mercoledì 26 maggio 2010

“È quello che stanno facendo anche gli altri paesi europei…”

Bonaiuti e Cicchitto, ieri, insistevano sulla europeità della manovra. Ora, sì, gli altri paesi europei stanno facendo una manovra finanziaria come la sta facendo l’Italia, ma non è la stessa manovra. L’omissione del distinguo pare intenzionale e strumentale, almeno quanto quella, ormai nei fatti, stile inconfondibile della cricca, tra l’urgenza e l’emergenza. Ciò che urge non necessariamente emerge, e viceversa.

Angelucci, chiesto il sequestro di sei cliniche: "Prestazioni irregolari o inesistenti" (la Repubblica, 25.5.2010)


Come se quelle fornite dai suoi giornali fossero genuine.

Atrox vs. Fuffi


Non c’è paragone rispetto ai tempi in cui si vedeva scorrere sangue e nell’aria c’era quel bel puzzo di carne bruciata: le contese di natura teologica ed ecclesiologica somigliano sempre più a squallide lotte clandestine di pitbull, quando va bene. Quando va male, oggi, tutto può ridursi solo a un Atrox vs. Fuffi: il dobermann ringhia, il barboncino guaisce e la questione è chiusa.
Posso capire chi preferisce il wrestling e si tiene alla larga dalle polemiche tra cattolico e cattolico: l’esito non è scontato e gli argomenti usati sul ring hanno un’intrinseca onestà intellettuale. Invece, tra cattolici tradizionalisti e cattolici progressisti – i tempi ci passano questo – ormai siamo al punto più basso della lunga storia di sgozzamenti tra cattolici, e nemmeno ci si sgozza più: si abbaia, si sbava, si mostrano i denti, e vince chi riesce a intimidire l’altro (*).
Ho detto “tra cattolici tradizionalisti e cattolici progressisti”, ma devo rettificare: per progressista può intendersi chiunque non sia abbastanza tradizionalista o mostri anche solo tolleranza verso i progressisti o addirittura non abbastanza intolleranza.

(*) Indispensabile la lettura dei commenti ai post linkati.


martedì 25 maggio 2010

Il furto e l'inganno



La tabella riportata qui sopra è relativa ai rimborsi delle elezioni politiche del 2008. Non è stato difficile trovarla in rete, e mi pare non sia difficile ricavarne due dati macroscopici: (1) la spesa elettorale accertata è sempre inferiore a quella dichiarata; (2a) pressoché tutti i partiti (fa eccezione il Psi, ma qui ci risparmiamo le ovvie battute) hanno un rimborso assai superiore alla spesa dichiarata; (2b) questo rimborso è di gran lunga superiore alla spesa accertata (talvolta enormemente superiore, come nel caso della Lega: circa 3 milioni di euro di spese accertate e oltre 41 milioni di rimborso).
Mi pare evidente che la formula “rimborso elettorale” sia sineddoche: i partiti rubano e ingannano insieme, cioè truffano. Inoltre, lo fanno in compiaciuto disprezzo per i loro elettori, gli stessi che nel 1993 espressero parere referendario contrario al finanziamento pubblico dei partiti.

Nella bozza della manovra di cui si parla in queste ore si legge un capitolato dal bel titolo: “Riduzione dei costi degli apparati politici”. Uno rimane positivamente impressionato. Poi va al dettaglio e al paragrafo relativo ai “rimborsi elettorali” trova: “Dimezzato il contributo di 1 euro quale moltiplicatore per il numero dei cittadini della Repubblica iscritti nelle liste elettorali per le elezioni della Camera dei deputati”.
Significa che sono dimezzati i rimborsi? Vediamo un po’ rispetto a cosa: “Nel 1999, [...] i «rimborsi elettorali» [...] furono portati in un sol colpo da 800 a 4.000 lire. [...] Nel 2002, [...] si passò da 4.000 lire a 5 euro a legislatura (1 euro l’anno [quello cui si fa riferimento della bozza]) per ogni italiano iscritto alle liste elettorali di Montecitorio [...] Totale, 20 euro a cranio per ogni quinquennio, indipendentemente da quanti davvero vanno a votare. E siccome gli iscritti alle liste elettorali di Montecitorio sono 50 milioni tondi, la bolletta che gli italiani pagano ai partiti ha raggiunto la cifra stratosferica di un miliardo di euro per cinque anni: 200 milioni l’anno. Con l’aggiunta di un simpatico bonus, introdotto, anch’esso alla chetichella, nel2oo6. Nel caso di fine anticipata della legislatura, infatti, i contributi elettorali continuano a correre. Per il triennio che si conclude nel 2011, quindi, razione doppia per Camera e Senato. E invece di 200 milioni, eccone 300” (Sergio Rizzo - Corriere della Sera, 25.5.2010).

