domenica 3 aprile 2011

Per una alternativa seria e costruttiva


Alle opposizioni mancano argomenti efficaci. Per esempio, da facile e rapida ricerca nei forum di settore risulta che l’ultima di Berlusconi fosse considerata vecchia già nel 2003. Invece che indignarsi per un premier che si intrattiene con gli amministratori locali di una Regione che è allo sfascio raccontando storielle di pessimo gusto, con mezza Italia che ne ride e l’altra metà che si sforza di non farlo, la questione andrebbe posta in altro modo: possiamo lasciare la guida del Paese a uno che si limita a ritoccare barzellette della Prima Repubblica?

La smania


Il professionista della politica non va mai davvero in pensione, neanche quando ci va di sua spontanea volontà, che peraltro è cosa assai rara. In un individuo che per decenni abbia svolto attività politica da professionista è praticamente impossibile estinguerne del tutto il bisogno, perché quella politica è una delle attività umane che tende a prendere tutta intera la vita di un individuo, fin quasi a coincidere in essa, com’è per tutto ciò che attiva dipendenza e coazione. Anche chi da citrullo teorizza la rottamazione di una classe politica, che in realtà è possibile solo neutralizzandola, non si nasconde questa verità, e immagina per i rottamati una pensione non del tutto lontana dall’attività politica professionale, alla sezione archivio: due volte citrullo perché una classe politica può essere neutralizzata solo seppellendola, e poi la sezione archivio è sempre ad un passo dalla stanza dei bottoni.
Se “la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi”, la politica è guerra che non si serve di mezzi cruenti, ma sempre guerra è, e non si è mai visto un generale in pensione senza opinioni sulla guerra in corso, smanioso di renderle efficaci.
Si prenda il caso del cardinal Ruini, che alla politica ha dato più di vent’anni: teoricamente è in pensione, ma smania dalla voglia di ribadire le sue opinioni su come vada usato l’esercito dei christifideles laici. In apparenza, sembra ristarsene buono buono alla sezione archivio, sembra star lì a ristudiare la Gaudium et spes e la Deus caritas est, il discorso che Giovanni Paolo II tenne a Loreto nel 1985 e quello che Benedetto XVI tenne l’anno scorso al Pontificio Consiglio per i Laici, ma smania. E chiudendo l’intervento tenuto a Riva del Garda l’altrieri, che qui proveremo ad analizzare, dice: “Concludo accennando alla questione che più mi preoccupa per il futuro del cattolicesimo in Italia: quella degli orientamenti culturali e delle scelte e stili di vita dei giovani. Tra dieci o venti anni, cioè, potremo avere ancora quel giudizio sostanzialmente positivo sulla vitalità del cattolicesimo italiano che mi sono azzardato ad esprimere riguardo all’oggi? Rendere possibile una risposta positiva non è compito da addebitarsi primariamente a chi fa politica. Tuttavia anche la politica e l’azione di governo hanno qui una responsabilità, sia pure per così dire «indiretta». Perciò vorrei chiedere anche a voi, come politici cattolici, di non sorvolare su questo interrogativo inquietante”.
È sulla “responsabilità «indiretta»” che Sua Eminenza smania, come a ribadire le linee della stagione politica alla quale ha legato la sua vita, quella del cosiddetto Progetto Culturale. Fa una pena, il Ruini. Si parva licet, sembra Rino Formica. Sembra il Massimo D’Alema che vorrebbe quel tre-volte-citrullo di Matteo Renzi, che fa politica già da 17 anni e non è riuscito a seppellire neanche Lapo Pistelli, che la fa da 24 anni. Ma non scendiamo troppo in basso e risaliamo a Ruini.

[segue]

venerdì 1 aprile 2011

Di tutto un po’ (Confessioni di un blogger stanco)




Avevo avuto l’impressione che Ignazio La Russa non avesse mandato a fare in culo Gianfranco Fini, ma un deputato che gli aveva dato del fascista dall’emiciclo alla sua destra (spalti alti appaltati alle supercazzole del centrosinistra). Sbagliavo, perché La Russa ha implicitamente ammesso di averci mandato proprio Fini: “Al ministro è stato chiesto se avesse incontrato il presidente della Camera, Gianfranco Fini, con il quale, l’altro ieri, ha avuto una accesa discussione… «Oggi qui non c’era», si è limitato a dire La Russa facendo intendere che con Fini non c’è stato alcun faccia a faccia” (Agcom, 1.4.2011), non già che un incontro non abbia motivo d’esserci.
Sbagliavo, e meno male che mi sono risparmiato un post a cazzo di cane. Però confesso che, dopo aver realizzato quale figuraccia avevo rischiato, sono stato tentato dallo scriverne uno nel quale, tacendo del mio errore, spiegavo che il mandarsi a fare in culo in Parlamento è cosa grave in sé, e che non ha importanza chi ci manda chi, e che, fossi il Capo dello Stato, scioglierei il Parlamento ai sensi dell’art. 88 della Costituzione…
Troppo, eh? Infatti, l’ho pensato anch’io. Mi sono reso conto che stavo pagando un prezzo troppo alto alla vergogna di aver stravisto il video, e mi sono risparmiato un altro post a cazzo di cane.

