Pare
assodato che l’edizione della Traviata con la quale si è inaugurata quest’anno la
stagione della Scala sia stata una delle
più infelici di ogni tempo, dunque non stupisce che il giudizio di Paolo Isotta
avesse da essere severo, come d’altronde è stato (Corriere della Sera, 8.12.2013),
stupisce piuttosto che lo sia stato assai meno di quanto fosse lecito prevedere,
almeno tenuto conto di quanto la sua penna sia affilata. Poi, la dicitura in
coda al pezzo spiega il perché, e questo offre spunto ad una riflessione di
carattere più generale che mi pare utile sviluppare.
Tutti
sanno del solenne scazzo di qualche mese fa: Isotta scrive un pezzo
particolarmente duro, la Scala si risente e ne chiede il licenziamento al
direttore del Corriere della Sera, che rigetta la richiesta, riavendone in
risposta il ritiro dei biglietti omaggio per assistere alle prime. Ora poco
importa se la decisione di segnalare al lettore poco informato che la Scala ha
dichiarato Isotta «persona non grata» sia stata dell’autore della recensione o
di chi l’ha messa in pagina, quanto il significato che assume in calce ad una stroncatura
assai meno corrosiva del solito, e parliamo di un critico musicale che non si è
fatto imbarazzo di consigliare «un uso alternativo della bacchetta» a una
direttrice d’orchestra di cui non gradiva la lettura di un pezzo. Che l’abbia
voluta Isotta o il giornale, sembra stare a dire: si poteva andar giù con mano
assai più pesante, ma poteva sembrare una ripicca.
C’è da aggiungere, peraltro,
che la stranezza di questa dicitura resta episodio isolato, perché il giorno dopo, ad esempio, Isotta
ritorna sulla Traviata, ed è ben più duro, ma stavolta non v’è traccia di avvertenza
in fondo al pezzo. È come se la dicitura in calce al pezzo del giorno prima
avesse assolto al compito di certificare l’onestà intellettuale del critico
musicale per i pezzi a venire.
Poco importa, dicevo, se questa più o meno
conscia premura sia stata sentita dovuta da Isotta o dal responsabile del
giornale: in realtà importerebbe, ma solo per sapere chi dei due
l’abbia ritenuta
necessaria, ma questo vorrei passasse in second’ordine, perché
mi pare più interessante analizzare la natura del movente. Ed è presto detto: agli
occhi del lettore, dal quale non si può mai pretendere un giudizio neutro, le
critiche che reiteratamente si appuntano su qualcosa o qualcuno perdono col
tempo la forza dei loro argomenti, anche laddove questi si facciano vieppiù forti
e stringenti. In pratica, non basta sforzarsi a criticare con rigore
argomentativo per dimostrare che la critica sia libera da ogni momento di
pregiudizio, ma occorre mettere le mani avanti e professare, si abbia o meno,
rettezza d’intenti. In altri termini, per ottenere un credito
presso il lettore, il critico deve contrarre un debito retorico, di solito con
l’uso di una particolare forma di dissimulazione onesta: concedere qualcosa all’oggetto
della propria critica.
La concessione può darsi in termini quantitativi o
qualitativi: nel primo caso, l’attenzione sorvolerà su alcuni punti che pure
potrebbero esser degni di critica arrivando addirittura a dichiararli pregi;
nel secondo, attenuerà la pressione diretta sul difetto che vuole criticare, limitandosi
a liberarlo da ciò che impedisce di considerarlo tale. In entrambi i casi,
tuttavia, è necessario chiedere una complicità al lettore, grazie alla stipula
di un patto: la critica è almeno in parte delegata al lettore, che almeno in parte la declina.
A ben vedere, siamo dinanzi a un paradosso che ha del tragicomico:
l’oggetto della critica trova riparo nella stessa critica, quanto più questa è spietata.
Molto prosaicamente, et semper si parva licet, è un po' come quando si premette a un discorso razzista o sessista la solita frase "ho molti amici tra i ... [sostantivo variabile a seconda del soggetto che s'intende colpire]", per ottenere credito dal lettore.
RispondiEliminaUn anonimo alla ricerca della figura retorica più corrispondente al fenomeno tipizzato nel post
Captatio benevolentiae
EliminaNon proprio. Direi, piuttosto, una peroratio pro sua honestate, ma un filino ipocrita.
EliminaParadosso anche elegantemente masochistico direi. Nella misura in cui la concessione si da in termini quantitativi si mette in moto un cortocircuito sotteso. Liberare un difetto da ciò che impedisce di considerarlo tale significa presentarlo proprio come un difetto. Se l'oggetto della critica trova riparo nella stessa critica è evidente che l'oggetto gode di un autocompiacimento non del tutto giustificato.
RispondiEliminaAnalisi che condivido. Poi, nel caso specifico di Isotta, potrebbe anche trattarsi di puro esibizionismo.
RispondiEliminail gatto si morde la coda...
RispondiEliminaAl contrario: è la coda che morde la testa del gatto.
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