giovedì 9 dicembre 2010

Sceneggiatore ubriaco


Nella puntata di The District andata in onda su La7 giovedì 9 dicembre, il comandante Jack Mannion arresta un monsignore che ha fatto lo sporcaccione con un ragazzino. L’arresto avviene in chiesa, mentre il prelato sta battezzando un frugolo, e il fetente viene tradotto in centrale ammanettato, con cotta e stola addosso. Sarà accaduto solo ai tempi della Guerra civile spagnola.


Eritemi


“I cristiani sono vittime di discriminazione e intolleranza anche in Europa” (Avvenire, 9.12.2010). Passi per la Turchia, che qui è considerato paese europeo anche se la logica stringente del cardinal Ratzinger dimostrò non esserlo (Avvenire, 13.8.2004), salvo cambiare idea un minuto dopo essere diventato papa; passi pure per Francia, Germania, Regno Unito e Svezia, dove la discriminazione e l’intolleranza ai danni dei cristiani probabilmente sta già nel non trattarli da cittadini di razza speciale (se non gode di un tot di privilegi, il cristiano si sente perseguitato); ma poi fatevi una risata: i cristiani sarebbero fatti oggetto di discriminazione e intolleranza anche l’Italia. Indicatori presi in considerazione: rimozione dei simboli cristiani; rappresentazione travisata, stereotipata e negativa dei cristiani nei media; disagi sociali come l’essere ridicolizzati o svantaggiati nei luoghi di lavoro. Tutto questo, in Italia. Viene un dubbio: ma sarà vero che in Asia e in Africa sono bruciati vivi o si tratta solo di eritemi?
 
 

Giorgio



Se il governo cade, per Giorgio Napolitano saranno giorni difficilissimi. Sciogliere le Camere? Affidare un mandato esplorativo per verificare i numeri? E a chi? Un solo tentativo e poi alle urne o insistere? Il peso della responsabilità in una situazione tanto fluida, contraddittoria e incerta – un po’ l’età, un po’ l’ipersensibile sua complessione – potrebbe ucciderlo, non è da escludere. E qui verrebbe il bello – si fa per dire – sovrapponendo crisi istituzionale a crisi istituzionale: Schifani reggente, governo in gestione ordinaria, un incredibile bordello generale, a Montezemolo viene una paresi e a Vendola le mestruazioni. A questo punto gli Unni avrebbero gioco facile a varcare le Alpi, a sciamare in Padania, scendere fino a Roma, a saccheggiarla e a raderla al suolo (il Papa in fuga a Brindisi si salva). Facile prevedere il seguito: apertura del Primo Sigillo, eruzione del Vesuvio, l’Etna appresso per non essere da meno, tsunami di merda che travolge tutto, a galla rimangono i soliti stronzi, subitamente fulminati dall’ira di Dio.
Probabilmente mi sono fatto prendere la mano dall’ansia. In ogni caso, Giorgio, tieni duro.

mercoledì 8 dicembre 2010

Il mostro all'osso


Sull’Immacolata Concezione potrei tenervi qui per ore e ore, sul donde tragga la natura di dogma, sul come questo sia venuto a rivelarsi e a enunciarsi, sull’enorme quantità di teologia che solleva, ecc. E infatti questa era l’intenzione, già avevo aperto i miei vecchi taccuini con gli appunti di quando passavo intere giornate a studiare l’osteologia del mostro. Ho trovato una paginetta che mi ha dissuaso e che mi limito a ricopiare qui.

Le fonti della tradizione che impliciterebbero l’assenza del peccato originale in Maria sono assai più labili e ambigue di quelle relative all’Annunciazione (Luca e l’apocrifo di Giacomo, indirettamente Matteo), dove è chiaro che Maria accetta ciò che l’angelo le prospetta: “Avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1, 37). Questa scelta è libera, ma ispirata dalla grazia di cui Maria è piena. E tuttavia essere piena di grazia non è ancora essere priva del peccato originario, qualità che Maria avrebbe fin dal concepimento [dal momento in cui fu concepita], quindi prima di accettare ciò che l’angelo le prospetta. Poteva non accettare? Se non poteva, dovremmo negare in lei il libero arbitrio: negarlo e dichiararla immune dal peccato originario è contraddizione in termini. [giugno 1978]

Mai trovato nessuno che fosse in grado di spiegarmi come un dogma possa contraddirne un altro. Tutto il resto è la ciccia del mostro.


