che palle? Che palle. giuro che la prossima volta non spenderò neanche un rigo. È dal 2003 – quando la Deficiente scrisse che i blogger erano segaioli – che questa storia va avanti, sempre uguale: di tanto in tanto il boss si sveglia cogli zuccheri alti, sceglie uno dei due suoi registri da bipolare (controcorrente o contro-controcorrente), commissiona una provocazione indirizzata alla blogosfera a uno dei poveracci tenuti ad un desk a pane e acqua, e aspetta la doccia di insulti per sciacquarsi le ascelle. Tommaso Marinetti pagava per essere fischiato, qui si scrocca. E visto che ultimamente al boss queste provocazioni vengono a fotocopia, i blogger ormai lo schifano e lo schivano. Addirittura – orrore! – danno del blog al suo giornale.



En passant, volevo dire: ieri, concepivo una meditazione sul «pacifismo» della Freedom Flotilla a partire da uno degli italiani a bordo, quell’Angela Leno che dirige Infopal – bene, mi pare assai scorretto che Il Foglio mi rubi l’idea e stamattina mandi in edicola una robetta ricicciata dall’idea di un blogger. Mi pare scorrettissimo, ma fa niente: in un certo qual modo fa piacere avere un seguito.

venerdì 4 giugno 2010

“Muori, per Dio!”


A uccidere monsignor Luigi Padovese è stato il suo autista. Fatte le dovute condoglianze e aver ribadito che la violenza è sempre cosa sgradevole, sarebbe il caso di indagare sul rapporto tra datore di lavoro e dipendente piuttosto che archiviare tutto, e pigramente, alla voce “martirio della fede”. Perché ormai ogni religioso ucciso sembra godere del diritto alla qualifica di “martire della fede”, che scatta in automatico, anche quando viene ucciso per ragioni che hanno (o potrebbero avere) assai poco a che fare con la sua missione di proselitismo in partibus infidelium. Che l’assassinio venga consumato al grido di “Allah o-Akbar!” mi sembra poco, perché avrei qualche difficoltà ad archiviare come fanatico religioso un omicida che spari al grido di “Muori, per Dio!”.

Le ragioni del cuore



Sotto una fotina di Gandhi c’è la scritta: “Resistenza non-violenta”. È uno dei banneruzzi sul dorso della homepage di Infopal, il corrispettivo filo-palestinese del filo-israeliano Informazione corretta. È il sito diretto da Angela Leno, una degli italiani a bordo della Freedom Flotilla. Quale sarebbe stata la reazione del Mahatma al blitz israeliano, se fosse stato su quella nave? Non riesco a immaginarmelo armato di spranga o coltello. No, senza dubbio il banneruzzo è fuori luogo.
Fuori luogo, qui, anche le segnalazioni delle proteste di parte ebraica contro il governo di Israele: a rigor di logica – la logica della signora Leno – questi ebrei che condannano l’intervento armato deciso dal governo israeliano dovrebbero essere considerati degli stupidi o, peggio, dei traditori del loro paese. A chi la intervistava, due o tre anni fa, sulle “voci maligne dicono che dietro a voi ci sarebbero quelli di Hamas”, la Leno rispondeva: “Noi cerchiamo di essere equilibrati. È chiaro che siamo dalla parte dei palestinesi. Il governo attuale lì è Hamas e quindi, come in Italia, diamo leggermente più spazio al governo invece che all’opposizione”.
È logica berlusconiana, parafrasi del “right or wrong, it’s my country”, dove “il mio paese” andrebbe sostituto da “il governo che attualmente regge il mio paese”: la signora sostiene la causa palestinese, attualmente il governo palestinese è in mano ad Hamas, e dunque Hamas merita sostegno. Di là da ogni sua scelta, evidentemente, anche dei kassam sparati sui civili israeliani, anche dei kamikaze mandati a farsi esplodere in bar e discoteche di Tel Aviv...

