mercoledì 15 maggio 2013

Volerlo, deciderlo, farlo


Chi ha un certa consuetudine con queste pagine di diario pubblico sa bene che, pur essendo medico, ho sempre evitato di impancarmi a esperto in materia, e il più delle volte, quando ho trattato un tema di natura clinica (per lo più è accaduto in ordine a questioni di natura bioetica), mi sono sempre limitato ad argomentare sulla base di elementi che non implicassero speciali competenze: il metodo che mi sono imposto è stato quello di applicare un minimo di logica a dati che chiunque potesse aver modo di verificare, anche senza avere una laurea in medicina o una pratica clinica. Anche per questo non sono mai ricorso alla casistica personale, tanto meno in quella forma aneddotica che ho sempre considerato più scorretta, perché più insidiosa, dell’assunzione di autorità: la casistica personale, infatti, supplisce alla inaffidabilità dei piccoli numeri con la suggestione della narrazione didascalica e fa subdolamente, anche quando involontariamente, cattiva didattica. Io ho sempre voluto evitare la didattica, anche quando in piena onestà di coscienza potevo ritenerla buona, e non ho mai pensato che un procedere secondo logica necessitasse d’altro che strumenti logici.
Non verrò meno a questa regola neppure oggi, dunque mi intratterrò sul caso di Angelina Jolie evitando ogni considerazione di tipo specialistico, trascurando del tutto gli elementi di pertinenza genetica, oncologica, epidemiologica, ecc. Sulla base delle mie conoscenze e della mia esperienza ritengo che la scelta della signora non sia affatto folle, anzi, mi pare ampiamente motivata, ma vorrei trattare la questione sotto un altro punto di vista, che da quanto ho letto a firma di espertoni, espertucci e nient’affatto esperti mi sembra sia stato del tutto trascurato. Questo punto di vista rende irrilevante il fatto che io sia specializzato in ostetricia e ginecologia e che da più di trent’anni il mio lavoro consista anche nella diagnosi di carcinomi mammari: «ritengo che la scelta della signora non sia affatto folle, anzi, mi pare ampiamente motivata», fate finta l’abbia detto un agronomo o un imbianchino.
E dunque, a rischio di apparire rozzo al mio lettore: a chi appartiene il corpo di Angelina Jolie? Voglio dire: quand’anche il rischio dello sviluppo di un carcinoma mammario avesse ragion d’essere solo in una sua fobia, quand’anche l’intervento al quale si è sottoposta non sia soluzione congrua per un rischio reale, o addirittura fosse sostanzialmente inutile, chi avrebbe potuto impedirle di fare del suo corpo quello che voleva? E in forza di quale diritto che annullasse quello di disporne liberamente? Per motivi religiosi o igienici ci si può amputare il prepuzio. Ci si può liberare di pene e testicoli se ci sente femmina imprigionata in un corpo maschile. C’è qualche parte del mio corpo che mi è vietato sottoporre a piercing o tatuaggio? Potrei continuare all’infinito, perché le pratiche di intervento cruento sul corpo umano, anche di là da indicazioni poste da specifiche condizioni cliniche, sono infinite, e in buona parte praticate fin dalla notte dei tempi. Escluse quelle che vengono effettuate su soggetti che le subiscono in mancanza di piena libertà e responsabilità, quali sarebbero quelle da vietare, o da condannare moralmente, o da biasimare come pericoloso cattivo esempio, e perché?
Io ritengo che il polverone sollevato dalla confessione di Angelina Jolie sia quasi del tutto dovuto all’elevata valenza simbolica che ha il seno femminile. Avesse deciso di farsi asportare la milza per ragioni analoghe a quelle che l’hanno portata alla mastectomia bilaterale, la confessione non avrebbe suscitato tanto scalpore. In più, alla mastectomia bilaterale è seguito l’impianto di protesi mammarie, che non alterano la fisionomia del soggetto sottoposto a quel tipo di intervento demolitore, e che per giunta è scelta sempre più spesso adottata da chi abbia subito una mastectomia per un carcinoma mammario già sviluppato. E dunque? Cos’è successo di così sconvolgente con la decisione di Angelina Jolie? Non è neanche la prima ad adottare questa decisione a fronte di un alto rischio genetico per lo sviluppo di un carcinoma mammario. La cosa sconvolgente – per chi ne è stato sconvolto – è stata la ratio che ha guidato verso la decisione: estromettere da un progetto di vita, per quanto fosse possibile, un rischio; farlo con determinazione, estromettendo anche tutto ciò che è il fatalistico mettersi nelle mani della provvidenza; elevare la femminilità al di sopra dello stereotipo che allega il genere al proiettato fantasmatico di una cultura maschilista. Un po’ come scegliere il taglio cesareo anche quando il parto potrebbe essere spontaneo: per il semplice volerlo, deciderlo, farlo. Beh, sì, non c’è dubbio, c’è chi può rimanerne sconvolto.

