Ignoravo
l’esistenza di Dominique Venner, ho recuperato leggendo i 146 post del suo
blog, in gran parte editoriali e articoli pubblicati su La Nouvelle Revue d’Histoire,
di cui era il direttore. Tutto in poche ore, troppo poco ovviamente per poter esprimere un
giudizio articolato sulla sua persona, e tuttavia, dovendo abbozzarne uno, direi che le
sue idee non fossero poi tanto diverse da quelle che in Italia hanno trovato megafono
ne Il Foglio di Giuliano Ferrara (non escluse le simpatie per il cattolicesimo
come ultimo saldo baluardo all’avanzare di un mondo «tout pourris»). Era un
conservatore in patente disagio nei confronti della modernità, convinto della
possibilità di una «révolution conservatrice» in grado di fermare la «contagion
de chaos», ma questo, a mio modesto avviso, non spiega il suo suicidio come
forma di protesta all’approvazione della legge che da poco autorizza in Francia
i matrimoni gay, neanche a voler prendere per buona quella necessità «des geste
nouveaux, spectaculaires et symboliques pour ébranler les somnolences, secouer
les consciences anesthésiées et réveiller la mémoire de nos origines», ai quali
faceva cenno nel suo ultimo post. D’altra parte è stato proprio il suo editore,
Pierre-Guillaume de Roux, a dichiarare: «Je ne crois pas que l’on puisse lier
son suicide à cette affaire de mariage, cela va bien au-delà». Senza dubbio
odiava quella legge, ma il suicidio non è stato deciso come protesta estrema
alla sua entrata in vigore: pensava ci fosse di meglio («Une loi infâme, une
fois votée, peut toujours être abrogée»).
E allora? Com’è da interpretare il suo
atto estremo senza che entri in contraddizione con l’imperativo vitalistico che
lo animava («Pas un instant je n’oublie les luttes du moment. Pas un
instant je n’oublie les luttes du passé qui nous ont fait ce que nous sommes. Pas un instant je n’oublie qu’exister
c’est se vouer et se dévouer, mais aussi lutter»)? Penso debba leggersi come
gesto – insieme – estetico e politico: una rappresentazione plastica di rifiuto,
una performance isterica col botto. A parte, poi, sarebbe opportuno interrogarsi –
ma tutto sommato è superfluo, perché facilmente intuibile – cosa abbia reso
mediaticamente suggestivo, dunque obbligato, almeno qui da noi, in Italia, il collegamento col matrimonio
gay.
Tra Houellebecq e Camillo Langone in pratica.
RispondiElimina...come già feci a proposito della moglie di gesù, mi prendo licenza di parafrasare il suo post nel mio umile e dimesso blogghetto.
RispondiEliminascusi.
Ho letto che si definiva cattolico; ma allora perché suicidarsi? A Notre Dame, poi. Come gesto è stato un po' futurista...
RispondiEliminaMarcello
"Ama il prossimo tuo come te stesso", presentato come apice di moralità, è in realtà ben imperniato nel fulcro del bimillenario fallimento del cristianesimo. "Conosci te stesso", la sola assenza (al netto di arrampicate sugli specchi) di questo pur più antico e fondamentale precetto basta a squalificare la pretesa emanazione divina del messaggio.
RispondiEliminaBisognerebbe conoscere la lettera ritrovata, ma ci sarebbe da stupirsi se non ripetesse ulteriormente l'esternalizzazione della rabbia. Anche dopo che l'ossessione del nemico ha infine probabilmente raggiunto il suo autentico bersaglio.
Pietà per la vittima, di sé stesso e di chi ha contribuito a farne la persona che era. Ma ancor maggior pietà per la vita che deve aver condotto, se, come si può immaginare, soffocata nei fumi della rabbia e dell'odio.
"... auront raison de crier leur impatience et leur colère ..." (dal suo ultimo post). Che spreco di intelligenza: cercare ragioni di facciata per la propria rabbia invece che ricercarne le reali fonti e affrancarsene.
Chi lo vorrà dipingere come eroe della nazione e dell'occidente, probabilmente non gli farà torto, lo farà solo a sé stesso.