Comme il faut




“Se Marco non avesse fatto quello che ha fatto in questi giorni, come ci arrivava all’incontro con Bersani?”
Rita Bernardini,
Direzione nazionale di Radicali italiani,
4.12.2010


“Bersani quando ha dato attenzione ai radicali? Nell’istante in cui ha percepito che l’apertura di Pannella al dialogo potesse dare vita a qualcosa per il 14. Poi appena ha in qualche modo saputo che noi votavano la sfiducia ha allungato il brodo per due settimane e anche di più […] L’iniziativa [dell’incontro con La Russa] è nata da un mio pourparler con lui, ma è lui che ha proposto l’incontro […] La prima questione posta è stata l’amnistia. Figuriamoci, a La Russa! […] In qualche misura il Pdl ha l’interesse a dire che l’accordo è in vista per spaventare quelli del Fli, che infatti si sono spaventati perché qualcuno di loro ha anche telefonato a me per sapere come andavano le cose […] Adesso è chiaro che torni un interesse di Bersani a conversare […] Certo, questo è un gioco rischiosissimo perché per l’opinione pubblica ancora ci rimprovera il ’94, quindi figurarsi un ritorno di fiamma di questo tipo. Ci porteremmo dietro il marchio di quelli che hanno provato a vendersi. Però purtroppo noi siamo costretti a queste cose”

Marco Beltrandi, ibidem


“Che non avessimo nessuna forza contrattuale ci è stato detto da Bersani, che quando gli è stato chiesto un appuntamento l’ha rimandato […] Adesso vediamo cosa farà di fronte a un Pannella che almeno io gli riconosco questo: che è un gran figlio di puttana. Nel senso che in queste contrattazioni ha sempre una carta nella manica. Poi magari sbaglia, ma io gli do fiducia, perché dietro a Marco c’è la sua storia e la sua storia è quella sulla quale abbiamo costruito le nostre storie […] Qui c’è il problema delle elezioni e c’è una carta da giocare”

Angiolo Bandinelli, ibidem


“Ci siamo detti di voler continuare un confronto per vedere, nella reciprocità di posizioni non sempre collimanti, come migliorare lo stato dei rapporti sia politici che parlamentari”

Pierluigi Bersani, Apcom, 7.12.2010


“L’incontro fra Marco Panella e Pierluigi Bersani ha sollevato tutti”

Mattia Feltri, La Stampa, 8.12.2010

martedì 7 dicembre 2010

"Di pari, come buoi che vanno al giogo" (Purg. XII, 1)


Le ragioni di Matteo Renzi erano ineccepibili, poi Daniele Capezzone si è precipitato a difenderle.


Lennon è vivo e sogna insieme a noi?



Se non fosse stato ucciso l’8 dicembre 1980, John Lennon avrebbe 70 anni. Strizzando l’occhio a quei pazzi fottuti che Elvis è ancora vivo, Marilyn pure, Hitler è ultracentenario e l’hanno visto in Argentina (McCartney invece è morto più di trent’anni fa e al suo posto gira un sosia), il Corriere della Sera chiede: “E se fosse ancora vivo?”. C’è perfino un identikit che lo ritrae con le fattezze che dovrebbe avere oggi, nel caso dovesse essersi infrattato dalle vostre parti. E tuttavia è un pezzo serio, del genere la sua musica è ancora viva, lui vive in essa, quindi non è mai morto, Lennon è vivo e sogna insieme a noi.
Inutile dire che al morto non è dato alcun diritto di essere diverso da ciò che era 30 anni fa: se Lennon fosse vivo, gli toccherebbe essere idealista, pacifista, libertario, magro come allora, con gli stessi occhiali, inchiodato a Imagine. Ma quanti ne abbiamo visti metter pancia, smettere di sognare e rifarsi le cornee? Dopo 30 anni accanto a Yoko Ono, infine, i tratti del suo volto non sarebbero assai più giapponesi? 
 