Ciò detto, la manovra dimezzerà i rimborsi? Continuerà ad esserci furto; in quanto all’inganno, resterà intatto per oltre il 70% e per il restante 30% sarà coperto da un altro inganno.

Non è tutto bigottume quello che fa ridere



Galileo Galilei scriveva in modo maledettamente semplice, e in più era testardo. Non al punto da farsi ammazzare, certo, però su quella questioncella dell’eliocentrismo ci andò vicino. Niccolò Copernico era diverso. Sapeva – o forse sarebbe meglio dire: intuiva – che a turbare l’universo tolemaico si rischiava grosso con le gerarchie ecclesiastiche, sicché tenne per sé e pochi intimi i risultati delle sue ricerche, evitando di darli alle stampe fin quando gli fu possibile, anzi, avendo scrupolosa cura nello sminuire l’entità di quella “rivoluzione” che poi avrebbe preso il suo nome. Il libro con il quale sarebbe divenuto famoso, il De revolutionibus orbium coelestium, quello nel quale il geocentrismo andava a farsi benedire, fu pubblicato poco prima della sua morte ed ebbe la sorte che solitamente toccava a tutto ciò che non piaceva alla Chiesa di Roma, finendo nell’Index librorum prohibitorum a Summo Pontifice, la lista della roba da bruciare, nel 1616.

Qui mi fermo, perché storie come queste mi fanno perdere la calma, e la scrittura mi si increspa, e mi prende una gran voglia di menar le mani. E quindi lascio continuare a Giuseppe Longo, che scrive di scienze per il giornale dei vescovi e proprio oggi dava conto della “completa riabilitazione” di Copernico da parte della Chiesa di Roma, tre giorni fa: “Nel corso della cerimonia il primate polacco Józef Zycinski ha deplorato «gli eccessi di zelo dei difensori della Chiesa» [e] ha dichiarato che la Chiesa cattolica è fiera che Copernico abbia lasciato alla città [Frombork] un grande lascito, fatto di «duro lavoro, di devozione e soprattutto di genio scientifico». Così, 467 anni dopo la morte, Copernico è stato completamente riabilitato”.

È l’umorismo involontario d’un bigotto o la sottilissima ironia d’un laicista che da gran figlio di puttana è riuscito ad infiltrarsi – chissà come – nel ventre molle dell’editoria cattolica? La chiusa fa propendere per la seconda ipotesi: “Si aggiunge un tassello importante al mosaico che sta configurando una progressiva convergenza tra le conquiste della scienza e la posizione della Chiesa”.
“Progressiva convergenza”, solo un gran figlio di puttana può nascondersi così bene.

Il caso Boffo ha lasciato il segno ad Avvenire



“Berlusconi sostiene di non aver mai avuto neppure paura che la magistratura potesse stroncargli la carriera politica...”.
Aspetta, “aver avuto paura” è irrispettoso, meglio “aver temuto”
Ma “paura” resta. Quella del giornalista.