Ho sbagliato, era meglio se fossi rimasto all’oscuro dell’esistenza di Infopal e di chi lo dirige. Ma è che ho scritto un post nel quale ho messo in discussione le ragioni dei “pacifisti”, ribadendo la mia convinzione che Israele abbia il diritto di difendersi anche con la forza da chi dichiara di volerlo spazzare via dalla cartina del Medio Oriente, e molti commenti mi hanno spinto a riverificare la mia posizione: chi meglio di Angela Leno – mi son chiesto – potrà spiegarmi dove sbaglio? “Giornalista torinese, laureata in lingua e letteratura araba, da anni scrive articoli sul mondo arabo-islamico e sulle comunità musulmane in Italia”, così ho letto su una scheda curata di chi ha editato uno dei suoi libri. Mi è sembrata la persona più indicata, e per giunta era a bordo della nave…
Sbagliavo: la signora ha lasciato in Google una mezza dozzina di affermazioni che mi irritano più del banneruzzo con Gandhi sul sito che dirige, e mi irrito a tal punto che corro il rischio di trasformarmi da amico di Israele a fanatico sostenitore delle più turpi azioni del Mossad. Una per tutte: “Io direi che, visto che in Italia e in Europa c’è una fortissima laicizzazione, un profondo allontanamento da tutto ciò che è spiritualità, religiosità praticante, l’islam italiano – che al 30/40% è un islam praticante (una percentuale molto più alta dei cattolici praticanti) – è una risorsa che con i suoi valori potrebbe dare un esempio di etica e di spiritualità: potrebbero essere veramente un modello. Però devono essere coerenti, affinché questo accada. C’è una grande forza in questa loro spiritualità che ne permea la giornata, che scandisce tanti aspetti della vita quotidiana. È qualcosa che potrebbe insegnarci moltissimo”.
È la cura che la signora Leno raccomanda contro la “fortissima laicizzazione” dell’Italia e dell’Europa: è evidente che nell’“islam” della signora la religione, la cultura e la politica stanno insieme come “cristianesimo” di Marcello Pera o di Giuliano Ferrara. Come se non bastasse la merda di nostra produzione...

Io odio le ragioni del cuore, perché sono quasi sempre cieche e reclutano ciechi di qua e di là. Avrei potuto rispondere a ciascuno dei commenti al mio post in forza di un reclutamento coatto al quale non voglio cedere. E perciò mi limito a due risposte.
(1) Ho scritto che gli ebrei non sono una razza e che affermarlo è razzista, e ho precisato che non lo sono più dal XVI secolo almeno: basta studiare un poco la loro storia per capire che è da allora, venendo meno i divieti di parte cristiana ai matrimoni misti, che è impossibile immaginare un “ebreo puro”. Anche il sionismo più fanatico rinuncia a questo orrore, e ciò mi pare un segno di grande intelligenza.
(2) Non so più chi, ma mi ha lasciato scritto qualcosa del tipo: “Peccato, leggevo questo blog con interesse, ecc.”. Bene, è questo il tipo di lettore del quale non ho alcun bisogno. Ciao, addio.

giovedì 3 giugno 2010

mercoledì 2 giugno 2010

Vizi privati e pubbliche virtù


La carriera del nostro sottosegretario allo Sviluppo economico con delega alle Comunicazioni segna i primi successi con Vizi privati e pubbliche virtù, condotto da Maurizia Paradiso, fiore all’occhiello della sua Tv7-Lombardia: a far dirgli che il miglior Tg gli sembra quello di Augusto Minzolini è un grato attaccamento alle radici.

Post-it




Enrico Maria Porro lavora su la Repubblica in modo lodevole, chissà non possa essere lui a spiegarmi che cazzo mi significa il post-it di rito in capo all’articolo che oggi era pubblicato a pag. 12, a firma di Carmelo Lopapa (Intercettazioni, no del Pdl a Fini): cosa c’è scritto in quell’articolo che con la legge-bavaglio non si sarebbe potuto scrivere? Nulla.
Viene il sospetto che il bollino giallo sia ormai usato come contrassegno tematico, senza tener più conto di ciò che recita, perché in questo caso, più correttamente, sul post-it doveva esserci: “Senza la legge-bavaglio questo articolo non avrebbe avuto ragione di essere scritto”.

[...]