 

lunedì 6 dicembre 2010

domenica 5 dicembre 2010

Fenomenologia di un’intervista



C’è sempre un peggio. Qualche giorno fa, per esempio, ho commentato quella che mi pareva la schifezza della schifezza della schifezza delle interviste, quella di Moritz von Uslar a Hans Magnus Enzensberger. Si poteva far peggio ed ecco l’intervista di Christian Rocca a Michel Houllebecq.
Nella prima metà – e non sto esagerando, parlo delle prime 5.059 battute su 9.322 – Rocca si limita a cazzeggiare. Comincia col presentare lo scrittore come agli abbonati a Reader’s Digest: “Houllebecq è provocatore, irriverente, polemico. Soprattutto è bravo. Scrive bene. Ha cose da dire”. Poi se lo struscia nelle parti intime: “È l’emblema dell’intellettuale non impegnato. Non è engagé, non fa parte dei giri giusti, non piace alla gente che piace”, che guarda caso è proprio quella che non piace a Rocca e alla quale Rocca non piace. Poi, dopo aver premesso che “le regole del giornalismo impongono di non indugiare sulle fatiche del cronista”, vi indugia per più di 2.000 battute: “l’appuntamento iniziale era per il giorno precedente”, Houllebecq gli ha dato buca e allora, per riempire la pagina, Rocca ci intrattiene sugli incontri che ha fatto il giorno prima nella hall dell’albergo. C’erano Cristina Sanna Passino del Tg1, Mariarosa Mancuso per Radio Svizzera, Elisabetta Sgarbi in quota Bompiani… Viene il presentimento che, partito per intervistare Houllebecq, Rocca stia dirottando al bar per intervistare la ciotola dei salatini. “Invece, alle 8.05 di domenica, Michel Houllebecq ha risposto al primo squillo e dopo qualche minuto si è materializzato nella hall”.

“Non si è scusato e forse non ha nemmeno salutato”. E non è tutto: “Risponde con un filo di voce. A monosillabi. Con pause interminabili”. Povero Rocca, i salatini l’avrebbero trattato meglio. Capita perfino che, tra una domanda e un’altra, il “gigante” si sfili di bocca una protesi (le gengive gli dolgono da cane, poveraccio) e l’appoggi sul tavolo. Per Rocca c’è solo la consolazione che lo faccia – dice – “con nonchalance”. Vabbe’, ma l’intervista? «Sì, mi piace Sarkozy». «Sì, vivo in Irlanda». «No, non sono pessimista». «No, non ho conosciuto Oriana Fallaci». Un intervistatore serio si suiciderebbe, ma qui c’è Christian Rocca e la cosa va avanti.
“Mentre Houellebecq risponde o non risponde, sempre con la stessa voce impercettibile da malato terminale, l’intervistatore comprende finalmente la grandezza dello scrittore”, anzi, si direbbe che ne venga addirittura contagiato perché parla di sé usando la terza persona. “Non sa se Houellebecq lo faccia apposta, magari no, ma i lunghi «uhm», le non risposte, la mollezza oratoria dimostrano in modo plastico che gli scrittori devono limitarsi a scrivere, i cantanti a cantare e i pittori a dipingere. I giornalisti, soprattutto, dovrebbero evitare di fare domande a un narratore, a un musicista, a un artista. Non dovrebbero chiedergli pareri geopolitici, filosofici o storici. Non dovrebbero chiedergli niente”. Ecco, bravo, e pensarci prima non sarebbe stato carino?