Il grilletto


Nella prolusione con la quale ha aperto l’Assemblea generale della Cei, ieri, il presidente Angelo Bagnasco ha ripreso l’argomento usato da Francesco D’Agostino in un editoriale dedicato al 150° dell’Unità d’Italia (Avvenire, 5.5.2010), che ho già commentato (qui).
Dalla banale distinzione tra stato e nazione, D’Agostino arrivava a questo: “L’Italia, da un punto di vista culturale, artistico, linguistico e soprattutto religioso, era già unita da secoli e secoli [prima del 1861]; e qui, come ho già scritto, andava sottolineato il “soprattutto”, nel quale è posta la tesi che una nazione trovi identità “soprattutto” nel culto religioso che nella sua storia si ritrova vincente sugli altri. Il che implica due assunti: che nazioni tradizionalmente multiconfessionali come quella indiana sia “meno nazione” di quella italiana, la quale invece è tanto monoconfessionale da aver avuto fino all’altrieri addirittura una propria religione di stato, e proprio nel cattolicesimo, che era religione di stato addirittura nel Regno di Savoia; in secondo luogo, che l’Unità d’Italia sia evento notarile sul piano storico, perché “già molto, molto prima di costituirsi in Stato unitario, l’Italia si era già costituita, attraverso la sua lingua, i suoi costumi, la sua arte, la sua religione in nazione e tra le più antiche d’Europa”.
In questo secondo assunto è posta un’ulteriore tesi – a corollario della prima, o forse tesi autonoma, chissà – per la quale l’Italia non esiste se non nell’omogeneità di lingua, costumi, arte e religione, tutta roba più affine al sangue che al suolo. O a un suolo culturalmente egemonizzato.
Tutto questo, in Bagnasco, assume forma di manifesto: “I credenti in Cristo continueranno a sentirsi, oggi come ieri, tra i soci fondatori di questo paese”.

Com’è che questa nazione così antica, identitariamente così cristiana, è arrivata così tardi a darsi uno stato unitario? Chi vi si è opposto? E com’è che proprio il Papato, vertice del cristianesimo, è stato così a lungo ostile a questa unità, prima, durante e dopo? È evidente: prima, durante e dopo, quella Unità d’Italia non piaceva al Papa, per il semplice fatto che sanciva sul piano politico l’egemonia papale sull’Italia.
Ma, insomma, questa nazione italiana – che è cosa “soprattutto religiosa”, non dimentichiamo – voleva o non voleva l’unità statuale? Sì, ma probabilmente la voleva sotto il Papa. Non voleva l’annessione dello Stato Pontificio al Regno di Savoia, semmai il contrario. Poi, dopo un mezzo secolo e più, si è rassegnata a tenersi uno stato laico, rinunciando al Papa-Re. Non c’è contraddizione?
Bagnasco non teme le contraddizioni: “La questione in particolare dei rapporti tra Stato e Chiesa, e di conseguenza l’esplicazione di una autentica laicità, è stata per noi italiani una vicenda forse un po’ più complessa che per altri, costata dibattiti e lacerazioni che hanno tormentato le coscienze più vigili; ma oggi − per i termini in cui è definita (cfr Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica italiana di modifica al Concordato Lateranense, 18 febbraio 1984) − essa si presenta come un approdo di generale soddisfazione”.
Tutte le contraddizioni? Finiscono in Concordato. E tuttavia sia chiaro: “È «l’interiore unità» e la consistenza spirituale del paese ciò che a noi vescovi oggi preme”. È il grilletto che vi si dovrebbe premere.

lunedì 24 maggio 2010

Aria


Non gli si può dar torto, stavolta


Giuliano Ferrara si dice “scettico sul destino della legge che regola e limita le intercettazioni”, perché pensa che “sarà stravolta al punto da consentire che tutto prosegua come prima”, con la pubblicazione di “quelle trascrizioni orrende” che istigano al “disprezzo per la vita privata delle persone pubbliche”, malvezzo di un “giornalismo tarato” che non ha analoghi altrove: “altrove, anche dove esistono mafie e criminalità organizzate, anche dove accadono fenomeni di lobbying e di corruzione politica, non si usa pubblicare lenzuolate di intercettazioni” (Il Foglio, 23.5.2010).
Non gli si può dar torto, stavolta. Anzi, per dar misura di quanto abbia ragione, qui produrrò un esempio.