24 commenti:

  1. La signorina potrà fare quello che vuole con le sue tette ma con la vita degli innocenti non si deve scherzare. NO ABORTO

    http://deliberoarbitrio.wordpress.com/2013/05/15/solo-lettere-alfabetiche/

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    1. Signorina sarà tua sorella, Angelina Jolie è una signora. In quanto agli "innocenti", acquistano diritto alla vita solo quando diventano capaci di vita autonoma fuori dall'utero (20-22 settimane gestazionali) e possa interessarsene qualcuno che non sia la madre. Ammesso e non concesso che abbiano questo diritto anche prima, confliggerebbe con quello della gravida che non voglia portarlo in utero, e così ritorniamo a bomba: del proprio corpo la donna può fare quel che vuole (alle tette aggiunga l'utero).

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    2. Eh certo,"con la vita degli innocenti non si deve scherzare"; con quella della peccatrice che lo porta in grembo invece si può, o forse addirittura si deve, scherzare, giocare, fregarsene, comprimerla, guidarla, privarla del libero arbitrio e via così.
      Ci mancherebbe...
      Simili ottusità talebane sono la prova provata di come una mente umana possa rendersi volontariamente refrattaria a millenni di evoluzione del pensiero.
      Ed essere anche convinta d'aver ragione...



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    3. Abbondi, abbondi Sior Castaldi: metta anche il cervello, inteso come scelta di libero arbitrio. Proprio è troppo complesso per gli antiabortisti comprendere che non "crederla" come loro non significa essere dei fanatici abortisti. Il contrario del "no aborto" non è "Sì, che bello, abortiamo che è una figata!". È semplicemente: libera scelta in libera coscienza in libera individualità; e non dogma/peccato/innocenza (innocenti?!?! de che? del peccato originale? dell'esser figli del dio serpente? quindi se uno è "colpevole" vale uccidere?).
      E per fortuna che non si dovrebbe scherzare...

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  2. Quello di Angelina Jolie è notevole coraggio: non so se lo mostrerebbero tanti maschietti, posti davanti all'opportunità di privarsi, d'un colpo, delle proprie parti sferiche gemelle. Come avrà inteso, ragiono tuttavia senza alcuna competenza medica. Perdoni e stia bene.
    Ghino La Ganga

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  3. Dimenticavo: grazie per avermi ispirato il post di oggi.
    Ribadisco: sempre utile, passar di qua.
    Stia bene.
    Ghino La Ganga

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    1. L'ho letto. Molto carino, come sempre d'altronde. Colgo l'occasione per suggerirle di provare a trasporre i dialoghetti in video.

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  4. (non le scrivo per la pubblicazione ma decida ovviamente come preferisce)
    condivido in pieno il suo post.
    le chiedo, se le va, se mi aiuta a capire se sul metodo vannoni non dovrebbe valere lo stesso principio. istintivamente mi sembra che ci sia una sovrapposizione tra i due temi. e non riesco davvero a capire lo scontro in corso.

    grazie

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  5. Si riferisce alla pratica della conservazione del cordone ombelicale o all'ultima polemica sul caso "Stamina"? Nel primo caso, sono scettico relativamente alla conservazione del materiale biologico. Nel secondo caso, non sono contrario al fatto che un soggetto si sottoponga a terapie della cui efficacia non c'è prova, se lo vuole, ma lo faccia a spese sue. E nel cso "Stamina", se ho capito bene, è in discussione la copertura delle spese a carico dello stato. Come se uno chiedesse il rimborso delle spese per andare a Lourdes.

