La sintesi giornalistica – “Obama difende la Santa Sede”, “Obama salva il Papa”, ecc. – è buona solo per i titoli. In realtà, basta poco per capire che l’iniziativa della Casa Bianca presso la Corte Suprema – in appoggio alla tesi difensiva del legale della Santa Sede, contro quella accusatoria del Tribunale distrettuale dell’Oregon, recepita dalla Corte d’appello federale – è un atto dovuto, congruamente motivato da ragioni che sono di natura squisitamente giuridica e che, pur assecondandole, precedono di gran lunga quelle di natura politica e diplomatica.
Il caso in oggetto presenta un’analogia con quanto avvenne con l’amministrazione Bush, nel 2005, anche se l’analogia sta solo – ma non è poco – nel principio che, anche qui, a fronte delle istanze poste dall’ipotesi accusatoria che un Tribunale distrettuale avanza nei confronti di un capo di stato estero, la Casa Bianca è tenuta a far valere, per ribadire l’esclusività di tale prerogativa.
Oltre questa analogia, tutto è diverso: in Texas, nel 2005, il processo era in sede civile; si discuteva di fatti avvenuti quando Joseph Ratzinger non era ancora un capo di stato estero; la denuncia nei suoi confronti era a titolo individuale, e non in quanto prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede; infine, la questione non pendeva dinanzi alla Corte Suprema, ma dinanzi al Presidente degli Stati Uniti, il solo a poter concedere l’immunità ad un capo di stato estero.
Stavolta la questione è un po’ diversa, come sottolinea l’avvocatura della Casa Bianca: “La Corte d’appello [federale] ha errato nel ritenere che il Tribunale distrettuale [dell’Oregon] abbia la giurisdizione per discutere le accuse nei confronti della Santa Sede a causa degli abusi sessuali commessi da un prete”, perché – come opposto dai legali della difesa – “i contestati abusi sessuali non rientrano nella finalità dell’impiego del prete” ed è per questo – solo per questo, ma mi pare di poter dire che non sia poco – che viene meno ogni possibilità di coinvolgere il rappresentante di uno stato straniero nei risvolti penali della “finalità d’impiego” di un “lavoro dipendente”. L’ipotesi accusatoria è stata costruita in modo pedestre, diciamocelo chiaramente.
La stessa cosa è accaduta anche in Kentucky, e anche in questo caso la questione è stata portata dinanzi alla Corte Suprema, nello stesso periodo, verso fine marzo: qui non sappiamo se l’ipotesi accusatoria si sia basata, come in Oregon, su quel “rapporto di impiego” che vi sarebbe tra papa e sacerdoti, fatto sta che non abbiamo notizia di analoga iniziativa degli avvocati della Casa Bianca. Seguirà a breve, senza meno, ma anche qui, quand’anche i legali delle vittime abbiamo costruito una più solida argomentazione, rimane l’insormontabile l’ostacolo posto dai privilegi di cui gode un capo di stato estero come il papa.
È qui che si rilevano ridicole – mi pare – le fantasie di chi immagina un papa sul banco degli imputati. Praticamente impossibile. E meno male, aggiungo. Sul piano propagandistico – e la propaganda è tutto per le autocrazie – la cosa tornerebbe di enorme vantaggio alla Santa Sede, qualunque fosse l’esito del processo, anche se celebrato in contumacia.
A un anticlericale serio torna assai più utile che la Chiesa di Roma si mostri ancora una volta, come sempre, salda nei suoi “odiosi privilegi”, priva di ogni scrupolo pur di difenderli, e felicemente amorale, forte di quel potere che costringe lo stato a fare i conti, prima che con la ragion di stato, con le procedure del diritto internazionale, in quell’inestricabile connubio di interessi che sacrifica senza pietà i poveracci. Incontestato, infatti, si legge su Wikipedia: “La Santa Sede è il Governo del Vaticano e come tale ne esercita i diritti diplomatici attivi e passivi. Lo Stato della Città del Vaticano e la Santa Sede sono entrambi soggetti sovrani di diritto pubblico internazionale, universalmente riconosciuto e sono indissolubilmente uniti nella persona del Papa, monarca assoluto per via elettiva, che è il Capo dello Stato. Pertanto il Vaticano non ha una vita politica propria, che non sia perfettamente combaciante con l’attività della Santa Sede. Se ne deduce che il Vaticano deve rimanere soggetto alla pienezza assoluta del Pontefice”. Ed è per questo che gli “odiosi privilegi” del papa tornano utili a chiunque voglia sottolineare la natura più intima dell’autocrazia che incarna.
E dunque la notizia che giunge dagli Stati Uniti è un’ottima notizia: un papa processato e condannato sarebbe un Crocifisso vivente; processato e assolto sarebbe un Cristo trionfante; improcessabile e impunito rimane emblema dell’arroganza e della prepotenza, come d’altronde è, ed è utile venga visto.
Nota
A parte, e per chiarire che questo post non vuole neanche indirettamente portare buone ragioni alla Casa Bianca, vorrei rammentare che questo blog non ha mai speso eccessive simpatie per Obama, né prima né dopo la sua elezione. Anzi, anche quando si è trattato di considerarlo “meno peggio” del suo sfidante nella corsa alla presidenza degli Stati Uniti, qui non si è mai evitato di sottolinearne le ambiguità.
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