Nell’estate del 1988, un ex militante di Lotta Continua, Leonardo Marino, ha un pentimento assai tardivo e afferma di essere stato esecutore materiale, insieme a Ovidio Bompressi, dell’omicidio di Luigi Calabresi, su mandato di Adriano Sofri e di Giorgio Pietrostefani. I quattro vengono arrestati e uno dei telefoni che viene messo sotto controllo è quello di casa Sofri. L’ipotesi degli inquirenti è che gli ex militanti di Lotta Continua, organizzazione politica ormai sciolta da tempo, siano ancora legati fra di loro in una lobby che non tarderà a muoversi in soccorso di Sofri, Bompressi e Pietrostefani: dalle intercettazioni si aspettano di raccogliere elementi che possano in qualche modo confermare l’accusa di Marino.
Fra le trascrizioni di queste telefonate, agli atti del processo, ce n’è una che Giuliano Ferrara fa a Randi Krokaa, compagna di Sofri, il 28 luglio di quell’anno. È riportata in una gustosa biografia di Ferrara, di cui ho più volte lamentato nel mio intimo la troppo tardiva pubblicazione (Pino Nicotri, L’arcitaliano, Kaos Edizioni 2004). La riporto qui di seguito.
G.F. Pronto, Randi.
R.K. Sì…
G.F. Sono Giuliano.
R.K. Oh, Giuliano. Ti volevo cercare, non sapevo dove cercarti.
G.F. Mi hanno cercato… Ero a casa, tesoro, ero a casa. Mi hanno cercato Marco Boato e […] della cosa, e mi hanno detto... Adesso cerchiamo subito di combinare una cosa su queste...
R.K. Eh, cioè, insomma, perlomeno di…
G.F. No, pensavo di fare un’intervista a Marco per il Corriere (adesso devo chiamare il Corriere e vedere se mi danno lo spazio), in cui si racconti tutta la storia, diciamo, del tentativo che nel corso degli anni c’è stato, ripetuto, eccetera, di coinvolgere... e tutto è sempre andato in bolle di sapone. Capito? Perché mi sembra la cosa più utile fare una cosa (...) in cui, con un personaggio come Marco, in fondo abbastanza integrato, e poi che sa parlare un linguaggio istituzionale...
R.K. Appunto…
G.F. … parla di questa vicenda dicendo: «No, ma guardate, queste sono pazzie»... Mi sembra la persona più giusta...
R.K. Sì, sì, indubbiamente…
G.F. Senti, Adriano è andato via tranquillo, mi ha detto Marco...
R.K. Sì, cioè, aveva un bel giramento di coglioni, diciamo.
G.F. Immagino.
R.K. No, perché già mi ha telefonato un giornalista, amico nostro, qui di Firenze, che gli hanno telefonato da la Repubblica a Roma, chiedendogli: «Ma è vero che hanno arrestato Sofri nella sua villa toscana?». Insomma, queste cose qui, guarda… mamma mia, che palle…
G.F. Insopportabili. Io sono ossessionato da giornalisti che hanno pubblicato le mie foto nude al mare.
R.K. Sì, sì, me ne hanno parlato. Io non sono riuscito a vederle, e le voglio vedere assolutamente.
G.F. E allora devi prendere Gente e Eva Express
R.K. Va bene…
G.F. Portale anche ad Adriano a San Vittore…
C’è prova, come per le altre telefonate agli atti del processo, dell’esistenza di una lobby, ma nulla di compromettente v’è sul piano penale, né a carico di Sofri, né a carico degli intercettati. L’esempio riportato è solo – e questo è il primo punto sul quale bisogna dar ragione a Ferrara – una “trascrizione orrenda”, che istiga al “disprezzo per la vita privata di una persona pubblica” – lo stesso Ferrara, in questo caso – che trova il modo di parlare delle sue “foto nude al mare” in un drammatico frangente come quello dell’arresto di un amico, spingendo la sua vanità e il suo egocentrismo fino alla richiesta di mostrarne copia a un poveretto che è in carcere e che presumibilmente avrà ben altri cazzi per la testa cui pensare.
Il secondo punto sul quale bisogna dar ragione a Ferrara è relativo al fatto – così scrive – che “siamo un paese impazzito”. In quale altro paese, infatti, se ti arrestano un amico, per consolarlo gli mandi le tue “foto nude al mare”?

