Al netto degli eccessi retorici, in qualche caso davvero insopportabili, la protesta che ha agitato la gran parte della nostra blogosfera ha preso di mira il punto del comma 29 del ddl intercettazioni in cui l’espressione «sito informatico» faceva aspecifica inclusione dei blog. Ricavo conferma di questa impressione dal corale sospiro di sollievo che si è levato alla notizia che il testo sarà quasi certamente emendato, mantenendo l’obbligo di rettifica per le sole testate giornalistiche on line.
Quanti volevano che fosse fatta questa distinzione contestavano il fatto che un blog fosse considerato «sito informatico»? Non penso, peraltro l’espressione è pacificamente accolta nella definizione di blog anche da Wikipedia: «In informatica, e più propriamente nel gergo di Internet, un blog è un sito web...». No, quasi sicuramente volevano che al blog fosse riconosciuto lo statuto di «particolare sito informatico». E quale particolarità volevano che fosse riconosciuta? [Qui, su Wikipedia, credo valga la pena di un breve inciso. È tra i «siti informatici» che hanno attivamente protestato, arrivando addirittura ad oscurare le sue pagine, ma non si capisce perché abbia sospeso la protesta, «tesa esclusivamente alla salvaguardia di un sapere libero e neutrale», visto che «le modifiche al ddl [che peraltro] verranno discusse solo a partire dal prossimo mercoledì 12 ottobre» risparmierebbero solo i blog.]
E, dunque, cos’è che fa di un blog un «sito informatico» diverso dagli altri, almeno per ciò che attiene all’obbligo di rettifica? In altri termini, perché non sarebbe giusto trattare un blog come un qualsiasi altro «sito informatico»? Anche qui converrà chiedere lumi a Wikipedia: «Il termine blog è la contrazione di web-log, ovvero “diario in rete”». E ancora: «L’autore (blogger) pubblica più o meno periodicamente, come in una sorta di diario online, i propri pensieri, opinioni, riflessioni, considerazioni ed altro».
Siamo ancora nel vago, ma ce n’è abbastanza per poter escludere dalla categoria dei blog tanti «siti informatici» che si dichiarano e generalmente vengono considerati tali, anche dalla pagina di Wikipedia, per quanto in più o meno palese contraddizione con la definizione data. Un «nanopublishing» è un blog? Un «corporate blog», un «blogames» o un «M-blog» sono blog? Non mi passa nemmeno per l’anticamera del cervello il mettere in discussione la loro piena libertà di stare on line, ma sono blog? Le bacheche on line di personaggi pubblici (politici, uomini di spettacolo, giornalisti, ecc.) sono blog? A mio modesto avviso, no. Si tratta di «siti informatici» che fin troppo spesso non hanno neanche la buona grazia di fingersi “diario in rete”. Godranno dei benefici concessi ai blog, se vi saranno. E non mi pare affatto giusto.
Prendo i primi 250 nella classifica di BlogBabel. Se solo depenno le vetrinette di azienda, i civettini di trasmissione televisiva e i siti web di vario vippume, scendono a 89. Se depenno pure i blog collettivi, che non ho mai capito perché ci ostiniamo a considerare blog quando sono imprese redazionali, arrivo a 31. Gli altri 219 meritano una pari tutela giuridica?
Il rischio di essere frainteso è altissimo e dunque voglio spiegarmi con due o tre esempi. Antonio Di Pietro non ha altro modo di essere attivo in rete se non con un blog? Ammesso e non concesso che a Gad Lerner non bastino L’Infedele, la Repubblica e Vanity Fair per dire tutto quello che ha da dire, e senta l’esigenza di far sentire la sua voce pure in rete, perché chiamare blog il suo «sito informatico»? È Renato Brunetta che scrive i suoi post? Bah, sarà, ma io ci leggo lo stile di Vittorio Pezzuto, suo portavoce. Se fosse, il blog di Brunetta rimane un diario personale? Il Post è un blog o un webmagazine? Troppa confusione, troppi blogger che non riconosco come blogger.
Forse ha ragione Fabristol: «In rete non c’è più niente da leggere, in rete non c’è più niente da creare, in rete non c’è più niente da dire». È che la rete è diventata terra di saccheggio della tv e della carta stampata. Perfino Il Foglio, che sulla blogosfera sputa fin dal 2002, ha i suoi blog. La blogosfera è diventata sempre più simile al mondo dell’informazione del quale voleva farsi alternativa. Ha clonato le sue conventicole e le sue dinamiche, ne ha preso tutti i vizi, e anche qualche tic, per giunta fra i più ridicoli. La contaminazione tra web e tv, tra web e carta stampata, altrove è stata fertile. Qui, in Italia, no.