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    1. ...se fosse economicamente possibile, io sarei a favore. è lei che non è abbastanza compassionevole... :)

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    2. Ma lei non dovrebbe essere ricco e spietato?

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    3. mi ha beccato. tendo a essere più fr...compassionevole col cu...portafogli degli altri...

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  6. Quello che mi lascia perplesso è sottoporsi a un danno certo per evitarne uno probabile: è vero che è lo stesso principio delle assicurazioni, è vero che un'amputazione è meno grave della morte, ma che percentuale di mortalità ha il tumore al seno oggigiorno, tenendo conto che alla Jolie non mancano certo le possibilità di ottenere tutti gli screening che vuole e, alle prime avvisaglie di qualcosa, le migliori cure disponibili?

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    1. Le ho detto, non voglio entrare nello specifico, perché ho scritto che ritengo legittima la scelta di A. J. "quand’anche il rischio dello sviluppo di un carcinoma mammario avesse ragion d’essere solo in una sua fobia". Ma per farle intendere quale sia il mio parere sull'argomento le esemplificherò la questione con un discorso che sono costretto a fare spesso: "Le sue mammelle hanno un elevato rischio di sviluppare un carcinoma. Una diagnosi tempestiva è possibile e questo abbatterà di moltissimo il pericolo che il carcinoma sia letale, ma non potrà escluderlo del tutto. D'altra parte, i falsi negativi e i falsi positivi, qualunque sia lo strumento diagnostico impiegato, hanno una percentuale minima, ma ineliminabile. Negli Usa, da qualche tempo, si è presa l'abitudine di taliare la testa al toro: si eviscera l'aia mammaria e al suo posto di mette una protesi. Qui in Europa è soluzione che non è ancora contemplata nei protocolli...".

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  7. L'autodeterminazione non è in discussione, almeno per me, quindi il discorso potrebbe finire qui.
    Quanto agli aspetti medici, io non devo nemmeno fingere di essere profano per dire di ignorare la natura del rischio.
    Parto però da un dato che assumo dalla stampa come certo solo ai fini del ragionamento, cioè che la malattia non era in atto, benché certa in futuro.
    La prima considerazione che ho fatto e che anche la morte è certa in futuro, quindi tanto varrebbe suicidarsi subito. Anche qui l'autodeterminazione è fatta salva, quindi, nessun problema, a parte l'evidente paradosso.
    La seconda considerazione che ho fatto è legata alla professione di A.J. che comporta il fatto che i seni per lei sono ferri del mestiere, quidi la cosa assume anche un valore "pubblico".
    Tornando per un attimo alla sfera personale, si è scritto e che la femminilità non è nel seno o nelle ovaie; giusto.
    Allora perché la ricostruzione? Se erano diventate un rischio e si è deciso di asportarle preventivamente perchè una donna non è i suoi seni, perché rifarli di silicone?
    Ha qualcosa a che vedere con l'immagine allo specchio, la sicurezza in se stessi? Può darsi, allora perché affrettarsi a toglierle.
    Una donna ferma e sicura potrebbe anche decidere di mostrarsi piatta nella sua vita di relazione, personale e professionale (?) a meno che con quel corpo non ci lavori e per l'appunto i seni, le labbra, i glutei e via dicendo siano i ferri del mestiere.
    Confusamente cerco di spiegare la mia ferma fede nell'autodeterminazione non basta a rimuovere la sensazione di contrarietà generata in me dalla notizia.
    Come uomo, come spettatore, mi sento preso in giro, truffato dall'idea che una donna che ha fatto anche della sua fisicità un elemento del suo successo possa, dopo aver legittimamente deciso di asportarsi i seni, sostituirli con due finti - magari migliori - e ripartire come una F1 dopo il cambio gomme.
    Al contrario di quanto può a molti venire in mente, non è come le tonnellate di silicone che traboccano dalle pagine dei giornali e dagli schermi; non si tratta di gonfiarsi le tette sino a dimensioni inverosimili per stimolare visivamente, o tattilmente, l'eccitazione maschile - cosa ingenuamente sincera - o aumentarsi di una o due taglie per riempire meglio la scollatura di rotondità e di sguardi rassicuranti, o riportare ad antichi fasti ciò che Newton aveva spinto in basso con gli anni; qui si tratta di altro.
    È il passaggio dalla determinazione del sé all'imposizione sugli altri; è la pretesa di decidere per me che la guardo mentre lavora (in fondo il suo lavoro consite in questo) che posso e devo continuare a guardare quel seno e a farmelo piacere senza sindacare sulla sua naturalità o artificialità.
    Come se i produttori del mio amatissimo liquore di mirto decidessero di non usare più le profumatissime bacche mediterranee ma un identico aroma chimico, dichiarandolo palesemente negli ingredienti, ma senza cambiare il nome e l'etichetta. Anche qui, come se io non dovessi occuparmi di cosa mi piace, ma limitarmi a confermare che mi piacciono il liquore di mirto e le tette di A.J.
    Beh, non è così.