"Obama salva il Papa"?


La sintesi giornalistica – “Obama difende la Santa Sede”, “Obama salva il Papa”, ecc. – è buona solo per i titoli. In realtà, basta poco per capire che l’iniziativa della Casa Bianca presso la Corte Suprema – in appoggio alla tesi difensiva del legale della Santa Sede, contro quella accusatoria del Tribunale distrettuale dell’Oregon, recepita dalla Corte d’appello federale – è un atto dovuto, congruamente motivato da ragioni che sono di natura squisitamente giuridica e che, pur assecondandole, precedono di gran lunga quelle di natura politica e diplomatica.
Il caso in oggetto presenta un’analogia con quanto avvenne con l’amministrazione Bush, nel 2005, anche se l’analogia sta solo – ma non è poco – nel principio che, anche qui, a fronte delle istanze poste dall’ipotesi accusatoria che un Tribunale distrettuale avanza nei confronti di un capo di stato estero, la Casa Bianca è tenuta a far valere, per ribadire l’esclusività di tale prerogativa.
Oltre questa analogia, tutto è diverso: in Texas, nel 2005, il processo era in sede civile; si discuteva di fatti avvenuti quando Joseph Ratzinger non era ancora un capo di stato estero; la denuncia nei suoi confronti era a titolo individuale, e non in quanto prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede; infine, la questione non pendeva dinanzi alla Corte Suprema, ma dinanzi al Presidente degli Stati Uniti, il solo a poter concedere l’immunità ad un capo di stato estero.
Stavolta la questione è un po’ diversa, come sottolinea l’avvocatura della Casa Bianca: “La Corte d’appello [federale] ha errato nel ritenere che il Tribunale distrettuale [dell’Oregon] abbia la giurisdizione per discutere le accuse nei confronti della Santa Sede a causa degli abusi sessuali commessi da un prete”, perché – come opposto dai legali della difesa – “i contestati abusi sessuali non rientrano nella finalità dell’impiego del prete” ed è per questo – solo per questo, ma mi pare di poter dire che non sia poco – che viene meno ogni possibilità di coinvolgere il rappresentante di uno stato straniero nei risvolti penali della “finalità d’impiego” di un “lavoro dipendente”. L’ipotesi accusatoria è stata costruita in modo pedestre, diciamocelo chiaramente.
La stessa cosa è accaduta anche in Kentucky, e anche in questo caso la questione è stata portata dinanzi alla Corte Suprema, nello stesso periodo, verso fine marzo: qui non sappiamo se l’ipotesi accusatoria si sia basata, come in Oregon, su quel “rapporto di impiego” che vi sarebbe tra papa e sacerdoti, fatto sta che non abbiamo notizia di analoga iniziativa degli avvocati della Casa Bianca. Seguirà a breve, senza meno, ma anche qui, quand’anche i legali delle vittime abbiamo costruito una più solida argomentazione, rimane l’insormontabile l’ostacolo posto dai privilegi di cui gode un capo di stato estero come il papa.

È qui che si rilevano ridicole – mi pare – le fantasie di chi immagina un papa sul banco degli imputati. Praticamente impossibile. E meno male, aggiungo. Sul piano propagandistico – e la propaganda è tutto per le autocrazie – la cosa tornerebbe di enorme vantaggio alla Santa Sede, qualunque fosse l’esito del processo, anche se celebrato in contumacia.
A un anticlericale serio torna assai più utile che la Chiesa di Roma si mostri ancora una volta, come sempre, salda nei suoi “odiosi privilegi”, priva di ogni scrupolo pur di difenderli, e felicemente amorale, forte di quel potere che costringe lo stato a fare i conti, prima che con la ragion di stato, con le procedure del diritto internazionale, in quell’inestricabile connubio di interessi che sacrifica senza pietà i poveracci. Incontestato, infatti, si legge su Wikipedia: “La Santa Sede è il Governo del Vaticano e come tale ne esercita i diritti diplomatici attivi e passivi. Lo Stato della Città del Vaticano e la Santa Sede sono entrambi soggetti sovrani di diritto pubblico internazionale, universalmente riconosciuto e sono indissolubilmente uniti nella persona del Papa, monarca assoluto per via elettiva, che è il Capo dello Stato. Pertanto il Vaticano non ha una vita politica propria, che non sia perfettamente combaciante con l’attività della Santa Sede. Se ne deduce che il Vaticano deve rimanere soggetto alla pienezza assoluta del Pontefice”. Ed è per questo che gli “odiosi privilegi” del papa tornano utili a chiunque voglia sottolineare la natura più intima dell’autocrazia che incarna.
E dunque la notizia che giunge dagli Stati Uniti è un’ottima notizia: un papa processato e condannato sarebbe un Crocifisso vivente; processato e assolto sarebbe un Cristo trionfante; improcessabile e impunito rimane emblema dell’arroganza e della prepotenza, come d’altronde è, ed è utile venga visto.



