lunedì 19 aprile 2010
No al divorzio
“Qui a Malta vivete in una società che è segnata dalla fede e dai valori cristiani. Dovreste essere orgogliosi che il vostro Paese promuova la stabilità della vita di famiglia dicendo no al divorzio” (Benedetto XVI, 18.4.2010).
Una dirigenza irresponsabile delle sue sconfitte
Il Comitato nazionale di Radicali italiani si è chiuso, ieri, con l’approvazione (due sole astensioni, nessun contrario) di una mozione generale che “prende atto della sconfitta della Lista Bonino-Pannella per aver fallito l’obiettivo della presentazione delle candidature in tutte le 13 regioni chiamate alle urne”. Capito quale era l’obiettivo? Era la presentazione delle candidature in tutte le 13 regioni: vincere sarebbe stato un di più.
Possiamo dirlo: i radicali avevano fallito l’obiettivo già prima del cattivo esito dello scrutinio, addirittura già prima dell’apertura dei seggi, fin dal momento in cui si è aperta ufficialmente la campagna elettorale.
Tutta colpa del mondo là fuori, inteso come universo regime, ma ad essere onesti non solo: si riconoscono “le responsabilità dell’intero movimento radicale […] per non aver affrontato le elezioni regionali con la stessa radicalità di obiettivi delle europee, a partire dal progetto di riforma americana dell’Europa, dello Stato italiano…” – ma si trattava di elezioni regionali, cazzo! – “… e delle regioni”. Ah, ecco, pardon!
Tutta colpa del mondo là fuori, ma con qualche responsabilità dell’“intero movimento radicale”. Pannella le ha quantizzate rispettivamente nel 70% e nel 30%, e l’universo regime dev’essersi sentito un po’ sollevato.
La dirigenza? La dirigenza non ha alcuna diretta responsabilità nella sconfitta, anche perché ha un alibi di ferro: manco va al cesso senza aver chiesto il permesso a Pannella. Il quale ha sempre ragione, e perciò è sommamente irresponsabile. E dunque né lui né la dirigenza possono avere responsabilità della sconfitta, se non nella misura d’essere parte dell’“intero movimento radicale”: un migliaio di iscritti che in congresso eleggono un Comitato nazionale che arriva all’approvazione di una mozione del genere. E dunque, sì, mi pare una mozione onesta: è l’“intero movimento radicale” a doversi pigliare le responsabilità del caso.
Meno male che quest’anno non ho rinnovato l’iscrizione a Radicali italiani, sennò adesso avrei la mia porzione di responsabilità nella sconfitta della Lista Bonino-Pannella, e so già che il peso mi schianterebbe.
È che due o tre cose dette negli ultimi mesi da Pannella – ma forse pure quattro o cinque – mi hanno irritato tanto da non riuscire a trovare risposta migliore nel non rinnovare la tessera, anche se già dal 2007 non intendevo l’iscrizione come appartenenza, ma solo come un piccolo sostegno economico.
È che si è radicali in virtù dell’iscrizione ad un soggetto della cosiddetta “galassia radicale”, che negli ultimi mesi Pannella ha sempre più insistito a definire “comunità monastica”, dunque clericale.
È quello che dicevo io, tre anni fa, e allora fu preso per insulto. Adesso mi sentirei insultato io ad essere considerato parte di quell’“intero movimento radicale” che non sa esprimere una dirigenza responsabile delle sue sconfitte.
domenica 18 aprile 2010
L’azione della grazia eucaristica
L’ultima timida voce in favore dell’eucaristia ai divorziati s’era udita, fra le alte gerarchie vaticane, nel corso dei lavori preparatori del Sinodo dei Vescovi del 2005, ma il relatore generale, il cardinale Angelo Scola, fece subito capire, fin dalla sua relazione introduttiva, che su quel punto c’era poco da discutere. Segnalando con preoccupazione e una puntina di sdegno “la diffusa tendenza alla comunione eucaristica dei divorziati risposati, al di là di quanto indicato dall’insegnamento della Chiesa”, rimandò a un testo della Congregazione per la Dottrina della Fede del 1994, ultimo di una lunga serie di testi ufficiali licenziati dalla Santa Sede che l’avevano bollata come “inammissibile”. A questa inflessibilità – spiegava l’allora cardinale Joseph Ratzinger, autore del testo – la Chiesa era obbligata per “fedeltà assoluta alla volontà di Cristo”.