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    1. Provo a mettere un po' d'ordine, perché onestamente non ho colto la ratio che informa il suo commento. Lei dice che la scelta di A.J. è legittima, ma non è logica. Non spiega il perché, ma offre un esempio di illogicità che a suo parere è dello stesso genere (il tizio che, giacché la morte è certa, si suicida), ma che a mio modesto avviso è inammissibile per incomparabilità dei termini che lei pone in relazione di equipollenza. Mi limito a segnalarle il dato più evidente: suicidandosi si muore, mentre senza ghiandole mammarie si vive, e qui la scelta di A.J. mira alla vita. Incorre, poi, in un altro errore, analogo in quanto a incomparabilità dei termini che mette in relazione: il seno è un simbolo della femminilità, non è la femminilità, ma rinunciare alle ghiandole mammarie non costringe a rinunciare né alla femminilità né a questo simbolo. Se lei deve subire l'asportazione di un testicolo per un carcinoma testicolare, con quello che le rimane può avere 20 figli e 20 erezioni al giorno, e tuttavia le mettono una protesi al silicone nell'emiscroto lasciato vuoto: suppone lo facciano per ipocrisia? E' che, per il soggetto, l'immagine del corpo è il corpo stesso. Vale per A.J., anche se non fosse attrice; vale per chi ha subito l'ablazione di un testicolo anche se non è pornoattore. Per finire, credo che la sua riflessione abbia in radice una pecca esiziale: lei considera A.J. un po' troppo sua (sua, di Ugolino Stramini) per il solo fatto che in qualche film si è offerta a lei con la sua immagine. Non vorrei disilluderla: quella immagine non le appartiene (a lei, Ugolino Stramini).

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    2. Su due cose hai centrato l'obiettivo: il poco ordine del pensiero esposto e la proprietà del'immagine di A.J.

      Sul primo, non ho mai nascosto di leggere e scrivere per chiarire innanzitutto a me stesso ciò che chiaro non mi è, e questo caso non fa eccezione.

      Sul secondo invece contesto il concetto di fondo. L'immagine non mi è stata offerta, ma l'ho pagata, con i soldi del biglietto, o del canone o anche solo comprando un prodotto pubblicizzato in relazione a quella sua immagine; così come lei è stata pagata per "offrirla". Rivendico in sostanza il mio vano diritto di non gradire gli effetti della sua scelta sulla mia immagine di lei; se poi fossimo in tanti a farlo, potrebbe anche rivelarsi non tanto vano.

      A conferma di quanto detto in apertura di commento, trovo invece particolarmente fine e stimolante il discorso sulla femminilità, che poi è anche l'ingrediente principale di quell'immagine di lei che io compro;

      il seno è un simbolo della femminilità, non è la femminilità, ma rinunciare alle ghiandole mammarie non costringe a rinunciare né alla femminilità né a questo simbolo

      L'argomento, la femminilità, è tipicamente di quelli oceanici, che mal si adattano ad essere affrontati nello sbrigativo spazio dei commenti di un post, né io penso di avere le capacità per affrontarlo con successo. Questo mi sembra però, nello specifico, un pensiero "riparatore", ottimo per chi questo evento l'ha subito e deve sopravvivergli, meno per chi l'evento l'ha messo in atto in modo volontario e preventivo. Io continuo a sentire disagio.

      p.s. ringrazio per la tersa persona riservatami, ma tra blogger ricompresi nei rispettivi blogroll io preferisco la seconda (persona)

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    3. Francamente confesso di restare un po' interdetto dallo scoprire che tra te e A.J. ci fosse un rapporto di questo tipo. Dunque, se ho capito bene, lei te la offre (l'immagine femminile) e tu la compri (per farne cosa?), per poi sentirti truffato dal sapere che sotto la superficie cutanea dell'aia mammaria non c'è una ghiandola viva, pulsante di un bel rischio di carcinoma, ma una morta protesi di silicone... Arrivo a capire il "disagio", ma penso non abbiate pattuito bene il negozio: ti ha venduto l'immagine o in cambio del biglietto cinematografico ti si è data interamente?