Nota
A parte, e per chiarire che questo post non vuole neanche indirettamente portare buone ragioni alla Casa Bianca, vorrei rammentare che questo blog non ha mai speso eccessive simpatie per Obama, né prima né dopo la sua elezione. Anzi, anche quando si è trattato di considerarlo “meno peggio” del suo sfidante nella corsa alla presidenza degli Stati Uniti, qui non si è mai evitato di sottolinearne le ambiguità. 

domenica 23 maggio 2010

[...]



“L’omosessualità è gradita a Satana in quanto induce l’uomo a violare le sacre leggi naturali”

sabato 22 maggio 2010

Quando era "persona", adesso neanche è "vita"


Chi sostiene che la persona sia già presente nell’ovocellula fecondata – solitamente per equiparare l’aborto a un omicidio – la individua nel patrimonio genetico umano che lì viene a determinarsi dalla fusione dei due gameti, e cioè dalla fusione dei loro nuclei aploidi in un nucleo diploide, in cui il Dna ha l’unicità e l’irripetibilità che sarebbero proprie – appunto – della persona.
Mi sono intrattenuto molte volte sulla debolezza di tale argomento, ma oggi voglio considerarlo incontestabile e sottoscriverlo: “Da quando si uniscono i patrimoni genetici dell’ovulo e dello spermatozoo, inizia un processo che è unico e irripetibile proprio perché nessuno al mondo ha un Dna uguale a quello di quella cellulina fecondata” (1). Sì, voglio sottoscrivere anche quel tenero “cellulina”.

Non faccio in tempo a sottoscriverlo che su L’Osservatore Romano, a commento del fatto che è stata “ottenuta in laboratorio una cellula con Dna artificiale”, leggo: “Pur essendo un ottimo motore, [il Dna] non è la vita” (2).
Da quando era persona, adesso neanche è vita.


(1)  Carlo Bellieni (zenit.org, 28.4.2004)
(2)  Carlo Bellieni (L’Osservatore Romano, 22.5.2010)

venerdì 21 maggio 2010

Grosse seghe



Le maglie che la Juve indosserà nel prossimo campionato sono tutto un programma.

Tra “i politici che in questi anni lo hanno difeso”



“Giovane democratico ci spiega tutto quello che il Pd pensa davvero di Santoro” (Il Foglio, 21.5.2010). Tolte le pagine che citano quello che pensa di Santoro, e che Il Foglio gli fa l’onore di fargli dire a nome di tutto il Pd, Google è assai avaro di voci sull’onorevole Stefano Esposito: è citato quasi esclusivamente per indicarlo tra i parlamentari del Pd che erano assenti in aula quando lo “scudo fiscale” passò per una manciata di voti, e per la sua attivissima presenza su Facebook.
Ennesima dimostrazione di quanto Google non dia a ciascuno il suo, perché a dispetto del poco che se sa, l’Esposito ha doti eccezionali: prima che Santoro spiegasse le sue ragioni, ieri sera, ne aveva già un’opinione, ieri mattina. Non è geniale?