Nel commentare il fatto che “il divorziato Berlusconi fa la comunione al funerale di Vianello”, io chiuderei un occhio sul prete. Parlo da laico, per giunta non credente, e so bene che contravvenire alle norme che regolano un sacramento è cosa grave, e tuttavia mi auguro che anche la Santa Sede sappia essere indulgente, almeno per mostrarsi equanime, giacché nessun provvedimento raggiunse il prete che somministrò l’eucaristia a Berlusconi al funerale di Craxi.
Idem sulla confessione. Dovrebbe sempre precedere l’eucaristia, a Segrate, a Tunisi, ovunque, ma eviterei di imbarazzare il prete che oggi ha somministrato l’eucaristia a Berlusconi, per non imbarazzare pure quello che gliel’ha somministrata la scorsa volta: imbarazzare più di un prete alla volta configura gli estremi di attacco alla Chiesa in toto, evitiamo.
Parliamo del divorziato che non si rassegna a “quanto indicato dall’insegnamento della Chiesa”.
In questo caso, si tratta di un divorziato che non tollera alcun genere di limite o freno alle sue voglie, e che ha dato larga prova di riuscire sempre ad ottenere ciò che vuole, in un modo o in un altro: quando qualcuno gli fa presente che la norma lo considera “inammissibile”, se può, cambia la norma, sennò la aggira, come può.
Qui è in questione una cosa cui tiene tanto, e si può capire: la comunione ti fa personcina che ha confessato i propri peccati ed è stata assolta. Nel mostrarti mentre prendi l’eucaristia compri una coscienza da poter esibire a quanti ne hanno una decente almeno quanto la tua. Si può capire che “quanto indicato dall’insegnamento della Chiesa” conti solo fino a un certo punto.
Solo fino a un certo punto, ma non nulla del tutto. A monsignor Sebastiano Sanguinetti, nel giugno del 2008, chiedeva: “Eccellenza, perché non cambiate le regole per noi divorziati e ci permettete di fare la comunione?”. Due giorni dopo gli rispondeva Benedetto XVI in persona: “Il peccato grave si oppone all’azione della grazia eucaristica”. Più spietato di una Corte Costituzionale, ma Berlusconi mica aveva chiesto l’azione della grazia eucaristica, aveva chiesto solo di potersi mostrare come personcina dalla coscienza conformisticamente decente. Spietato e insensibile, il vecchio.
Ma come pretendere che uno come Berlusconi rinunci ad esibire una coscienza decente almeno quanto quella dei telespettatori? Si trattava di una diretta su Rai e Mediaset, cribbio. Chiudo un occhio pure su di lui, come sul prete. Non vorrei ad essere solo io, laico, per giunta non credente, a sostenere che l’azione della grazia eucaristica non è la grandissima cazzata che è.
Da nicchia a loculo
È ancora in corso il Comitato nazionale di Radicali italiani e, ascoltando in differita gli interventi che scorrono, la solita nicchia mi pare diventata loculo, mi sento perfino un po’ maniaco a stare ad ascoltare, a scriverne. Poco lucidità, in via di Torre Argentina: il lutto è ancora poco elaborato, siamo ancora lontani dal finire col dare la colpa al mondo, e al momento è un gran bel chiedersi “dove abbiamo sbagliato?”.
Un lampo: “Nemmeno una volta è stata pronunciata la parola «liberale» in questo Comitato. […] Noi non abbiamo altra possibilità se non quella di interloquire con il Pd. Ma interloquire per fare cosa? Per fare quello che ci veniva spiegato da altri compagni che poi se ne sono andati: per inocularvi il metodo liberale. Sennò che andiamo a fare nel Pd?” (Maurizio Turco).
Un altro lampo: “Sconfiggere il muro dell’informazione è difficile parlando dell’informazione stessa” (Giulia Innocenzi).
E poi il buio.
Un bel mucchio di roba molto ruminata
Parlare a braccio è pericoloso, soprattutto quando si è sotto pressione, ma Benedetto XVI non vi è sottratto: “Non ho trovato il tempo di preparare una vera omelia” – giovedì 15 aprile, messa coi membri della Pontificia Commissione Biblica – ed è passato al commento di At 5, 29 (“Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini”).
Molto controllato, nessun lapsus. Parole ruminate chissà quante volte in 83 anni. Un bel mucchio di roba molto ruminata.
A metterci le mani dentro, no, non ce la faccio, oggi mi sento piacevolmente fiacco, ma una svolazzatina, giusto per annusare…
“…la suprema istituzione religiosa, alla quale normalmente si dovrebbe obbedire…”.