[Poi si parla di noi blogger come di irresponsabili. Ci sono professionisti che scrivono articoli a cazzo di cane, pretendendo pure che la realtà si adatti a quello che hanno stravisto, sennò che si adatti al principio che giustifica lo stravedere, e scrivono, pure di getto, e non provano due grammi di vergogna.
Quel trombone di Ferrara, per esempio. Questa sera faceva ballare il suo triplo mento e diceva che Gheddafi “girava con le sue tende, diceva le cose sue sbrasate, si faceva baciare la mano…”. Gheddafi “si faceva” baciare la mano? Andava in giro con la mano sollevata a portata di bacio – così deve aver stravisto il famoso video, Ferrara – e fra i tanti che gli sono capitati a tiro c’era pure Berlusconi, che un poco preso alla sprovvista gliel’ha baciata. Conclusioni? Io che sono un blogger, in quanto blogger, sarei una merda – Ferrara sarebbe il professionista.
Ma della puntata di Qui Radio Londra andata in onda stasera parlerò a parte, perché il Ferrara che si lamenta dei 40 civili morti a Tripoli sotto il fuoco della Nato, dopo aver fatto spallucce alle centinaia di migliaia di civili iracheni morti sotto i bombardamenti del suo Bush, be’, merita un’attenzione particolare. Anzi, no, voglio risparmiarmi pure un altro post su Qui Radio Londra [*].Volevo parlare d’altro e qui divagavo. Metto questo capoverso tra parentesi e proseguo.]

Sbagliavo, dicevo, perché La Russa ha mandato a fare in culo proprio Gianfranco Fini. E allora, volendo dedicarmi all’onorevole (si fa per dire) Massimo Polledri e all’episodio del quale è stato protagonista a Montecitorio – gli è stata attribuita la seguente frase rivolta ad una parlamentare portatrice di handicap: “Stai zitta, handicappata del cazzo” – non ho voluto commettere alcuna leggerezza, ché ho un orgoglio delicatissimo. E allora sono andato a informarmi lungamente sul suddetto.
Cattolicissimo, pare. Particolarmente impegnato nelle tematiche bioetiche, pare. L’ho seguito su Youtube in un soffice duetto con monsignor Rino Fisichella in difesa dei soggetti in stato vegetativo permanente (mi fa schifo linkarlo, andate a cercarvelo), e l’ho visto annuire con tutta l’anima quando Sua Eccellenza diceva che “stato vegetativo permanente” è espressione brutta, perché chi è in coma da trent’anni è persona viva, degna del massimo rispetto, eccetera.
Com’è possibile – mi son chiesto – che a uno così possa scappare di bocca una frase come quella che gli è stata attribuita? Stavolta non mi faccio fottere dalle apparenze – mi sono detto – e come prima cosa vado a leggere le dichiarazioni del diretto interessato. Può darsi non si sia rivolto all’Argentin – è la prima cosa che ho ipotizzato – ma a quel cerebroleso del Bossi.

E invece no. «Voglio rinnovare le mie più sentite scuse alla collega Ileana Argentin per aver ferito la sua sensibilità a causa di un increscioso equivoco. Quanto accaduto ieri in Aula altro non è stato che un inopportuno commento a un’affermazione male interpretata di un collega. Un riflesso condizionato dal clima teso che si respirava in quel momento in Aula. Purtroppo, come spesso accade nel tritacarne mediatico, la frase “ha ragione” pronunciata da me è stata trasformata in altre espressioni offensive che a mio giudizio, ma verificheremo, non sono state mai pronunciate da nessuno. Mi auguro che Argentin accetti le mie scuse e voglia mettere una pietra sopra su quello che è stato un increscioso equivoco» (Asca, 1.4.2011).
E che cazzo mi significa? C’è stato un “increscioso equivoco”, però si scusa. Dice di non aver pronunciato la frase che gli attribuiscono, però chiede una attenuante in ragione del “clima teso”. E poi quale sarebbe la parte della frase “stai zitta, handicappata del cazzo” che può essere strasentita al posto di un “ha ragione”?
Basta, troppo complicato per un povero blogger. Potrei finire col dare del pezzo di merda al Polledri e aggiungerci che l’essere cattolicissimo non è indispensabile per esserlo, ma aiuta. E poi Polledri mi denuncia. E poi i cattolici mi danno del cristianofobo. E io già sono così stanco, ma così stanco, ma così stanco, ma così stanco.