sabato 4 dicembre 2010

Corro subito a farmi una doccia


Il dottor Marco Belelli è il nuovo segretario radicale di Genova e Savona. La cosa sarebbe minuscola e non meriterebbe commento, se non fosse che nel comunicato stampa che ce ne dà notizia il dottore tiene a darci un ragguaglio che evidentemente ritiene necessario, e che stia in maiuscolo: “in Arte IL DIVINO OTELMA”. Chi aveva perso di vista il mago, da tempo effettivamente scomparso dagli schermi televisivi dove prima era di casa, ora è ragguagliato: quella del Divino Otelma non è attività del passato del Belelli, né viene messa a lato del suo impegno politico, né oltre. Il Fondatore dellOrdine Teurgico di Elios e Sommo Sacerdote della Chiesa dei Viventi è in quanto tale il nuovo segretario radicale di Genova e Savona, sennò perché richiamarlo in quel contesto?
Giacché il Divino Otelma si dichiara incarnazione di Dio, potrebbero sorgere conflitti di competenza con Pannella, ma è evidente che non sarebbe giusto liquidare la faccenda con una battuta: non sarebbe giusto offendere i fedeli della sua Chiesa, né i radicali di Genova e Savona. Non sappiamo in quale misura gli uni coincidano negli altri, ma è chiaro che, se il mio Dio si incarna nel Belelli e il Belelli è radicale, non posso che essere radicale anchio.
Tralascio ogni implicazione di ordine politico, culturale o, come direbbe Pannella, antropologico, perché tra poco ho un treno e non posso perderlo. Corro subito a farmi una doccia.


grazie a Denis

venerdì 3 dicembre 2010

Cruciale


Ma è credibile che ciò di cui Irene Grandi ha estremo bisogno prima di un concerto sia proprio un Pocket Coffe?


“Però a gran parte della gente non importa”




giovedì 2 dicembre 2010

Un rettifica gravida di implicazioni


Non erano documenti diffusi da Wikileaks, ma carte del Dipartimento di Stato alle quali era consentito accedere nel rispetto del Freedom of Information Act. Lo “choc” degli Usa all’elezione di Benedetto XVI, dunque, non era da tenere riservato. Non erano riservati neppure i timori sull’impegno battagliero contro il secolarismo negli Usa e in altre nazioni dell’occidente” che si prevedeva fosse la cifra di un pontificato come quello di Raztinger. Insomma, l’articolo de La Stampa ci aveva tratto in confusione: finora, da Wikileaks, nulla riguardo al conclave del 2005. Dobbiamo aspettare ancora, dunque, per sapere quali fossero gli umori dell’amministrazione Bush riguardo all’elezione al Soglio pontificio di un cardinale sul quale pendeva l’accusa di “clear obstruction of justice”, poi caduta per l’immunità dovuta ai capi di stato estero. È da ritenere che su questo punto ci sia stato sollievo su entrambe le sponde dell’Atlantico: agli Usa e al Vaticano erano risparmiati imbarazzi diplomatici.
Di là dalle errate previsioni americane alla vigilia del conclave, che onestamente lasciano il tempo che trovano (il toto-papa è sempre un azzardo segnato da un auspicio che fa da sponda a una tesi geopolitica), resta il fatto che l’elezione di Ratzinger non fu accolta da giubilo ma da preoccupazione: Tettamanzi, Danneels e Castrillon Hoyos erano considerati di miglior auspicio, probabilmente si riteneva che non avrebbero dato troppa rilevanza a temi in grado di spaccare la società americana. Di tutto avevano bisogno gli americani, pare, tranne che di una Chiesa cattolica che riavanzasse la pretesa di magistero morale in ambito legislativo.
Probabilmente i teocon americani hanno sempre contato molto meno di quello che pensavamo, e solo alla vigilia delle elezioni.

In vista di possibili rivelazioni circa l’atteggiamento dell’amministrazione Bush riguardo all’accusa mossa al cardinale Ratzinger dallo Stato del Texas, L’Osservatore Romano mette le mani avanti e produce documenti che dovrebbero scagionarlo: tre lettere del 1988 che l’allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede inviò al presidente della Pontificia Commissione per lInterpretazione autentica del Codice di Diritto Canonico, cardinale José Rosalío Castillo Lara, al fine di sollecitare una ridefinizione della procedura di riduzione allo stato laicale dei preti pedofili che suonasse come sanzione piuttosto che come accoglimento di una domanda in tal senso da parte dei rei confessi. È una manovra maldestra, perché ribadisce il loro ruolo di “dipendenti” e dunque ribadisce la responsabilità della Chiesa di Roma in ordine ai loro reati.
Per smarcarsi da responsabilità personali, nella eventualità che Wikileaks riveli che gli Usa non fossero intenzionati a fare sconti, Ratzinger (o chi a L’Osservatore Romano ritiene di fargli un favore) scarica sul Codice di Diritto Canonico ogni colpa. Senza dar conto del fatto, come acutamente fa notare Gians, che “solo il pontefice è in grado di promulgare leggi” e dal 2005 “il Codex [è] rimasto invariato”.