Normalmente?
Normalmente?
“… è proprio l’obbedienza che dà libertà…”.
Proprio?
[*]
LA SANTA SEDE PENSA DI POTER PRENDERE PER IL CULO IL MONDO
Da oggi, solo da oggi, è possibile leggere le linee guida (1) che la Congregazione per la Dottrina della Fede avrebbe dettato fin dal 2001 – ma c’è di dice che siano del 2003 – circa le procedure da adottare quando vengono denunciati abusi sessuali su minori.
Considerazioni preliminari:
● Sono pubblicate solo in inglese [**] sul sito della Santa Sede, segno evidente che non s’è mai sentita la necessità di tradurle in italiano o in altre lingue. In questa occasione almeno, se prima non se n’era sentito bisogno, per una traduzione multilingue di un testo così breve non sarebbero bastate le 48 ore tra l’annuncio della pubblicazione e la pubblicazione? Non c’è scorregina di Sua Santità su questo o quel sant’uomo del IV secolo o del XII che non sia tempestivamente tradotta in 12 lingue, sarebbe stato troppo sforzo farlo in questa occasione? Non c’è contraddizione nello strombazzarla come fatto notevole e lasciarla alla libera traduzione di tanti potenziali nemici della Chiesa?
● Nel cappello introduttivo c’è il richiamo a un motu proprio del 30.4.2001 (Sacramentorum sanctitatis tutela), reperibile solo in latino (2), e che a sua volta fa un richiamo a quanto stabilito nella Regimini eccleasiae universae (3), una costituzione apostolica del 15.8.1967, perfettamente in linea con la Crimen sollicitationis del 1922 (riveduta nel 1962). Parrebbe – così lascia intendere il preambolo – che queste linee guida siano da applicarsi a due fatti “nuovi”: il nuovo Codice di Diritto Canonico del 1983 e la De delictis gravioribus del 2001.
● Diciamo, dunque, che queste linee guida non sono una novità, ma cercano l’effetto di novità che si vuol dare a direttive che non erano formalmente occulte, ma quasi. Ne fa prova il fatto che fino a pochi giorni fa nessuno aveva mai sentito parlare di tali linee guida, e nessuno vi ha mai fatto cenno, nemmeno fra quanti hanno fin qui difeso a spada tratta la buona fede della Santa Sede e della sua Congregazione per la Dottrina della Fede nel trattare i casi di abusi sessuali su minori da parte del suo clero, e fra questi nemmeno chi meglio tratta l’inglisc e il latinorum.
Di conseguenza, nel leggere questa Guide to Understanding Basic CDF Procedures concerning Sexual Abuse Allegations, dobbiamo tener conto di tre importanti elementi:
● Essa dava (e dà) indicazioni nuove rispetto al passato, ma ad un passato che è da intendersi alla data del 21.5.2001 (De delictis gravioribus) o, meglio, alla data in cui sono dettate le linee guida. E qui – sorpresa! – la Guida non reca data. Perciò resta un dubbio e non è di poco peso: da quando sono da considerare effettivamente in vigore? Secondariamente: su cosa contava chi le vergava per credere che fossero efficacemente recepite da chi – anche tra i vescovi – non avesse troppa dimestichezza con la lingua inglese?
● Si vuol dare l’impressione di una novità che non è affatto “nuova”, con un documento che non riporta data, e di cui solo ora si sa l’esistenza. Queste linee guida non sono affatto – come qualcuno cerca di far credere, eventualmente credendoci – un passo fatto dalla Santa Sede per mettere riparo all’emergenza odierna, ma a quella che afflisse il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinale Joseph Ratzinger, quando negli Usa si cominciavano ad accumulare gli elementi che l’avrebbero chiamato a rispondere di correità.
● Ecco perché la Guida fu scritta in inglese e in inglese restò: era espressamente scritta per un magistrato americano nel tentativo di minimizzare le responsabilità della Congregazione per la Dottrina della Fede, scaricandole sui vescovi diocesani, e di salvare il culo al suo prefetto, che fin lì aveva scansato le segnalazioni che gli arrivavano da Oltreoceano col silenzio e con l’invito al silenzio.
Ma che c’è di “nuovo” in queste linee guida?