[*] Ecco, c’è Luca Massaro che ne ha appena scritto uno che sottoscrivo, così non buco l’evento.

Così di suo


Alessandro Gilioli chiede a Ignazio La Russa: “Il signor ministro sarebbe disponibile a offrire un suo capello alla scienza per mettere fine a tutte le malevolenze sul suo stato di alterazione?”. Ora, tutti sanno che le sostanze psicotrope in grado di produrre stati di alterazione del tipo di cui è affetto il signor ministro provocano tutte una significativa midriasi, e basta farsi un giretto su Google per constatare che La Russa non è mai in midriasi, nemmeno quando dà il peggio di se stesso: è così di suo. Consiglio a Gilioli di ritirare la richiesta.


L’inizio della fine


Il presidente siriano, Bashir Al Assad, ha parlato alla nazione e ha ammesso: “Intorno a noi il mondo sta cambiando”. Poi ha fatto capire di essere lo stronzo di sempre, e che buon sangue non mente, ma almeno ha ammesso: “Intorno a noi il mondo sta cambiando”. Ammetterlo è l’inizio della fine.

L’aragosta sragiona


Sabina Guzzanti dovrebbe fare la stessa vita ritirata che fa suo fratello, la carriera ne trarrebbe giovamento.

[...]



Alla presa della città da parte degli insorti, andrebbe monitorato con particolare cura il murale che sulla facciata di un palazzo della miglior Tripoli riproduce l’immagine che simboleggia il Trattato di amicizia Italia-Libia. Rimarrà intatto? Lo smonteranno delicatamente a pezzi come quando si deve traslare un affresco? Nel deposito di quale museo verrà riposto?

giovedì 31 marzo 2011

“Straordinaria e avventurosa carriera giornalistica”


Giuliano Ferrara si ritiene diffamato da Alexander Stille, ma si guarda bene dal denunciarlo, e a mio modesto avviso fa bene, perché non ve ne sono gli estremi. Stille si è limitato a dire quello che pensa mezza Italia e che peraltro sta nei fatti: “un ex portavoce di un leader politico, che riceve tutt’ora uno stipendio della famiglia Berlusconi, [ha] un programma su una delle principali reti pubbliche del paese [e questo è] uno scandalo”. Gli estremi della diffamazione, invece, sono nella risposta che Ferrara gli dà dalla prima pagina de Il Foglio di oggi, dove si lascia andare a un fiume di insulti (“nevrotico”, “frustrato”, “ridicolo”, ecc.).
Non varrebbe la pena di dedicare alcuna attenzione a questa ennesima prova di bullismo, ma Christian Rocca ce la segnala come intenso momento autobiografico e allora, per amor del vero, occorre correggere alcune bugie che Ferrara dissemina lungo la diagonale di questa sua “straordinaria e avventurosa carriera giornalistica”, che poi è l’unico argomento che Ferrara sembra avere a disposizione per contestare le affermazioni di Stille. Come se il successo professionale fosse ragion sufficiente per poter uscir vincente da ogni controversia.
È uno dei tanti difetti di Ferrara, nemmeno il più odioso, ma lo esibisce sempre più spesso, e sempre quando è alle corde, a corto di ragioni. Forse ricordate la puntata di Tetris del 9 marzo 2008 e gli insulti che rivolse a Luca Telese, ma ricordate quale fosse il merito della questione? Ecco, la bravura di Ferrara sta solo in questo: buttare il torto in rissa e lì vantare di essere grosso, di aver fatto due soldi (non importa come), di essere notorio (non importa perché). Nella zuffa, però, viene d’istinto il farsi più grossi di quanto s’è, e il miles piglia posa di gloriosus, l’autobiografia diventa mitopoietica, Ferrara si spaccia per pensatore e un idiota che si beve il brodo dell’imbrodato – stavolta è Rocca – si trova sempre.
Ma veniamo alle bugie di stamane.

