Tra un
cattolico che obbedisce al Papa e un cattolico che obbedisce alla propria
coscienza – è distinzione che s’è venuta a creare da quando il modernismo ha
illuso certi cattolici che sia possibile pensare con la propria testa rimanendo
cattolici – io preferisco il primo, senza alcun dubbio. È bello vederlo
arrampicarsi sugli specchi per dare un senso a quell’obbedienza che non di rado
è costretta a zigzagare da papato a papato, oggi a calcare l’accento sulla
verità e domani sulla carità, l’altrieri sull’evangelizzazione come progetto
culturale e dopodomani come testimonianza disarmata, sempre affannato ma sempre
molto motivato, come uno stercorario che per nessuna ragione al mondo molla la
sua pallina di merda. Il cattolico cosiddetto adulto, invece, mi fa pena.
Dovrebbe sapere bene che non conta un cazzo, che al dunque è costretto a
scegliere tra l’eresia o il ficcarsi la lingua in culo, e tuttavia ci prova: è
convinto di poter decidere per sé, anzi, spesso pretende di spiegare al Papa come
si fa il Papa. È che ha studiato, poverino, e ha maturato opinioni in campo
teologico che quasi sempre hanno il verme dentro; spontaneamente – e spesso,
ahilui, incoercibilmente – gli spuntano in testa progetti di ecclesiologia che
fanno orripilare le gerarchie; soprattutto – ed è il peggio – ha quasi sempre
la mania dell’autonomia dei cattolici in politica, che è come dire a quelli
della Segreteria di Stato Vaticano: «Silete theologi in munere alieno». Più che
naturale si ritrovi con le tibie rotte. Dossetti, per esempio. Se non fosse
stato cattolico, avrebbe potuto con profitto applicare il metodo leninista all’azionismo,
e avrebbe fatto la sua porca figura, tra Evola e Bordiga, sull’album delle nostre
patrie figurine. E invece gli andò male, com’era ovvio. Con la coda tra le
gambe, via, in convento. Tutto il contrario di Andreotti, che però partiva
avvantaggiato dall’avere tutte le ambizioni tranne quella di millantare una
coscienza tutta sua, poi maturò del tutto con la lezione di cosa accade a un De
Gasperi quando si azzarda a dire no a Pio XII.
Tornando a Dossetti. È arrivato
in libreria da qualche mese un delizioso libricino di Alberto Melloni (Dossetti
e l’indicibile, Donzelli Editore 2013), appassionato studio di un cattolico
adulto su un cattolico adulto, indagine sul numero di Cronache sociali che
doveva uscire alla vigilia dell’elezioni politiche del 1948, e non uscì mai.
Sarebbe stato dirompente, pare. Avrebbe posto «in maniera tagliente» – assicura
Melloni – «il nodo teologico, canonico e politico dell’autonomia dei cattolici
impegnati nella vita pubblica». Puf, scomparso, c’è voluto lo scavo del Melloni
per riportare alla luce una decina degli articoli che avrebbero dovuto essere
su quel numero. Come mai quel numero di Cronache sociali non vide mai la luce?
Melloni non sa dare una risposta, si limita a dire che
«chi oggi legga quel quaderno» non può fare a meno di avvertire l’«indicibile pressione [che quegli scritti esercitavano] sul sistema ecclesiastico». Può darsi. Di fatto, in un’antologia della rivista (Cronache sociali 1947-1951, Landi Editore 1961) trovo a pag. 1073 (vol. II) una nota della curatrice, Marcella Glisenti, figlia di quel Giuseppe Glisenti che ne fu il direttore, e che proprio a quel fascicolo fa riferimento.
Così pare che l’«indicibile pressione sul sistema ecclesiastico» causò una prudentissima autocensura: timore di premere troppo, probabilmente. O paura di ritrovarsi spremuti?
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