● La diocesi locale è tenuta ad indagare su ogni accusa di abuso sessuale su un minore da parte di un religioso. Se l’accusa pare fondata al responsabile della diocesi (che giudica insindacabilmente e, fin qui, senza aver l’obbligo di segnalare ciò che sa all’autorità civile, con ciò impedendo che quanto nelle accuse sia provato vero o accertato come calunnia), il caso è rinviato alla Congregazione per la Dottrina della Fede. La quale – è provato – a volte ha impiegato 5 anni per rispondere, quando ha risposto. Se d’intanto il religioso pedofilo continua a delinquere? Niente paura, il vescovo può predisporre misure cautelative atte a salvaguardare la comunità, “comprese le vittime”. C’è scritto proprio così: “including the victims”, mica per salvaguardare innanzitutto loro.
● Alla segnalazione di un vescovo che segnala un religioso pedofilo attivo nella sua diocesi, la Congregazione si riserva varie opzioni: (1) può autorizzare il vescovo a procedere ad un processo davanti a un tribunale ecclesiastico, che – rammentiamo – continua ad essere vincolato dal “segreto pontificio” sulla materia e gli attori del processo anche dalla De delictis gravioribus, com’era con la Crimen sollicitationis; (2) può istituire una commissione giudicante distaccata con funzione di tribunale ecclesiastico zonale; (3) può direttamente interessarsi del processo; (4) può sottoporre il caso direttamente al papa. Tranne che nel caso (4), il condannato può appellarsi presso la Congregazione chiedendo un nuovo giudizio, ma sia in primo che in secondo grado può essere punito con una sanzione che può arrivare anche alla riduzione allo stato laicale. A fronte di tanti casi oggi venuti a galla, questo non è mai accaduto, nemmeno nel caso più imbarazzante di tutti per la Santa Sede, e cioè quello di padre Marcial Maciel Degollado, e nemmeno per padre Lawrence Murphy, il religioso colpevole di abusi su oltre 200 bambini sordomuti: tutti morti da preti, i preti pedofili, tranne in due o tre casi, spretati dopo che i loro reati erano abbondantemente prescritti presso la giustizia civile.
Altro? Quasi nient’altro, ma resta una simpatica sorpresa nell’ultimo paragrafetto che resta. Conviene riportarlo nella versione originale: “For some time the CDF has undertaken a revision of some of the articles of motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela, in order to update the said motu proprio of 2001 in the light of special faculties granted to the CDF by Popes John Paul II and Benedict XVI”. Non è evidente che il documento abbia avuto qualche ritocco nell’essere finalmente portato a conoscenza dopo la sua prima stesura (nel 2001 o nel 2003 che sia)? Non è dato sapere, ma certo in data successiva all’elezione del prefetto della CDF a “pope”. Cioè quando la sua elezione gli conferiva l’immunità dovuta al capo di uno staqto estero, anche se indagato per “obstruction to justice”. E parliamo della giustizia degli uomini, perché quella di Dio continuava a consentire ai suoi preti di stuprare bambini.
In definitiva, possiamo dire che con la pubblicazione di queste linee guida la Santa Sede pensa di poter prendere per il culo il mondo. O almeno conta sugli uomini di buona volontà disposti a farsi prendere per il culo. Siamo certi che ne troverà.
[*] Pare che il pezzullo sia stato molto letto (grazie ad A. per la segnalazione).
[**] Due giorni dopo avremmo avuto una traduzione in italiano anche sul sito della Santa Sede: 7 anni dopo!
sabato 17 aprile 2010
Pare sia scoppiata la pace
Sono molto contento di non aver scritto neanche un rigo su quella che molti romantici hanno sentito come imminente scissione dei finiani dal Pdl: solo fumo pensavo fosse, solo fumo pare sia stato.
La convinzione che nessuno dei due – né Fini, né Berlusconi – potessero permettersi la scissione l’ho avuta quando ho letto su Dagospia, la scorsa settimana, dell’incontro che v’era stato tra Fini e Ferrara, su invito del primo. Il canale scelto da Fini per mandare il penultimatum a Berlusconi (via Ferrara, via Verdini) rivelava il senso che intendeva dargli: la “resa dei conti” – l’ultimatum – doveva dare la misura che neanche Berlusconi potesse permettersi una scissione (caduta del governo, ogni sorte a rischio), non solo Fini (morte politica, al meno). E chi meglio di Ferrara, il moderno arcitaliano, per mandare il segnale che non voleva tirare la corda fino a romperla, ma che a romperla non si sarebbe fatto male solo lui?
Affidare quel segnale a un La Russa l’avrebbe fatto sembrare un bluff, affidarlo a Ferrara è stato un mostrare le carte dichiarando che avrebbe “visto” qualsiasi bluff di Berlusconi, anche la minaccia di far cadere il governo.