“Com’è sottile!”


“Carla Bruni-Sarkozy, premiere dame di Francia, si è detta «stupita, sorpresa e riconoscente» dopo le aperture del papa Benedetto XVI sull’uso del preservativo per ridurre i rischi di contaminazione da Aids” (ansa.it, 1.12.2010). Spiace dire che la signora non ha capito e dovrà ricredersi. Mica è colpa sua, pure l’Onu ha frainteso la portata dell’affermazione del Papa. Non si apre a niente: la dottrina morale della Chiesa è rimasta dove era.  Vediamo come nasce il fraintendere.
Avevamo lasciato padre Federico Lombardi a colloquio col Papa. Sua Santità gli spiegava che non c’era alcuna differenza tra “prostituto” e “prostituta”: “Se si tratta di un uomo o di una donna o di un transessuale è lo stesso”. In alcuni singoli casi, non già come scelta del male minore, ma come “primo passo verso una moralizzazione”, come “primo atto di responsabilità”, trovava “giustificato” l’uso del preservativo. Il suo effetto contraccettivo era tenuto da parte, quasi collaterale. E tuttavia ribadiva: la Humanae vitae è inemendabile sul divieto di contraccezione.
Troppo sottile, vero? Per la logica laica, sì, senza dubbio. Per quella clericale, no, lì anche Cristo è ultrasottile e viene dato a ostie. In una conversazione privata, benché destinata ad essere riportata in un volume da 50.000 copie in prima edizione, c’è distinzione di piano tra contraccezione e profilassi delle malattie a trasmissione sessuale: stanno tutte e due nel preservativo, ma possono essere considerate separatamente, e lì, in quel punto di Luce del mondo, si sta discutendo di Aids. Il magistero condanna l’uso del preservativo per il suo effetto, di là dall’indicazione d’uso; il teologo, al contrario, può sospendere la condanna in particolari casi nei quali ci sia giustificazione di un effetto rispetto a un altro con diversa indicazione, e nondimeno rimane complessivamente ingiustificato. Logica del cazzo? Logica clericale, sofisticatamente lavorata da un teologo incidentalmente Papa, con la nostalgia per le molto ambigue sottigliezze del Vaticano II.
Certo, sarà difficile far capire ai laici che “il Papa ha torto” è una frase senza senso. Sarà difficile farlo capire anche agli integralisti che l’hanno detta – Dio li perdoni! – senza pensarci bene sopra, teste di legno che sono. È una frase senza senso perché il Papa non ha fatto alcuna apertura: se voleva farla, chiamava il cardinal Levada e gli ordinava una nota della Congregazione per la Dottrina della Fede, rapido. Non voleva farla e non l’ha fatta. Però ha provocato un altro infortunio mediatico. Pensateci: al netto del volerlo fraintendere, poverino, tutte le volte che ha preso la pioggia non è stato per quel suo difettuccio da dottorino di teologia con le smanie di apparire sofisticato in mezzo a tante teste di legno?
Tutti a dirgli dietro da decenni: “Com’è sottile!”, adesso pure Carla Bruna a strusciarglisi addosso dalla gratitudine, e quello a mettersi nei guai per troppa vanità, giusto per essere all’altezza della fama di progressista pseudo-restauratore. Iddio dovrebbe mandarcene due alla volta, di pasticcioni così.

mercoledì 1 dicembre 2010

“Stop and wait a sec”




“Ha fatto bene, ha deciso lui”