“Stille senior a un certo punto sostituì Piero Ostellino alla direzione del Corriere della Sera, il giornale per cui lavoravo su raccomandazione di Alberto Ronchey”. Bugia. Nel 1984, ad un convegno sul socialismo riformista europeo che si tiene a Bologna, Ferrara avvicina Claudio Martelli e sfoggia il suo freschissimo craxismo. “Ne parlai subito a Bettino – ha raccontato Martelli – ero entusiasta. Tanto che ne parlai anche al Corriere della Sera, riuscendo a fargli avere il suo primo contratto stabile da giornalista”. In quanto ad Ostellino: fu sollevato dalla direzione perché aveva portato il giornale a posizione troppo servile verso il Psi. Fu il tentativo di non fare del Corriere della Sera un bivacco di nani e ballerine, e fu questo che portò al licenziamento di Ferrara.
Quindi è un’altra bugia dire: “Dovevo essere cacciato via, l’ex comunista denunciato come un infame «convertito» da Claudio Magris doveva andarsene e smettere di scrivere quello che pensava”. Come se non avesse potuto scriverlo, chessò, sull’Avanti. Ma, poi, fu Magris a volere il licenziamento di Ferrara? Risulta che si fosse limitato a criticare il suo “odio per la fede abbandonata” e lo zelo dei nuovi “convertiti [che] non si limitano ad entrare nella nuova chiesa, ma ne vogliono subito diventare missionari e vescovi”. (La metafora si sarebbe inverata con la conversione a venire, quella che lo portò al cattolicismo.) Critica fondata? Chi può dirlo, fatto sta che, intervistato da Giampaolo Pansa, Ferrara si lamentava del licenziamento piagnucolando: “Io non sono anticomunista. Lo ripeto: non lo sono” (la Repubblica, 23.2.1985). Martelli lo consola e lo sistema a Reporter.
Sarà sempre così: la “straordinaria e avventurosa carriera giornalistica” di Ferrara sarà sempre appoggiata da un potente, del quale avrà sempre difficoltà ad ammettere l’aiuto. La mitopoiesi trasforma la banale realtà del raccomandato in un destino di merito. Mamma corregge le bozze a Togliatti? Eccola dirigente del Pci. Martelli lo trova utile? Eccolo ghostwriter di Craxi. Berlusconi scende in politica per risanare i suoi debiti? Eccolo a corte, a scapricciarsi in fronda. Berlusconi vacilla? Eccolo nelle mani di Dio, che non esiste, ma merita devozione. (Tutte cose che ho capito nel giugno del 2004, quando Kaos Edizioni mandò in libreria L’arcitaliano Ferrara Giuliano di Pino Nicotri, il libro che mi tolse le fettine di salame dagli occhi e che ancora oggi – oggi più di allora – è fonte indispensabile per la semeiotica di gran parte delle bugie siglate con l’elefantino. Libro affascinante.)

mercoledì 30 marzo 2011

€ 300(0)




Presunzione di innocenza


«Siamo sconvolti, non credevamo possibile una cosa del genere» (milano.corriere.it, 30.3.2011).


[grazie a Pietro Giorgianni per la segnalazione]

Spazio-tempo parallelo



Washington (Usa), 1943. Forti dubbi dell’amministrazione Roosevelt sull’opportunità di intervento militare in Italia per portare aiuto ai partigiani. Dubbi più che legittimi. Siamo sicuri, innanzitutto, che la caduta di Mussolini non spiani la via ad una deriva teocratica dei papalini o a una presa del potere da parte delle tribù mafiose del Sud? Non andremo mica a impantanarci in un conflitto lungo, costoso, dall’esito incerto, per portare la democrazia a gente che non sa cosa farsene? Siamo sicuri, infatti, che gli italiani siano antropologicamente maturi per la democrazia? Boh.
Di poi, è proprio un diavolo, ‘sto Mussolini? La Casa Bianca pensa che ci si possa discutere. Sarà un dittatore, non c’è dubbio. Sarà inaffidabile, smargiasso, aggressivo, ridicolo e tutto quello che si vuole. Ma siamo sicuri che abbattere il regime fascista spetti a noi? E dopo? Siamo sicuri che gli Stati Uniti non saranno ripagati con l’accusa di violazione della sovranità nazionale italiana e il sospetto di neocolonialismo?
Insomma, pare che nello Studio Ovale siano emerse perplessità dettate dal sano buon senso che fa di noi americani un popolo fighissimo, e che prima di dare il via ad una operazione rischiosa e incerta come il ventilato sbarco in Sicilia convenga ripensarci. Non sarebbe meglio una mediazione? Non potremmo limitarci ad una fly zone, ad un embargo, in attesa di vedere come butta?
Pare vada maturando proprio questa posizione alla Casa Bianca, contro ogni tentazione avventuristica, in difesa degli interessi di una nazione libera e democratica qual siamo. Perché libertà e democrazia sono un bene prezioso.


