venerdì 18 novembre 2016

Credere, tradire, vivere

Ero una lucertola, e beato prendevo il sole sul lucernario di un museo di paleontologia, e di sotto cera lo scheletro di un dinosauro, che a palpebre socchiuse, attraverso il vetro, miravo e rimiravo. Un gran bel dinosauro, devo dire. E più lo guardavo, più mi piaceva. Al punto che a un tratto l’orgoglio di classe animale mi ha fatto sbottare: «Che cosa straordinaria, sta nostra rettilitudine!».
Neanche il tempo di pensarlo, ed ecco che davanti mi si para un ragazzino, e fa per acciuffarmi. Per una frazione d’attimo resto di stucco: «E che ci fa quassù, un ragazzino?». Riparo subito sotto una tegola, ma la sorpresa mi fa indugiare il tanto da costringermi a lasciargli la coda in mano. «Fa niente – provo a consolarmi, pensando a quello che ho evitato, col cuore ancora in gola e il moncone sanguinante – tanto poi mi ricresce». E qui, di soprassalto, mi sveglio.
Ai piedi del divano scorgo il libro sul quale mi sono appisolato e il significato del sogno mi è subito chiaro: leggendolo non me ne sono accorto, ma questo Credere, tradire, vivere (il Mulino, 2016) deve avermi strappato simpatia per il suo autore, che è Ernesto Galli della Loggia. Troppo imbarazzante per poter esser percepita in modo conscio, evidentemente, e di qui il sogno.
Per evitare limbarazzo, sorvolo sul significato e vado ai dettagli, a partire da quel bisillabo comune a lucertola e a lucernario. Non è una buona idea, perché lattenzione mi scivola subito su quella rettilitudine, cui mavvedo basta togliere una sillaba perché diventi rettitudine, ed ecco che di sponda limbarazzo mi schianta: sempre inconsciamente – e chi lo avrebbe mai detto  a Ernesto Galli della Loggia riconosco pure onestà intellettuale. E non basta, perché è evidente io senta che unaffinità ci unisce.
Certo, lui è un rettile di grossa taglia, fa la sua splendida figura in una delle più ampie sale di un museo strapieno di preistoria, solenne testimone di uno sconvolgente cataclisma che ha estinto tutta la sua specie e cambiato la faccia del pianeta, mentre io sono poco più dun geco e poco meno di un ramarro, sto rintanato sotto una tegola, e in fondo che mi è capitato? Una disavventura di poco conto. E però devesserci qualcosa che me lo fa sentire affine. Ma cosa?
Provo a capire rileggendo i passi che ho sottolineato, ma non trovo niente che possa spiegarlo. «D’altronde – mi dico – per loro stessa natura i sogni sono ingannevoli...».  

1 commento:

  1. Penso di aver afferrato almeno due dei significati re-conditi che il brano contiene.
    Detto ciò ,non comprerò il libro dell'Ernesto.(Per meglio capire)
    Né ho altri da comprare (almeno un centinaio),cosa che non so se riuscirò a fare e nemmeno se riuscirò a leggerli tutti.

    caino

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