L’uomo vive di contraddizioni, ed è oggetto di discussione se eliminarle non comporti l’eliminazione dell’uomo stesso. In uno di questi tentativi – il monoteismo – lo sforzo mira ad azzerare le contraddizioni umane nelle contraddizioni che l’uomo ha appioppato a Dio, nel venirlo a costruire così come lo vediamo nella Torah, nei Vangeli, nel Corano: il monoteista si libera delle contraddizioni riponendole nel Mistero entro le quali non sono più tali, e il suo Dio si contraddice senza sbagliare mai.
Se prendiamo l’islam, per esempio, dove le parole di Dio sono indiscutibilmente quelle del testo sacro, senza che all’interprete sia consentita una lettura simbolica o allegorica, abbiamo un Allah violentissimo, ma anche infinitamente misericordioso, che qui prescrive di sgozzare gli infedeli, lì di tollerarli, più in là perfino di amarli come fratelli.
Idem coi Vangeli, naturalmente, dove le contraddizioni si contano a dozzine, ma il cristianesimo – anche il fondamentalismo cristiano, che tende a coranizzare i Vangeli – lascia un margine all’interprete, sicché le contraddizioni dell’uomo si annullano in Dio – rimanendo tali nel peccato – con la plasticità che i tempi richiedono al suo Cristo vivente: e così, dal puntare l’attenzione a un Dio “padrone del cielo e della terra”, la si sposta al “date a Cesare quel che è di Cesare”.
Con l’islam è diverso. L’islam non ha bisogno di interpretazioni e queste contraddizioni le risolve in un califfato che non è né teocratico né cesaropapista. E sul rapporto cogli infedeli risolve le contraddizioni prima della politica, mentre il cristianesimo le risolve tramite essa: ecumenismo sul piano interno, evangelizzazione su quello esterno, tutto secondo quando possibile, con prudenza e opportunismo. Nessuna prudenza, invece, e scarsissimo opportunismo nell’islam: le sorti della politica interconfessionale sono affidate a quelle del califfato virtualmente elaborato, ed è da quando i musulmani hanno perso i loro territori in Europa che l’elaborazione del califfato è revanchista e sciovinista, cioè jihadista. Il trauma delle crociate e poi della sconfitta subita a Lepanto ha precluso all’islam ogni altra possibile elaborazione delle contraddizioni del suo Dio.
E dunque – per dirla con Manuele II Paleologo – “Maometto ha portano di nuovo solo cose cattive e disumane”? Sarebbe un “modo pesante” di porre la questione, così disse Benedetto XVI a Ratisbona, quattro anni fa, e non bastò: le proteste levatesi nel mondo musulmano lo costrinsero a inserire nella sua lectio – dopo – che l’imperatore bizantino si fosse espresso “in modo sorprendentemente brusco, brusco al punto da essere per noi inaccettabile”. E però il problema resta: per quanto espresso in modo inaccettabilmente pesante, il concetto di un islam inemendabilmente irrazionale e violento è – o non è – di questo pontificato? Se Giovanni Paolo II baciava il Corano, lo vedremo fare pure a Benedetto XVI?
Cominciamo col dire che, quando lo fece Giovanni Paolo II, quasi nessuno ebbe troppo da ridire (ai lefebvriani venne un attacco epilettico), ma era il maggio del 2001, mancavano ancora quattro mesi all’11 settembre: l’islam non era stato ancora dichiarato nemico dell’occidente. Il gesto non sarà piaciuto di certo al cardinale Joseph Ratzinger, quello che alcuni mesi prima aveva firmato la Dominus Jesus, ma se è per questo molto di ciò che faceva Giovanni Paolo II non gli andava a genio, ma non aveva indole per darlo a vedere. Sempre stato un cagasotto, il nostro. Uomo dei due passi avanti ed uno indietro. Come con l’islam. “Per la dottrina musulmana – diceva a Ratisbona – Dio è assolutamente trascendente. La sua volontà non è legata a nessuna delle nostre categorie, fosse anche quella della ragionevolezza”: un po’ meno “pesante” di Manuele II Paleologo, indubbiamente, ma non di tanto. Sicché in una nota aggiunta successivamente: “Questa citazione, nel mondo musulmano, è stata presa purtroppo come espressione della mia posizione personale, suscitando così una comprensibile indignazione. Spero che il lettore del mio testo possa capire immediatamente che questa frase non esprime la mia valutazione personale di fronte al Corano, verso il quale ho il rispetto che è dovuto al libro sacro di una grande religione. Citando il testo dell’imperatore Manuele II intendevo unicamente evidenziare il rapporto essenziale tra fede e ragione. In questo punto sono d’accordo con Manuele II, senza però far mia la sua polemica”.