Penso che ansa.it abbia fatto bene a dare ad Anna un minimo di protezione omettendo il cognome. È solo un gesto, perché quanti tecnici radiologi di nome Anna lavoreranno all’Ospedale San Giovanni? E tuttavia è un bel gesto, perché penso riveli la sensibilità del cronista che evidentemente ha coscienza del fatto che siamo un paese di preti, pronti a molestarti se hai codice morale diverso dal loro – chetelodicoafare – l’unico possibile. E Anna, avendo avuto modo di essere spesso d’accanto a Mario Monicelli negli ultimi mesi, si è lasciata andare a riflessioni che violano il codice morale dei preti su un punto – la tua vita non è tua, non t’appartiene – che non è negoziabile. E adesso sono cazzi suoi. Anzi, speriamo che nemmeno si chiami davvero Anna, in virtù di un’estrema sensibilità del cronista.
Anna ha detto: “Monicelli era lucido. Anche ieri sera. Ha capito che ne avrebbe avuto ancora per poco. Ha fatto bene, ha deciso lui”. In due righe c’è quanto basta da far venire le convulsioni a un reverendo padre della Congregazione per la Dottrina della Fede. Lucido? Che lucidità può essere, se spinge al più grave dei peccati e cioè quello contro la speranza? Di lucido c’è solo l’intenzionalità del commettere peccato, è evidente. Di fronte a tanto, per giunta fatto scandalo pubblico, “ha fatto bene”? È aggiungere scandalo a scandalo. E non è tutto, perché Anna aggiunge: “Ho sempre pensato che fosse ateo. Si vedeva. Chi sta male porta il crocifisso, una corona del Rosario, qualcosa a cui aggrapparsi. Lui nulla. Solo, lucido e coraggioso”. Non solo “lucido”, pure “coraggioso”?
Anna vedrà che severa pastorale la rincorrerà dalle pagine di Avvenire. Come può escludere l’estremo pentimento al terzo piano e la conversione al primo (o viceversa)? Taccia, pensi alle lastre. E non si cimenti in casuistica, non è mestiere suo. Anche da paramedico, peraltro, non deve valer troppo: il bravo paramedico dovrebbe saper essere l’angelo custode del malato terminale. Quello a urlare: “Non ce la faccio più”, e l’angelo a ripetergli: “Sopporta e offri le tue sofferenze a Gesù”.


martedì 30 novembre 2010

“Nessuno si suicida a 95 anni”


Avevo capito “Umberto” invece di “Giovanni” e mi ero assai stupito di una affermazione tanto imbecille: “Nessuno si suicida a 95 anni”. Un medico dovrebbe sapere – mi son detto – che non c’è età alla quale sia sopportabile un solo attimo in più di una vita davvero considerata insopportabile: che cazzo dice, Veronesi? Come può cedere, anche lui, a questo festival della costernazione dinanzi al suicidio? Perché non tace, se deve dire stronzate?
Non si trattava del venerabile oncologo – in cuor mio gli ho chiesto scusa per il solo averlo pensato possibile – ma del regista: tanto per intenderci, quello di Per amore, solo per amore (1993) e dei Manuale d’amore 1 (2005), 2 (2007) e 3 (2011). [Una di queste volte devo farmi spiegare da qualche esperto del ramo come un regista possa mettere nella sua filmografia un titolo che uscirà l’anno dopo. Esclude possa avere ripensamenti e metterci un anno in più prima di farlo uscire? Lo fa uscire comunque, anche se ha ripensamenti? E che tipo di cinema è? Che genere di regista è un regista del genere?]. Bene, tenuto conto del fatto che non l’aveva detta Umberto, ma Giovanni Veronesi, la cosa ci stava: ho ritirato lo stupore.
Poi però ho pensato a Rudolf Hess, suicida a 93 anni. Vuoi vedere – mi son detto – che devo in cuor mio scusarmi pure col signor regista, che intendeva solo dare a Monicelli il dovuto riconoscimento del record strappato a Hess? Scherzo, ovviamente: “nessuno si suicida a 95 anni” è frase così scema che non può essere troppo studiata, non fino a tanto.

A pensarci, però, meglio un commento cretino come quello di Giovanni Veronesi che quelli di chi è convinto che, a fargli una visita in ospedale, Monicelli avrebbe trovato una gran gioia di vivere. Chi si pente di averlo lasciato pranzare da solo, chi rimpiange di non avergli cambiato la busta al catetere. Siamo al solito voler bene appiccicoso di chi si crede indispensabile: dai, aspetta, adesso ti sorriso, così ti passa la voglia di buttarti di sotto. Ti sto dando tutto il mio calore umano, come non può darti ragione di vita? C’è arroganza in ogni tipo di pro life.