Un pizzico di faccia tosta



Il 21 marzo ho segnalato l’intervento che il professor Roberto De Mattei ha tenuto al microfono di Radio Maria a commento del terremoto in Giappone e ho sollevato la questione della compatibilità tra la sua vicepresidenza del CNR e le opinioni da lui espresse in quella occasione. Col passare dei giorni ho costatato che la mia perplessità era di tanti, e che spesso era espressa con severo biasimo. C’era bisogno che qualcuno desse modo al professore di potersene lamentare dandogli modo di atteggiarsi a vittima, e chi volete fosse? Bravi, avete indovinato.
Chi crede nel dogma dell’Immacolata Concezione non potrà quindi mai più insegnare all’Università? Chi fa la comunione, e quindi crede nella transustanziazione, dovrà nascondere la propria fede perché «antiscientifica»? Gli insegnanti credenti che svolgono un ruolo pubblico, non potranno più andare a parlare di ciò in cui credono alla radio, cattolica o meno?” (Il Foglio, 30.3.2011).
Stessa linea difensiva adottata da Rocco Buttiglione quando fu giudicato inadatto a ricoprire la carica di Commissario europeo per la giustizia, libertà e sicurezza per le sue opinioni sugli omosessuali, ma con una sola differenza: lì si trattava di ambito europeo, qui l’ambito è tutto italiano, e al vittimismo si può aggiungere un pizzico di faccia tosta, nella certezza che la vicepresidenza del CNR non è in discussione.


martedì 29 marzo 2011

Via, Marco, chiudi un occhio




“Di queste cose io devo parlare ad una sola persona, anche se mi imbarazza molto, perché riguarda la mia vita privata, le mie vicende personali. Credo che di queste cose io devo parlare solo a Marco Mezzaroma, che è la persona che amo, l’unica persona che amo, dal 2008. La persona che ho deciso di sposare nei prossimi mesi”. In realtà, Mara Carfagna dice molto, anche più di quanto fosse lecito chiederle. Di quello che c’è stato tra lei ed Italo Bocchino – dice – è tenuta a parlarne solo col suo fidanzato, e tuttavia – aggiunge – la cosa la imbarazza. Perché l’ha tradito? Pare non sia questo il punto: l’imbarazzo nasce dal dovergli rivelare vicende della sua vita privata.
È evidente che almeno fin qui – prima che gli eventi lo rendessero necessario – una parte della sfera privata di Mara Carfagna preferiva rimanere inaccessibile al fidanzato. Non ha importanza se a buon diritto o no: non siamo qui per giudicarla, ma solo per cercare di capire cosa ci sia dietro quei suoi occhioni da cerbiatta braccata. Anzi, sarà il caso di concederle un acconto di simpatia e pensare che tra lei e il fidanzato si fosse stretto il patto di tacere su ogni relazione affettiva e/o sessuale avuta in precedenza: in tal senso, che ci sia stata o meno una relazione con Italo Bocchino, si spiegherebbe l’imbarazzo a parlarne.
Sì, ma questa ipotesi non regge. Marco Mezzaroma – dice – è l’unica persona che amo. E aggiunge: dal 2008. Ora, ogni lettore di Chi sa benissimo che i due si sono fidanzati nel 2007, a Capri. Si parlò proprio di fidanzamento e non vi fu smentita, né dall’uno, né dall’altra. Dobbiamo ritenere, dunque, che Marco Mezzaroma non sia stato l’unica persona amata da Mara Carfagna, almeno per il primo anno di fidanzamento. Si potrebbe ipotizzare che invece lo fosse anche prima del 2008 – “intrattengo un rapporto imbarazzante con Italo, ma l’unico che amo è Marco” – ma non c’è adito a dubbio: Mara Carfagna dice che gli ha concesso un affetto esclusivo solo dal 2008. Non c’è l’implicita ammissione che dal 2007 al 2008 abbiamo amato almeno due persone?
Concediamo anche qui un acconto di simpatia alla nostra cerbiatta: può darsi che Chi abbia parlato di fidanzamento mentre invece si trattava di una relazione dai caratteri più fluidi, che in ogni caso non prevedesse un impegno affettivo esclusivo, almeno da parte di Mara Carfagna. Ma allora non si spiega l’imbarazzo.

