venerdì 13 dicembre 2013

Concedere qualcosa all’oggetto della propria critica


Pare assodato che l’edizione della Traviata con la quale si è inaugurata quest’anno la stagione della Scala sia  stata una delle più infelici di ogni tempo, dunque non stupisce che il giudizio di Paolo Isotta avesse da essere severo, come d’altronde è stato (Corriere della Sera, 8.12.2013), stupisce piuttosto che lo sia stato assai meno di quanto fosse lecito prevedere, almeno tenuto conto di quanto la sua penna sia affilata. Poi, la dicitura in coda al pezzo spiega il perché, e questo offre spunto ad una riflessione di carattere più generale che mi pare utile sviluppare.
Tutti sanno del solenne scazzo di qualche mese fa: Isotta scrive un pezzo particolarmente duro, la Scala si risente e ne chiede il licenziamento al direttore del Corriere della Sera, che rigetta la richiesta, riavendone in risposta il ritiro dei biglietti omaggio per assistere alle prime. Ora poco importa se la decisione di segnalare al lettore poco informato che la Scala ha dichiarato Isotta «persona non grata» sia stata dell’autore della recensione o di chi l’ha messa in pagina, quanto il significato che assume in calce ad una stroncatura assai meno corrosiva del solito, e parliamo di un critico musicale che non si è fatto imbarazzo di consigliare «un uso alternativo della bacchetta» a una direttrice d’orchestra di cui non gradiva la lettura di un pezzo. Che l’abbia voluta Isotta o il giornale, sembra stare a dire: si poteva andar giù con mano assai più pesante, ma poteva sembrare una ripicca.
C’è da aggiungere, peraltro, che la stranezza di questa dicitura resta episodio isolato, perché il giorno dopo, ad esempio, Isotta ritorna sulla Traviata, ed è ben più duro, ma stavolta non v’è traccia di avvertenza in fondo al pezzo. È come se la dicitura in calce al pezzo del giorno prima avesse assolto al compito di certificare l’onestà intellettuale del critico musicale per i pezzi a venire.

Poco importa, dicevo, se questa più o meno conscia premura sia stata sentita dovuta da Isotta o dal responsabile del giornale: in realtà importerebbe, ma solo per sapere chi dei due l’abbia ritenuta necessaria, ma questo vorrei passasse in second’ordine, perché mi pare più interessante analizzare la natura del movente. Ed è presto detto: agli occhi del lettore, dal quale non si può mai pretendere un giudizio neutro, le critiche che reiteratamente si appuntano su qualcosa o qualcuno perdono col tempo la forza dei loro argomenti, anche laddove questi si facciano vieppiù forti e stringenti. In pratica, non basta sforzarsi a criticare con rigore argomentativo per dimostrare che la critica sia libera da ogni momento di pregiudizio, ma occorre mettere le mani avanti e professare, si abbia o meno, rettezza d’intenti. In altri termini, per ottenere un credito presso il lettore, il critico deve contrarre un debito retorico, di solito con l’uso di una particolare forma di dissimulazione onesta: concedere qualcosa all’oggetto della propria critica.
La concessione può darsi in termini quantitativi o qualitativi: nel primo caso, l’attenzione sorvolerà su alcuni punti che pure potrebbero esser degni di critica arrivando addirittura a dichiararli pregi; nel secondo, attenuerà la pressione diretta sul difetto che vuole criticare, limitandosi a liberarlo da ciò che impedisce di considerarlo tale. In entrambi i casi, tuttavia, è necessario chiedere una complicità al lettore, grazie alla stipula di un patto: la critica è almeno in parte delegata al lettore, che almeno in parte la declina.
A ben vedere, siamo dinanzi a un paradosso che ha del tragicomico: l’oggetto della critica trova riparo nella stessa critica, quanto più questa è spietata.    


7 commenti:

  1. Molto prosaicamente, et semper si parva licet, è un po' come quando si premette a un discorso razzista o sessista la solita frase "ho molti amici tra i ... [sostantivo variabile a seconda del soggetto che s'intende colpire]", per ottenere credito dal lettore.

    Un anonimo alla ricerca della figura retorica più corrispondente al fenomeno tipizzato nel post

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    1. Non proprio. Direi, piuttosto, una peroratio pro sua honestate, ma un filino ipocrita.

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  2. Paradosso anche elegantemente masochistico direi. Nella misura in cui la concessione si da in termini quantitativi si mette in moto un cortocircuito sotteso. Liberare un difetto da ciò che impedisce di considerarlo tale significa presentarlo proprio come un difetto. Se l'oggetto della critica trova riparo nella stessa critica è evidente che l'oggetto gode di un autocompiacimento non del tutto giustificato.

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  3. Analisi che condivido. Poi, nel caso specifico di Isotta, potrebbe anche trattarsi di puro esibizionismo.

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    1. Al contrario: è la coda che morde la testa del gatto.

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