Erano
Europee, ma, almeno qui in Italia, in gioco era tesi che il leghismo
fosse fascismo, e dunque in campo si scendeva da fascisti
consapevoli, da fascisti inconsapevoli, da pover’ignavi
che «il fascismo non lo vedo, dov’è?»
o da antifascisti comme il faut.
Erano
solidi gli argomenti a sostegno della tesi? Qualunque fosse
l’interpretazione
del fascismo presa a riferimento, la tesi non reggeva, al fascismo
mancava sempre qualcosa di essenziale, senza la quale fascismo non
era, ma ovviamente parlo delle interpretazioni serie, anzi seriose,
quelle prodotte in sede storiografica.
Sul
modello del «fascismo eterno», però, la tesi poteva reggere,
perché, parafrasando Umberto Eco («il
termine “fascismo” si adatta a tutto perché è possibile
eliminare da un regime fascista uno o più aspetti, e lo si potrà
sempre riconoscere per fascista»), Mussolini era in Salvini già nel
sentirlo dire «tanti nemici, tanto onore».
Assumendo
il mandato allegato a questo modello («il
nostro dovere è di smascherarlo [questo fascismo] e di puntare
l’indice su ognuna delle
sue nuove forme»), chi aveva a cuore la tesi che la storia si stesse
ripetendo ha dato il meglio: «ha detto pure “chi si ferma è
perduto”», «si è affacciato dallo stesso balcone da cui si
affacciò Mussolini», «#lammerda non ha onorato il 25 aprile»,
ecc.
Dal canto suo, Salvini ha
lasciato fare. Di più, ha offerto la sua sfacciata parodia
di fascismo-movimento a un’altrettale
parodia di Biennio Rosso («l’Italia
di Giolitti è morta, largo al proletariato!», centri sociali in
piazza e bottegai terrorizzati ad abbassare le serrande),
alternandola a quella di fascismo-regime, che trovava pronta quella
di Resistenza («fuori i 49 milioni dell’oro
di Dongo, dove li hai messi?», «appendetelo a testa in giù, tra la
Verdini e il Giorgetti!»).
Come nel ’19-’22
e nel 43’-45, non c’era alternativa, almeno per chi sosteneva
la tesi: «[quel]
modo di pensare e di sentire, [quella] serie di abitudini culturali,
[quella] nebulosa di istinti oscuri e di insondabili pulsioni»,
l’Ur-Fascismo di Umberto Eco, incorniciava a meraviglia la
«dittatura
terrorista aperta agli elementi più reazionari, più sciovinisti,
più imperialisti del capitale finanziario», il fascismo del
compagno Dimitrov, quello che concedeva il bollino di antifascista
doc solo a ogni sincero anticapitalista, sicché gli altri, i
sedicenti antifascisti, gli antifascisti farlocchi perché non
comunisti, sostanzialmente erano anch’essi «nemici», anche se il
compagno Togliatti si erano limitato a definirli «avversari» (Corso
sugli avversari, 1935).
Simul
stabunt, simul cadent, era destino che alla crisi dell’egemonia
culturale che accreditava ai comunisti il solo e vero antifascismo
seguisse anche la crisi di quell’antifascismo tutto strumentale
alla loro causa anticapitalista, mentre quello farlocco, quello di
chiunque comunista non fosse, era già stato delegittimato per tempo,
lungo decenni in cui «fascista» era l’epiteto affibbiato, senza
pietà e senza distinguo, a missini e democristiani, a
socialdemocratici e liberali, e poi ovviamente a Craxi, a Berlusconi
e a Renzi. Si parva licet, una volta me lo beccai anch’io. Era il ’77, in un’assemblea m’ero azzardato a dire che il «27 politico» fosse una stronzata.
E qui,
a mo’ di intermezzo, penso caschi bene un inciso.