Esaurita la simpatia, arriviamo al dunque. Mara Carfagna e Marco Mezzaroma hanno cominciato a frequentarsi nel 2007. Si trattava di un rapporto che ad Alfonso Signorini sarà parso conveniente definire fidanzamento, e su questo nessuno dei due ha avuto da ridire, per analoga o diversa convenienza. Pare assodato, invece, che Mara Carfagna e Italo Bocchino si frequentassero con assiduità almeno dal 2006 e abbiano continuato a farlo – con immutata assiduità – almeno fino alla scissione di Fli dal Pdl (seconda metà del 2010).
Non ha importanza di quale natura fossero i rapporti che intrattenevano, ma per il periodo che copre il 2007 fino al 2008 erano tali da provocare imbarazzo in Mara Carfagna, almeno a doverne parlare a Marco Mezzaroma, oggi, non avendolo mai ritenuto necessario, prima di oggi. C’è da ritenere che volentieri se lo sarebbe risparmiato, se non fosse venuta a trovarsi nella necessità di farlo: infatti, fa intendere che finora non aveva ritenuto indispensabile farlo, perché relative a vicende personali, a una sfera privata della sua vita della quale – adesso – è imbarazzante parlare.
Il nodo della questione è il seguente: dove cade il diritto alla privacy per doverne dar conto al fidanzato? Se non c’è stata relazione con Italo Bocchino, o se c’è stata quando non era da considerare tradimento, non si capisce l’imbarazzo. Se c’è stato tradimento, invece, si capisce l’imbarazzo. Si capisce pure il desiderio “che il vento se le porti”. Mara Carfagna dice che “è l’ultima volta che io parlo di mie vicende personali”, ma è come se dicesse “sì, ho tradito, ma sono pentita, prometto che non lo farò mai più”. Via, Marco, è sincera: chiudi un occhio.

lunedì 28 marzo 2011

Giulia’, ma che stai a di’?



Questo, però, una vita fa. Oggi, a “Vendola, che si proclama pasoliniano ogni due per tre”, Ferrara consiglia: “Caro Nichi, […] riprenditi dal tuo poeta preferito le doti di ironia e di scrittura corsara…” (Il Foglio, 28.3.2011). Insomma, Pasolini è diventato ironico. (Nessuna novità sugli Scritti corsari: Ferrara conferma che li ha scritti proprio Pasolini.)


Benedetto XVI alle Fosse Ardeatine: “Qui fu fatta gravissima offesa a Dio”.




La Chiesa davanti a Gheddafi


Il magistero morale della Chiesa ritiene “giusta” la guerra quando siano “contemporaneamente” presenti alcune condizioni: (1) “che il danno causato dall’aggressore alla nazione o alla comunità delle nazioni sia durevole, grave e certo”; (2) “che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rivelati impraticabili o inefficaci”; (3) “che ci siano fondate condizioni di successo”; (4) “che il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2309). Ciò detto, non si capisce perché Sua Santità chieda – oggi, 27 marzo – che si sospendano le operazioni della Nato in Libia, dopo aver “invoc[at]o – non più tre settimane fa, all’Angelusassistenza e soccorso per le popolazioni colpite”, quelle che Gheddafi andava massacrando.
Ora, noi sappiamo che “le azioni manifestamente contrarie al diritto delle genti e ai suoi principi universali, non diversamente dalle disposizioni che le impongono, sono crimini [e che] lo sterminio di un popolo, di una nazione o di una minoranza etnica deve essere condannato come peccato mortale” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2313), e dunque l’invocazione ci stava.
Noi sappiamo pure che l’uso della forza era da considerare “giusto”: (1) Gheddafi non ha esitato a uccidere migliaia di libici che si limitavano a chiedere democrazia e a minacciare di massacrarne altre migliaia, quando fosse riuscito a riprendere il controllo della situazione, fra quanti, nonostante il massacro, avevano continuato a chiederla; (2) ha inoltre rifiutato ogni altra soluzione della crisi che non fosse il pieno ripristino della sua dittatura: ha rifiutato un salvacondotto, quando era nei guai, e si è negato ad ogni trattativa, quando rimontava sugli insorti; (3) almeno fino ad ora – siamo tutti nelle mani di Dio – le operazioni della Nato danno ragionevole certezza di poter raggiungere (anche solo indirettamente) il fine di rendere inoffensivo il dittatore; (4) l’uso della forza da parte della Nato non ha finora provocato mali e disordini più gravi del male da eliminare, né promette di provocarne. E dunque: come portare assistenza e soccorso agli insorti?
La scorsa settimana, sempre all’Angelus, diceva: “Le preoccupanti notizie che giungevano dalla Libia hanno suscitato anche in me viva trepidazione e timori. Ne avevo fatto particolare preghiera al Signore durante la settimana degli Esercizi Spirituali”. Ma il Signore – sia detto col massimo rispetto – manco per il cazzo. E allora Sua Santità rivolgeva “un pressante appello a quanti hanno responsabilità politiche e militari, perché abbiano a cuore, anzitutto, l’incolumità e la sicurezza dei cittadini e garantiscano l’accesso ai soccorsi umanitari”. Sì, ma come? Di là, il “peccato mortale” dello “sterminio di un popolo” in atto e, di qua, i soccorritori che non hanno altra scelta se non la distruzione degli strumenti di quello sterminio: che cazzo mi significa l’odierno “cessate il fuoco” di Sua Santità?
“Chiedo a Dio che un orizzonte di pace e di concordia sorga al più presto sulla Libia e sull’intera regione nord africana”, diceva la scorsa settimana. Se lo immaginava con Gheddafi al potere? Gheddafi non è disposto a rinunciarci: o potere o morte. Che facciamo? Lo lasciamo dov’è? Chiudiamo un occhio sulle migliaia di libici che ha massacrato, rimandandolo – quando sarà –al giudizio del Signore? Può darsi sia davvero questo l’orizzonte gradito a Benedetto XVI. Infatti, ora che gli insorti sembrano rimontare e Gheddafi è di nuovo nei guai, Sua Santità dice “urgente l’esigenza di ricorrere ad ogni mezzo di cui dispone l’azione diplomatica e di sostenere anche il più debole segnale di apertura e di volontà di riconciliazione fra tutte le Parti coinvolte, nella ricerca di soluzioni pacifiche e durature”.
Ognuno dovrebbe fare il suo mestiere: ai teologi le loro pippe, ai politici la ricerca di soluzioni pacifiche e durature. Certo, in culo al principio della laicità dello stato, i politici possono ispirarsi al magistero morale della Chiesa. E tuttavia, Catechismo della Chiesa Cattolica alla mano, come si possono prendere per buone le pippe di Benedetto XVI?