Mica si diventa papa senza essere almeno un poco figlio di puttana.
Ordunque, siamo al passo indietro dopo i due passi avanti di Ratisbona? Pare proprio di sì, e in fondo già nei ritocchi successivi alla lectio era evidente l’intenzione: il professorino s’era accorto che da pontefice l’uditorio si ampliava di orecchie poco condiscendenti, fino al permaloso. Ma con le batoste prese da al Qaida, con il venir meno della sensazione di essere assediati da un miliardo e più di jihadisti, con la costruzione (ancorché surrettizia) di un “islam moderato”, i musulmani diventavano più facilmente dei possibili alleati che dei nemici contro la secolarizzazione del mondo.
I segni c’erano già tutti nel 2007 e nel 2008 con la ripresa dell’attività interconfessionale su temi di comune interesse. Meno irenismo, più agenda geopolitica. Naturalmente rimanevano in piedi gli enormi problemi politici relativi ai musulmani nei paesi di tradizione cristiana e ai cristiani nei paesi di tradizione islamica, ma questi, se non accantonabili, erano secondari a fronte dell’urgenza di spiritualizzare un mondo sempre più materialista.
Marciare divisi per colpire uniti: il senso del “trialogo” (cristiani, ebrei e musulmani) proposto dal papato era (ed è) questo. Ma in quale ardita ipotesi culturale e psicologica si possono immaginare insieme i vincitori e i vinti di Lepanto?
“Perché la Chiesa non può abbandonare lo spirito di crociata?”, si chiede uno jihadista cattolico. “Molto semplicemente perché non può rinnegare la propria storia e la propria dottrina. […] L’idea di crociata infatti non è solo un evento storico circoscritto al Medioevo, ma è una costante dell’animo cristiano che nella storia conosce momenti di eclissi, ma che sotto diverse forme è destinata a riaffiorare. […] Il Vangelo del resto, nel suo significato originario, è annuncio di vittoria militare, in questo caso la vittoria di Cristo sul male e sulle potenze delle tenebre” (Roberto De Mattei – Il Foglio, 8.6.2010). Manuele II Paleologo ne rimarrebbe imbarazzato: non è dunque solo l’islam a volersi imporre con la spada? E come si tengono buone queste feroci pecorelle? Come si può convincerle che i musulmani sono “fratelli”?
Ne scriverò ancora, diciamo che questa era solo l’esposizione del tema. Ma fin d’ora pare chiaro che molti ratzingeriani si sono dichiarati tali troppo in fretta, senza aver chiaro chi sia davvero Joseph Ratzinger. Ne vedremo delle belle: o Benedetto XVI dovrà tradire Joseph Ratzinger (come in parte ha già fatto) o dovrà tradire l’immagine che Joseph Ratzinger aveva dato di sé per vendemmiare fra i riformisti e i tradizionalisti (e anche questo in parte è già stato fatto).
Un’altra considerazione, prima di chiudere. Ancora non è noto il testo integrale dell’Instrumentun laboris per la Chiesa in Medioriente (qualche stralcio a Radio Vaticana, solo frustoli), ma potrà essere utile leggere quello la Chiesa in Africa dell’anno scorso, al punto in cui si fa cenno ai rapporti interconfessionali (102). Metto in evidenza i tratti salienti: “In certi luoghi, la convivenza con i nostri fratelli musulmani è sana e buona; in altri, invece, la diffidenza da entrambi i lati impedisce un dialogo sereno”. Qui è interessante notare che ultimamente la Chiesa di Roma tende a prendere le distanze da quel cristianesimo fondamentalista col quale aveva civettato negli scorsi anni, quasi a sottolineare che diffidenze cattoliche verso i musulmani non ci sono mai state, eventualmente erano soltanto di folli evangelici nel fondo più rurale di una certa America. “La tendenza a politicizzare le appartenenze religiose è del resto un pericolo comparso laddove si era iniziato il dialogo”, ma questo non vale pure per i lepantisti di casa nostra?
Ci divertiremo, ci divertiremo un sacco a constatare che le contraddizioni in Dio sono assai al di sotto dell’umano di quando rimangono nell’uomo.