Chi ha l’add-content di
Malvino nel suo feed-reader può legger lì per intero ogni mio post,
è una decisione mai venuta meno in questi quindici anni di blogging,
sei sul Cannocchiale (2004-2010) e nove qui, su Blogger (2010-2019),
perché lasciare lì solo tre righe e tre puntini di sospensione mi è
sempre parso fosse una forma di adescamento simile a quello della
puttana che si sente principessa e confida che qualcuno raccolga il
fazzoletto che ha lasciato cadere a terra dietro di sé sul
marciapiedi.
Questa scelta, però, ha
avuto un costo: nel feed-reader resta il testo licenziato al mio
Invia, talvolta cliccato al posto di Salva, come è accaduto con O
moesta senectus! (24.5.2019), che pensavo di aver lasciato in bozza.
Poco male in casi come questi, ma poi ci sono quelli assai più
imbarazzanti nei quali il feed-reader mi inchioda ad un refuso, ad
una svista. Accade che ne accorga quasi subito, più spesso che me lo
facciano notare, corregga il testo, ma ecco che due o tre giorni
dopo, a volte anche una settimana dopo, arriva immancabile il
commento di chi rimartella sul chiodo da cui pensavo d’essermi
schiodato: «Guarda che a “populismo” manca la “s”». Che
fare? Di solito pubblico il commento e ringrazio, ma dentro di me il
permaloso protesta: «Eccheccazzo, sai come funzionano i feed-reader:
visto che per lasciarmi questo commento hai giocoforza sotto il naso
il post, vuoi controllare prima se per caso la “s” l’ho già
messa?».
Ma
poi c’è pure il caso in cui nel testo sul feed-reader resta il
lapsus che rivela il non detto, quasi sempre indicibile. E questo è
accaduto col post senza titolo del 19 maggio, dove all’ultimo
capoverso m’è scappato un «traditori» che neanche un minuto dopo
ho tolto per metterci un «nemici»: troppo tardi, sul feed-reader
restava il «traditori», cui seguiva un «della classe operaia, in
quanto liberaldemocratici».
Beccato:
rigettavo l’imputazione di «nemico», «traditore» eventualmente
sì, ma solo perché alle gloriose avanguardie della classe operaia
rammentavo «la natura socialistoide del mussolinismo», a insinuare
che certo socialismo è sempre un po’ fascista. Mi aspettavo di
doverla pagar cara, ma Olympe de Gouges, che bacchetta sempre con
affettuosa severità ogni mia bestemmia anticomunista, era
insolitamente indulgente: «Fu
immarcescibilmente anche questo, ideologicamente, ma sul piano
sostanziale fu altro: senza i danè degli industriali e degli agrari,
senza l’appoggio dell’establishment statuale e monarchico, dove
sarebbe andato il Benito Amilcare?».
Il
sollievo per l’essermela cavata a buon prezzo, m’ha fatto tacere,
ma avrei voluto dirle: «Ancora con questa storia degli industriali e
degli agrari? Il fascismo fu fenomeno di massa, reclutò un popolo
intero: davvero pensi di poterlo liquidare come cane da guardia del
capitale? Ma hai letto il Löwenthal?».