Siete stanchi? Se sì, fermatevi: la domanda che chiude il primo paragrafo di questo post stia lì a domanda retorica. Se invece avete ancora un poco di pazienza, andiamo avanti e ascoltiamo le voci di due ratzingeriani che più ratzingeriani non si può, entrambi in favore del “cessate il fuoco”: Giorgio Vittadini e Antonio Socci.
Giorgio Vittadini dice che “l’operazione militare in Libia è la logica espressione di una politica neocoloniale che ormai domina le dinamiche internazionali dell’Occidente”. Il colonialismo è stata l’altra faccia dell’evangelizzazione dei popoli, ma ora è cacca: non c’è più un Papa a dare il placet, e dunque no al colonialismo. Fin qui, fila. Ma “l’operazione militare in Libia è la logica espressione di una politica neocoloniale”? L’intervento umanitario è un “pretesto”, come dice Vittadini, o è quanto aveva chiesto proprio il papa, tre settimane fa? Siamo ancora alla stessa domanda: come fermare Gheddafi?
Ecco, per chi si arrovellasse su questo punto, diciamo subito che per Vittadini la domanda è impropria: Gheddafi non va necessariamente fermato. Vittadini chiede: “Quale è l’alternativa a un regime? Instaurare un sistema politico basato su elezioni multipartitiche, che precondizioni chiede? È possibile imporre la democrazia con la violenza?”.
Meglio la violenza della dittatura? Questa non è una domanda retorica, perché Vittadini pensa proprio che sia meglio quella. Lamenta, infatti, che “con la giustificazione di interventi umanitari Belgrado e la Serbia furono bombardati in modo indiscriminato portando alla caduta di Milosevic. Si ricomincia con Gheddafi: si e’ invocato un intervento per emergenza umanitaria per poi verificare in questi giorni che Francia e Gran Bretagna, con l’acquiescenza del pensiero debole Obama-Clinton e di altri, stanno conducendo, non un’operazione umanitaria, ma una vera e propria guerra per rovesciare il regime a spese della popolazione libica”. Di quale popolazione libica? Certo non di quella che chiede la democrazia. Deve trattarsi della popolazione che Gheddafi sta armando per difendere la dittatura.
Vittadini si dice di portatore della “linea della Santa Sede”, e Socci pure. “Nel caso della «guerra libica» – dice – sono in tanti ad aver mestato nel torbido, magari fomentando le rivolte per poi poter intervenire militarmente e mettere le mani sul petrolio libico”. Qui c’è qualcosa di più che il sospetto: le rivolte in favore della democrazia non erano spontanee – probabilmente perché non potevano esserlo – perché fomentate da avidi petrolieri.
Non è ipotesi da scartare: può darsi che sia stato proprio un petroliere a dare la benzina all’ambulante tunisino che si è dato fuoco scatenando la rivolta che ha abbattuto il regime di Ben Alì.

Qui sono stanco io, e mi fermo. Dovessi continuare, avrei solo parolacce.

domenica 27 marzo 2011

“Per ragioni di principio”


“Siamo assolutamente contrari a qualsiasi intervento armato in Libia”, scrive (Il Fatto Quotidiano, 19.3.2011); e aggiunge: “Per ragioni di principio”. Ora, non sarebbe ingiusto impiccare Massimo Fini a quanto scrisse nel suo cazzutissimo Elogio della guerra, che è del 1989, quando, con la fine della Guerra Fredda, molti pensavano che la Storia fosse giunta alla sua fine (Francis Fukuyama lo avrebbe teorizzato di lì a tre anni, nel 1992), e già qualcuno provava nostalgia – fra questi, appunto, Massimo Fini – per la nostra plurimillenaria abitudine a sgozzarci; io proverei a impiccarlo a ciò che scrisse nel 1999, nella prefazione alla riedizione di quel libro. 