“Pregava incessantemente di diventare un martire”.

martedì 1 giugno 2010

Eccesso di legittima difesa, niente di più



Ho fatto l’errore di pensare che potessi sottrarmi all’obbligo del temino in classe che la tragica vicenda nel mare a largo di Gaza ha posto alla blogosfera – su certi argomenti è praticamente impossibile tacere – col sottoscrivere un post di Stefano, per giunta aggiungendo “fino all’ultima virgola”. Mi pento, perché su un tema tanto delicato come quello dell’annoso conflitto israelo-palestinese è meglio che ogni avverbio ed ogni aggettivo siano scelti a propria misura, anche quando la propria posizione è sovrapponibile a quella del governo israeliano o a quella di Hamas. È che su questo tema non ho mai taciuto, e sempre in esplicito favore di Israele, per ragioni che non hanno niente a che vedere con un benevolo pregiudizio razziale e/o religioso, come pretestuosamente insinua Jabberwockita, che evidentemente non mi conosce (l’ebraismo mi sta sul cazzo non meno del cattolicesimo, penso che sia razzista considerare gli ebrei appartenenti ad una razza, almeno dal XVI secolo in poi): sono filo-israeliano perché vicino ad Israele con la ragione (storica) e la passione (politica).

Israele difende il suo diritto ad esistere, messo in discussione – fino ad essere negato – dai palestinesi e dai suoi sempre pessimi alleati. È stato così dal 1948, senza interruzioni: ce n’è abbastanza per spiegare qualche nervosismo e qualche eccesso di legittima difesa, anche destinato a rivelarsi – come stavolta – assai controproducente. Qualcosa è andato storto, senza dubbio, e forse si sarebbe potuto evitare. Di fatto – e qui torno al post di Stefano – c’è di sicuro quanto segue:

(1) “Erano giorni che le navi cercavano di attraccare a Gaza. Ieri sera, verso le dieci è stato comunicato loro che avrebbero potuto attraccare al porto di Ashdod, in Israele, dove avrebbero potuto scaricare gli aiuti umanitari che dicevano di trasportare, e da lì, sotto la sorveglianza israeliana ma alla presenza degli attivisti, le merci sarebbero state trasferite, via terra, a Gaza. Qual era il problema? Se l’intento dei “pacifisti” era di portare aiuti umanitari e sollievo agli abitanti di Gaza, questo sarebbe stato soddisfatto. E Israele avrebbe avuta garantita la propria sicurezza, potendo verificare se il carico era davvero in regola. La risposta è stata negativa, il che ha dimostrato che degli aiuti umanitari gliene importava ben poco”.
(2) “I «pacifisti» [erano] armati di spranghe, coltelli e (forse) anche armi, che non hanno esitato a usare contro i soldati che sbarcavano sulla nave”.
(3) “Il padre di Gilad Shalit - il giovane soldato di Tsahal da quattro anni prigioniero di Hamas - aveva proposto ai «pacifisti» delle navi una specie di scambio: lui e la sua famiglia li avrebbero sostenuti se loro, incontrando i leader di Hamas, li avessero convinti a permettere alla Croce Rossa di visitare il figlio. La risposta [è stata negativa]: ai «pacifisti» interessava solo rompere l’assedio”. È il caso di sottolineare che questo assedio segue il documentato rifornimento palestinese di materiale bellico da parte di Cina, Iran e spezzoni del movimento jihadista”.
(4) “L’accesso a Gaza è chiuso e controllato da Israele […] perché da quando, cinque anni fa, gli israeliani se ne sono ritirati e l’hanno lasciata alla gestione dei palestinesi, questi hanno scelto come governanti dei terroristi, [che] hanno usato il territorio (soprattutto dove era densamente popolato ed espressamente in mezzo alla loro stessa popolazione civile) per lanciare razzi mirati di proposito ai civili israeliani”.
Non faccio alcuna fatica ad ammettere che quella consumatasi nelle acque a largo di Gaza sia stata un’operazione tragicamente viziata da un eccesso di legittima difesa, e mi scuso con chi non riesce a vedere altro che vittime nei palestinesi, ma, a fronte di ogni apertura da parte di Israele, la risposta di chi li rappresenta e strumentalizza, li usa e li esaspera (sempre a fini diversi dall’unica possibile soluzione: due popoli e due stati), è sempre stata violenta, dalla Guerra dei sei giorni fino ad oggi. Tanto per tacere l’uso bellico che le autorità palestinesi fanno del popolo palestinese, a cominciare dai bambini e dalle donne. Nulla giustifica imbottire ragazzini di esplosivo per mandarli a morire in nome di Allah in un ristorante o in un bar di Jaffa Road: nessuna disperazione, solo una cieca e belluina pazzia. Nella quale ormai i palestinesi non sanno più trovare via d’uscita, drogati dall’illusione che la distruzione di Israele spiani la strada a chissà quale felicità.
Gli ebrei sono figli di quella terra, come i palestinesi, da millenni. Israele l’ha capito e spesso ha offerto ritirate in vista di una soluzione che ne tenesse conto, ma che non hanno mai incontrato la disponibilità palestinese a discutere, sicché a tutt’oggi – dopo essersi fatti usare da Egitto, Libia, Siria, Iraq, Iran e Al Qaida – ai palestinesi non resta che piangere.