Santoro avrebbe detto: “Gli unici ad avere sicuramente ragione, e che possono dire di tutto, e di più, e che possono perfino insultarmi, sono gli spettatori. E sono gli spettatori perché c’è una ragione profonda. Un programma come il nostro non crea un movimento politico, non crea un partito, ma crea una comunità in cui si investono sentimenti, emozioni, passioni, dialoghi, si riesce a parlare con qualcun altro la mattina dopo”.
Errato. La mattina dopo era inutile parlare, l’Esposito l’aveva fatto, e a nome di tutto il Pd: “Michele Santoro dice di essere stanco di una battaglia con l’azienda che va avanti ormai dal 2002, dal famoso «editto bulgaro» di Silvio Berlusconi. Giustificazioni che offendono per la loro scarsa sostanza i telespettatori e i politici – tra cui me – che in questi anni lo hanno difeso in nome della libertà di informazione”.
Non c’erano state ancora le giustificazioni, ma l’Esposito già sapeva che fossero di “scarsa sostanza”. Geniale, senza dubbio.

A questo punto non varrebbe nemmeno la pena di ascoltarle e tuttavia, giusto per mettere in risalto le straordinarie doti dell’Esposito, vediamo Santoro cosa dice: “Nonostante due sentenze dei giudici di primo grado e di appello, i partiti di destra e di sinistra, e di sinistra, che controllano la Rai e la stanno conducendo, a mio parere, sull’orlo di una crisi molto grave, non hanno mai voluto prendere atto di questa sentenza fino in fondo e infatti hanno fatto sempre ricorso, la prima volta, la seconda volta e adesso in Cassazione. Che cosa è successo? Che mentre loro facevano ricorso – adesso in Cassazione – nel frattempo Annozero andava in onda per quattro stagioni, 122 puntate, e la Rai grazie al fatto che Annozero andava in onda e che un giudice l’aveva messo in onda, badate bene, ha realizzato grandissimi profitti e tutti questi profitti la Rai li ha incassati e giustamente li ha spesi per fare anche altri programmi magari meno nobili di Annozero. Ora, che cosa succedeva mentre la Rai incassava questi profitti? Contratti bloccati, posizioni congelate, punizioni, minacce di punizione…”.

Una descrizione dei fatti che non corrisponde a ciò che l’Esposito ha scritto e che Il Foglio gli ha tempestivamente pubblicato, ma è chiaro chi dei due abbia ragione e, anche se non c’è traccia in giro di uno Stefano Esposito che abbia mai “difeso” Santoro, perché non credergli sulla parola? Non lo difende adesso, certo, ma chissà quante volte l’ha difeso in cuor suo.

Psicoantropologia clericale applicata


Alla sola descrizione di certi esperimenti in vivo c’è gente che ha bisogno dei sali: non riuscendo a cogliervi il fine scientifico, non vede altro che crudeltà gratuita, protesta, sta male, si lamenta, sviene. E dunque non so se faccio bene a raccontarlo.
Facciamo che i delicatucci sono avvisati, così evitiamo storie. Agli amanti della scienza, che in questo caso è la psicoantropologia clericale applicata, passo a illustrare l’esperimento.

Di ritorno a casa dopo una dura mattinata di lavoro, oggi, trovo nel parco il mio posto auto occupato da una Opel. Controllo l’istinto primordiale, scendo e vado a controllare se l’usurpatore abbia almeno lasciato le chiavi nel cruscotto. Buon per lui, ci sono.
Sposto la sua auto, lasciandola lì dove possa dare il massimo fastidio all’intero parco, e parcheggio la mia. Dalla quale sono appena uscito quando vedo sopraggiungere di corsa una suorina sulla sessantina: “Mi scusi, era solo un attimino… Dovevo solo lasciare… Mi scusi, pensavo…”.
Ero lì per dire: “Fa niente, sorella, problema risolto…”, quando la mia indole speculativa ha preso il sopravvento.

“Mi scusi, un cazzo… [spalancamento d’occhi, tremore al labbro inferiore] Sempre a chiedere scusa, e sempre dopo, mai una volta a pensarci prima… [tenue rossore sulle gote] Il mio posto auto, i poveracci bruciati vivi, Galileo Galilei, gli ebrei… [abbozzo d’un sorriso] e i bambini stuprati dai preti pedofili… [trasalimento repentino] Fate sempre il cazzo che vi pare, e poi chiedete scusa. Un attimino dopo, trenta, cinquanta, cento anni dopo, cinque secoli dopo, sempre dopo… [apre bocca come a dire, ma non dice niente] Basta, ci avete rotto i coglioni…”. Fine dell’esperimento.