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    4. Mi permetto solo di far notare un punto debole del ragionamento, che pare marginale ma credo invece regga l'intera questione posta da Ugolino:
      "È il passaggio dalla determinazione del sé all'imposizione sugli altri; è la pretesa di decidere per me che la guardo mentre lavora (in fondo il suo lavoro consite in questo)"
      Non c'è pretesa né sottrazione di alcuna sua libertà decisionale nel momento in cui lei, rilevando il suo (della Jolie) non rispettare più i termini del vostro rapporto, ha tutta la libertà di non spendere i soldi per il biglietto del suo prossimo film.
      Quelli che ha speso per i film pre-intervento le restano nei cari ricordi come ben spesi, quelli che le costerebbero i film post-intervento avrà la costante libertà di scegliere di indirizzarli altrove.
      Come vede nessuno si è sostituito a lei in nulla né è stata lesa la sua libertà di investire come meglio crede i suoi soldi.
      E dal momento che di questo punto centrale mi pare ne abbia fatto perno, l'intera questione della sua libertà usurpata non si pone.

      A margine, ero venuto qui per segnalare a Malvino, non l'avesse già visto, questo:
      http://b4.to/7uqs4k

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  8. E se... più semplicemente Angelina Jolie avesse trovato il modo di cammuffare un intervento di chirurgia estetica? Non voglio indulgere al complottismo. Mi faceva sorridere l'idea di filosofeggiare mentre la vicenda potrebbe essere di tutt'altro tenore.

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  9. "quand’anche il rischio dello sviluppo di un carcinoma mammario avesse ragion d’essere solo in una sua fobia", insomma, se la decisione è presa partendo da un presupposto del tutto viziato può essere veramente cosiderata legittimante "libera" la decisione? Allora, quand'anche non avesse pericoli di tumore al seno, la decizione di operarsi dovrebbe essere legittima: però come giudicare un medico che accetta di sottoporre il paziente a un'operazione inneccessaria, inutile e al relativo rischio operatorio?

    Secondariamente, se è lecito per la A.J. non vedo perché non debba essere lecito per i gay e i terapeuti di curare una non-malattia?

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    1. Alla prima domanda, la risposta è: sì.
      Alla seconda domanda, rispondo in questo modo: nel caso di cui alla prima domanda, al medico spetta spiegare che l'operazione è inneccessaria (non direi inutile, se posta da un'esigenza della paziente, che almeno così la sente) e illustrare il rischio operatorio; poi, volendo, può negare l'intervento, se ritiene che farlo sia in conflitto con la sua coscienza.
      Ora, però, risponda lei a me: la stessa donna ha il diritto di praticare un piercing linguale? Non è innecessario? Non comporta un rischio chirurgico? A chi lasciamo decidere se è utile?

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    2. Il piercing è un piercing, una pretica medica è una pratica medica: il primo si mette per motivi estetici (a mio avviso spesso discutibili) non esiste un metro, né una scienza, per valutarne l'efficacia e la concruità estetica; il secondo serve per curare, qui anche per prevenire, la capacita di cura e prevenzione di un qualsiasi atto medico non dipendono certo dalla credenza o dalle decizione del paziente, ma da quanto accertato dalla scienza medica.
      La Jolie non se asportata da sola i seni, è stata ricoverata in un ospedale e dei medici hanno praticato l'operazione: è stato l'intero sistema a permettere ciò: ora quanto i capricci o le fisse di paziente diventa legittimo che siano accolte a livello di sistema? Ritorniamo sempre al paradosso che anche la cura dell'omosessualità è legittima se voluta dal paziente benche non sia classificata come malattia.

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