Non volevo convincere nessuno, non m’illudo d’esserci riuscito nemmeno per puro caso, e mi scuso se avverbi e aggettivi possano essere sembrati duri: non volevano esserlo, ma non potevano non correre questo rischio.

Bonus


La Regione Lombardia mette a disposizione di ogni donna che presenti richiesta di interruzione di gravidanza, se spinta a questa decisione da ragioni di natura economica, un bonus di 4.500 euro, affinché ci ripensi. Prim’ancora che odiosamente paternalistica, è iniziativa cretina: destinata a dare scarsi risultati, come tutte le operazioni di ingegneria demografica calibrate su modelli ideologici, e buona solo ad aprire un capitolato di spesa sociale parassitaria, come mi accingo a dimostrare.
Già in premessa è posta una questione delicata: la legge 194 non indica alcun limite sotto il quale l’interruzione di gravidanza è autorizzata e sopra il quale, invece, è negata. E questo senza tener conto del fatto che ragioni di natura economica e ragioni di natura psicologica sono a tal punto inestricabili nella decisione di abortire – come peraltro dimostrano le statistiche – che solo un idiota può pensare di separarle, prima, e di banalizzarle, poi. E dunque ogni donna non abbiente potrà dirsi indigente al fine di portare avanti una gravidanza, a meno che la Regione Lombardia non voglia arbitrariamente emendare la legge 194 introducendo un redditometro ad hoc. Che peraltro sarebbe discriminatorio – fatalmente discriminatorio – per quell’embrione che si trovasse per sua sfortuna nell’utero di una donna con quel tanto di euro in più da non essere considerata indigente dalla Regione Lombardia, ma da se stessa – con avallo dell’assistente sociale – sì. Né possiamo ritenere credibile che l’assistente sociale e lo psicologo chiamati a dare un parere in merito alle ragioni che portano la gravida a chiedere l’interruzione di gravidanza possano parametrare le loro considerazioni sulla base di una circolare regionale.
Ce n’è di che chiedere il bonus di 4.500 euro anche – direi soprattutto – se non si ha intenzione di interrompere la gravidanza: qualora venga negata l’erogazione perché le condizioni economiche della richiedente siano migliori di quelle che la Regione Lombardia ritiene degne del sostegno, l’embrione avrebbe la sorte segnata, per colpa della madre snaturata, forse, ma certamente per il tetto posto da Roberto Formigoni, fottuto co-assassino.
Un’iniziativa come quella decisa dalla Regione Lombardia apre la via a una variazione sul tema delle “false invalidità”. Auguri al signor Governatore che, in preda al delirio di onnipotenza di chi si crede grande architetto della società, non si chiede perché una donna povera può decidere di non abortire anche senza bonus ed una meno povera di lei, anche se non di troppo, può decidere di interrompere la gravidanza anche se le viene offerto un bonus.

"Gli ebrei piacciono solo quando sono vittime"



Stefano mi risparmia la fatica di un post: sottoscrivo il suo fino all’ultima virgola.

Christian Rocca lascia Il Foglio