Conclusioni: se non avevo l’argomento dei bambini abusati, probabilmente la suorina avrebbe in qualche modo sottolineato l’evidente sproporzione tra il massacro dei catari e il parcheggio della Opel, ma con quello non c’è stata partita. È cosa che ha lasciato il segno. Da considerare duraturo.

La vita è stupida di suo

È nel preciso istante in cui non è più possibile trovare alcuna differenza tra il “diamante artificiale” e quello “naturale” che il maggior pregio di quello “naturale” non si capisce più in cosa consista: stessa fisica, stessa chimica.
Ci si è riusciti con l’inorganico, nonostante le resistenze delle compagnie diamantifere, ci si riuscirà pure con l’organico, nonostante tutto: ci vorrà molto tempo ancora, ma alla fine non sarà più possibile trovare differenza tra “vita artificiale” e quella cosiddetta “naturale”, e discriminare sarà prima impossibile che insensato. Perché? Gesù, che domande, perché si può. Ogni volta che si è potuto, prima o poi si è fatto.
Tutti a sputare nel piatto dove mangeremo, intanto, come se fossimo certi di poterne fare a meno. Che stupidi siamo, speriamo che quelli “artificiali” vengano meglio. E tuttavia è pressoché certo che è inutile sperarlo: la vita è stupida di suo, il suo intramontabile fascino è tutto lì.
E dunque grazie a chi resiste.

"Chi amiamo, e se amiamo qualcuno, dovrebbe essere irrilevante per la legge"



(progetto fotografico di Chiara Lalli)

giovedì 20 maggio 2010

Comunicazione di servizio


Anche Makia lascia il Cannocchiale, annotate il nuovo indirizzo: http://makia.wordpress.com/.

Il vescovo e la sciocchina


Quasi tutti positivi, i commenti alle belle parole della Carfagna, anche se adesso non guasterebbe un bel gesto, “fatti concreti”, perché incidentalmente la signora è ministro.
Quasi tutti positivi, i commenti, fatta eccezione per qualche acidità de il Giornale e de Il Foglio: non una parola di Avvenire, men che meno de L’Osservatore Romano. Capita, cioè, che un personaggio pubblico, addirittura un ministro, abbandoni la Verità e sposi la moda del secolo, quella che riconosce piena parità di diritti ai non-eterosessuali e condanna ogni discriminazione ai loro danni, e non c’è uno straccio di tonaca che voglia dire due parole: per sentire un prete che mugugna bisogna andare per catacombe. Qui, il vescovo emerito di Alghero, monsignor Antonio Vacca, dà un saggio straordinario di cosa capita a un ministro, quando abbandona la Verità.

“Il ministro poteva risparmiarsela quella dichiarazione”. Duole che un politico non sia aderente al magistero morale della Chiesa, ma duole assai di più che faccia scandalo dichiarandolo pubblicamente. Soprattutto se a capo di un dicastero pertinente.
Se “il governo si è sempre dichiarato vicino ai valori cattolici”, com’è possibile? “Bisogna vedere nei fatti quanto ci sia di cattolico nelle singole persone”. Non è un darle della troia, senza dubbio, ma forse c’è qualcosa che è pure peggio: “La politica é ricerca del consenso anche a buon mercato. Esiste la convenienza politica e l’appoggio dei gay é importante, vista la loro influenza”. Insomma, la Carfagna s’è venduta i valori.
C’è di più: se “il governo si è sempre dichiarato vicino ai valori cattolici” e nel singolo ministro c’è poco di cattolico, quel ministro è in qualche modo fuori dal governo, ectopico perché atipico.

Basta? Macché. Sua Eccellenza chiude la sua riflessione con un gesto di carità: “Sono certo che in realtà il ministro non la pensi esattamente così”. Mente o parla senza sapere cosa dice, la sciocchina.

George Carlin