Machiavelli's wikileak



“Sia chiaro: i consigli che il Segretario della Repubblica di Firenze dedicava al Principe in verità non sono a lui diretti, ma alla popolazione intera” (Vieni via con me – Raitre, 29.11.2010).

Dario Fo prende per buona la tesi del Foscolo: Machiavelli scrive un trattatello sul potere per denunciare pubblicamente “di che lagrime grondi e di che sangue”. Non si tratterebbe di un manuale per la presa ed il mantenimento del potere “habb[endo] nelle cose a vedere il fine e non il mezzo”, ma di una deliberata wikileak, una studiata fuga di notizie riservate che un diplomatico in disarmo decide tra una partitella a carte in osteria e un attacco di gastrite, allo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla reale natura del potere. Dario Fo come Assange, Machiavelli la sua talpa. Inutile dire che la tesi del Foscolo è stata largamente smentita, e che Machiavelli va messo con Hobbes e Schmitt, non con Montesquieu e Swift.
Non si poteva presentare il pezzo senza la premessa foscoliana? Che male c’era a presentare Machiavelli per quello che era? Un Grande Italiano, senza dubbio, ma gli italiani erano e sono come lui: pessimisti, molto amorali e un po’ fatalisti.
Non sarebbe stato allegro leggere Il Principe per quello che è, si correva il rischio di dare i brividi al pubblico di Raitre: ecco il Machiavelli di Dario Fo, allora, una specie di Kissinger passato al nemico che pubblica tutti i suoi carteggi con la Casa Bianca. E lì che amare risate su Nixon, su Carter, su Ford.

“Acqua naturale o gassata?”


Sull’ultimo numero di Internazionale (874/XVIII – pagg. 48-53) vi è un’intervista ad Hans Magnus Enzensberger di Moritz von Uslar per Die Zeit (trad. dal ted. di Anna Zulliani) che mi ha irritato enormemente. Penso che non sia necessario dire chi sia Enzensberger, e qui nemmeno ha tanta importanza, perché ho intenzione di soffermarmi su von Uslar e sul suo modo di intervistare. Pare faccia sempre così, come ha fatto con Enzensberger, che evidentemente sapeva che tipo di intervista lo aspettava, e ha accettato. [Lo sapeva perché le 100 Fragen di von Uslar sono su ogni numero di Die Zeit, e si tratta di 100 domande (99 quelle fatte a Enzensberger) a cazzo di cane, sul tutto e sul niente, di quelle che si trovano nei questionari diagnostici dei neurologi e di quelle che si rivolgono agli oracoli, di quelle che si fanno per attaccare bottone in treno e di quelle che ti farebbe un Gigi Marzullo. E Enzensberger, dicevamo, ha accettato. Da oggi in poi io leverei quel Magnus.]
“Acqua naturale o gassata? Dov’è New York? Quando ci saranno le prossime elezioni? Fa sempre più caldo o ce lo immaginiamo noi? Qual è la differenza tra una bella cravatta in lana e una cravatta molto bella? Come va la schiena?...”. Le domande delle cento pistole della Bignardi o il giochino della torre di Sabelli Fioretti diventano alto giornalismo, al confronto. Se non sai chi è Enzensberger, non te ne fai un’idea; se sai chi è, le risposte possono sembrare sue – perché no? – ma anche di chiunque altro. Perché un’intervista del genere?Non dà un ritratto dell’intervistato, né dà una particolare visibilità all’intervistatore: è solo un compiaciuto darsi a un formato.

lunedì 29 novembre 2010

Il Sottosegretario alla Salute incontra il Papa


“Il Papa l’ha ringraziata per il suo lavoro in politica, in difesa della vita e della famiglia, e l’ha incoraggiata ad andare avanti. E lei ha risposto che il coraggio le veniva da lui, dal Papa, e che era lei, quindi, che lo doveva ringraziare!!! Quando me l’ha raccontato era ancora molto commossa”