Ecco: «La concentrazione di tutti
quelli che abbandonano i partiti e le organizzazioni, in primo luogo
perché i loro interessi materiali per lo Stato superano o
sostituiscono temporaneamente il loro interesse produttivo di classe,
e poi perché le organizzazioni non sono più in grado di imporre
l’interesse di classe stesso; la concentrazione dell’agricoltura
contro l’industria, del trust dell’acciaio contro i sindacati
industriali, dei debitori contro i creditori, dei disoccupati contro
gli occupati, dei fautori dell’autarchia contro i fautori
dell’economia mondiale – tutto questo si attua in un nuovo
partito di massa, rivolto solo al potere politico: il partito
fascista. Così si spiega come questo partito recluti i suoi aderenti
in tutte le classi e come determinati ceti vi siano rappresentati e
ne formino il nucleo, ceti che sono definiti con l’imbarazzato
termine di ceti medi. La borghesia vi è rappresentata, ma si tratta
della borghesia indebitata, bisognosa di sostegno; il ceto operaio vi
è rappresentato, ma si tratta di disoccupati permanenti, incapaci di
lotta, concentrati nelle zone povere; vi affluisce la piccola
borghesia cittadina, ma quella andata in rovina; vi vengono inclusi i
possidenti, ma solo quelli spossessati dall’inflazione; vi si
trovano ufficiali e intellettuali, ma si tratta di ufficiali
congedati e di intellettuali falliti. Questi sono i nuclei del
movimento, che ha il carattere di una vera comunità di falliti, e
questo gli permette anche di estendersi, parallelamente alla crisi e
al di là di questi nuclei centrali, in tutte le classi, perché con
tutte è socialmente concatenato. […] Basandosi su una corrente
ideologica di massa, che di fatto trascina anche l’ala borghese
reazionaria, senza essere compromesso dal suo aperto carattere di
rappresentante di determinati interessi, diventando sempre più il
punto su cui si concentrano tutte le speranze, sempre in grado di
denunciare la politica d’interessi della borghesia e i resti
dell’economia di partito nella coalizione [di governo] come le
cause di insufficienti progressi, il partito fascista trova
rapidamente la strada verso il colpo di stato, che rappresenta la
vera rottura col sistema. A questo punto esso si impossessa senza
riserve dell’apparato statale...».
Basta,
cara Olympe, ad aprire gli occhi sul fatto che il fascismo ha le sue
«ragioni» ben oltre «i danè degli industriali e degli agrari»?
Un po’ in ritardo lo capì pure Togliatti e, a modo suo, cercò di
metterci una toppa con l’Appello
ai fratelli in camicia nera
del ’36. Troppo tardi, le «ragioni» del fascismo dovevano essere
comprese prima, quando la fregola dell’immancabile e imminente
rivoluzione rossa obnubilava l’analisi dell’avanguardia della
classe operaia, tant’è che ancora nel ’24 Gramsci dava il
fascismo per morto e con lui «il
semifascismo di Amendola, Sturzo, Turati».
Ora come allora, ammesso e non concesso che il leghismo sia fascismo,
stramaledetta la profezia che – insieme – non ci coglie, ma si
autoinvera. Fine dell’intermezzo.
Hic
stantibus rebus, non restava altro che attendere la risposta degli
aventi diritto al voto a queste Europee, e quella – qui la frase
suoni un po’ nasale, come da speaker dell’Eiar – all’alba di
quest’oggi si è avuta schietta e fiera: il fascismo è al potere, la parodia ci ha preso gusto, chissà non provi a far sul serio.
Con
ciò dovremmo rassegnarci al fatto che di conseguenza il paese è fascista? Non sia
mai. Saldi nella convinzione che il capitalismo è all’ennesima
crisi, anzi, è a una crisi che anche stavolta è quasi certamente
quella fatale, e che, come sempre, quando è in crisi, anche stavolta
stia dando fondo alla sua intrinseca malvagità, mandando sulla scena
un demagogo bravo a stordire tanta brava gente, altrimenti pronta
alla rivoluzione, ma che la storia non possa che volgere
ineluttabilmente alla beata società senza classi e senza partiti,
«ognuno secondo le sue possibilità, a ognuno secondo i suoi
bisogni», e che chi non ci sta si autodenuncia come «nemico»
dell’umanità, con cui non si può perder tempo a dialogare –
saldi in questa articolatissima convinzione, metà purissima fede e metà indefettibile scienza – ce n’è da lottare, eccome.
Cominciare col cercare di capire dove si è
sbagliato? Macché, l’avanguardia della classe operaia non sbaglia
mai. 9.153.638
voti
di coglioni? E che importa, c’è un 44% di astenuti che cela
formidabili «riserve di energia politica», e che ci vuole a farla
tutta nostra? Non vedi? Il leghismo è già morto, e #Salviniscappa, e
dietro di lui scappano pure quei semileghisti di Bonino, Calenda, Zingaretti e Fratoianni. Prendi la
mazza, infila il casco, ché andiamo in piazza a sfondare qualche
vetrina e a farci manganellare dalla Polizia, vedrai che gli astenuti
ci verranno dietro.