Direi che “per ragioni di principio” la guerra meritasse ancora il suo elogio. E tuttavia il principio scricchiolava, perché la prefazione concludeva in questo modo:


Non ci si raccapezza, vero? Chissà che cosa vorrà dire mai, oggi, “principio”.

sabato 26 marzo 2011

venerdì 25 marzo 2011

Auditel


Da due settimane, intorno alle 20.30, Raiuno accusa un calo dello share che farebbe seriamente impensierire il proprietario della rete, se si trattasse di un privato. Si tratta di telespettatori che in buona parte ritornano su Raiuno, ma solo quando sono sicuri che Qui Radio Londra è terminata, e si è iniziato con poco meno di un milione, ma ormai si supera il milione e mezzo. Una analisi più dettagliata rivela una linea di tendenza che forse è ancora presto per considerare stabilizzata, ma che al momento non pare subire inversione: se la scorsa settimana si cambiava canale nel corso della trasmissione, adesso si evita anche la sigla di testa e si lascia Raiuno durante il blocco pubblicitario che segue la fine del Tg1. Se i numeri non ingannano, siamo passati dal sentiamo questo che ha da dire” al mamma mia, che palle”.
A chi gli chiede un commento sui dati di ascolto di Qui Radio Londra, Giuliano Ferrara risponde: “Non li ho nemmeno guardati”. DellAuditel può sbattersene, gli si può credere. Se si trattasse di una emittente privata, la trasmissione sarebbe in pericolo, ma la Rai è un servizio pubblico che non può appiattirsi sulla logica del profitto. Giuliano Ferrara lo sa e stavolta non scende in polemica sulle miserabili questioni di un milione di telespettatori in più o in meno.
Non come quando Radio Londra andava in onda su Canale 5 e i dati Auditel provavano, a suo parere, una correlazione tra quantità e qualità: “Sono furibondo perché anche oggi un quotidiano ha diffuso dati di ascolto del mio programma che falsano i dati diffusi dall’Auditel... Mi si possono muovere tutte le critiche possibili, ma non si possono falsificare i dati di ascolto”.
Non come quando a decidere le sorti de Il Professore fu la previsione di un flop: “Dopo che Berlusconi ebbe visionato le prime 3-4 prove del programma tirò un calcio tremendo nel televisore, fracassandolo... Mi disse: «Le proibisco di fare cose di questo genere, una trasmissione così non potrà mai fare più del 3% di share».
Ma nemmeno come quando conduceva Il Testimone su Raidue, emittente del servizio pubblico che allora era tenuta ad appiattirsi alle logiche del clientelismo craxiano, che era il suo solo profitto: “Un incredibile ritardo dellAuditel priva stranamente gli organi di informazione e lopinione pubblica di un dato di ascolto impressionante: è un risultato di cui possono, se lo vogliono, tenere conto quei critici che hanno mostrato una particolare malevolenza nei confronti di un programma televisivo che registra, con questa media di spettatori, un vero e proprio record”.
Non si capisce più se i dati di ascolto siano importanti o no. Diciamo che ieri lo erano e oggi no.  


Il post prende spunto da una breve di giornalettismo.com. I dati raccolti nella tabella sono estratti dagli aggiornamenti quotidiani di primaonline.it relativi alle ultime due settimane, ad esclusione di venerdì 25 marzo.

Il peggio, al meglio


Bruno Vespa si fa mediatore tra Ahmed Jibril, rappresentante del Consiglio nazionale transitorio, e Khaled Kaim, viceministro degli Affari esteri, e non si capisce bene con quale delega del Parlamento o del Governo, ma nella tela che vanamente cerca di tessere tra i due, in collegamento diretto rispettivamente da Bengasi e da Tripoli, c’è più Berlusconi che in Berlusconi.
Puntata di Porta a porta che vi invito a recuperare, perché riassume al meglio tutto il peggio di cui finora siamo stati capaci in politica estera, con l’evidenza di una ferma intenzione di mantenerci in quel solco, come opzione connaturata a carattere e tradizione: per i rapporti intrattenuti con Gheddafi dovremmo andare a nasconderci dalla vergogna e invece riteniamo di poterli vantare come un merito, per accreditarci come garanti di una uscita politica dalla crisi.