Qualsiasi cosa Fini abbia detto a Ferrara aveva questo senso: una scissione non conviene a nessuno dei due, trattiamo.
Certo, per vedere che le carte di Berlusconi dessero ragione a Fini doveva consumarsi prima il fumo, e s’è consumato: pare sia scoppiata la pace.
Fini avrà qualcosa, per poter continuare a coltivare l’ancora gracile idea di una destra non indecentemente illiberale. Berlusconi avrà la stabilità di governo che gli consente di stabilizzare la sua posizione di strapotere.
Appendice
Pezzi d’artiglieria bruciati nella partita: i “finioti” di Italia Futura – come li chiama Quagliariello (Ottoemezzo, 15.4.2010) – e il povero Feltri.
Pezzi d’artiglieria bruciati nella partita: i “finioti” di Italia Futura – come li chiama Quagliariello (Ottoemezzo, 15.4.2010) – e il povero Feltri.
venerdì 16 aprile 2010
Compleanno e anniversario
Lunedì saranno cinque anni che è papa, ma parlare di lustro suonerebbe ironico. Se è di quelli che ad ogni compleanno tirano un pur rapido consuntivo, poi, già da oggi Benedetto XVI dovrebbe sentirsi di merda. Ma in questi casi la fede aiuta a sentirsi concime.
"L'avvocato aveva chiesto l'assoluzione, asserendo che le dichiarazioni incriminate erano in risposta a una domanda a sorpresa"
Povero avvocato, difendere un chierico è diventato un mestiere difficilissimo e ingrato.
(via Astime)
Il buoncostume della trasparenza
La regola della trasparenza è buoncostume radicale, almeno così è sempre stato fino a gennaio. Facevo notare, a febbraio, che l’audiovideo della Direzione nazionale di Radicali italiani tenutasi ai primi di gennaio non fosse ancora a disposizione su radioradicale.it insieme a tutte quelle precedenti, e oggi, nella apposita sezione d’archivio, a quella del 5 dicembre segue quella del 10 aprile: quella tenutasi a gennaio è da ritenersi secretata.
Non che siano sempre interessanti, quelle Direzioni, ma quella tenutasi in gennaio non poteva non esserlo, perché è da quella riunione che uscì la candidatura di Emma Bonino alla presidenza della Regione Lazio. Documento di un certo valore storico, potremmo dire.
Quando feci notare l’eccezione alla regola, aggiunsi che avremmo avuto a disposizione l’audiovideo di quella riunione solo all’indomani del voto, e nel caso Emma Bonino avesse vinto; e avanzai l’ipotesi che dovesse essere stata una Direzione assai burrascosa, e che alla decisione della candidatura di Emma Bonino si fosse arrivati contro il parere di Marco Pannella, incline a disertare le elezioni regionali per evitare brutte figure.
Nessuno poteva sapere che il Pd avrebbe dato appoggio a quella candidatura, nemmeno Emma Bonino, e il primo a rimanerne sorpreso deve essere stato proprio Marco Pannella, che ha potuto dimostrare di aver ragione solo dopo il cattivo esito della prova elettorale, ma che deve aver sofferto molto fino a quando non ha potuto dimostrarlo.
Rendere pubblici i contenuti di quella Direzione prima del voto sarebbe stato indelicato verso gli alleati e verso quanti fra i radicali speravano in buon esito del voto. Adesso lo sarebbe verso Emma Bonino. È che, quando può vantare di aver avuto ragione contro i suoi, Marco Pannella preferisce farlo in modo discreto, almeno fino a quando non è necessario farlo in modo esplicito.
Non avrei dovuto aggiungere “in caso di vittoria”, e mi pento di averlo fatto. Avrei dovuto scrivere che l’appoggio del Pd alla candidatura di Emma Bonino destinava l’audiovideo di quella Direzione alla secretazione perpetua. Ma questo avrebbe significato avere già in febbraio la certezza che ho solo adesso: non c’è alcun futuro per i radicali in quanto radicali, ivi compreso il buoncostume della trasparenza. La partitocrazia li ha eliminati.
giovedì 15 aprile 2010
Innocente perché
Giacinto Facchetti avrebbe commesso illeciti in tutto uguali a quelli che sono stati addebitati a Luciano Moggi, che perciò sarebbe innocente. Questo riesco a capire di Calciopoli, leggendo i blog juventini.
Roma, maggio 1997
Nel mio archivio di immagini raccolte nel web c’è quella qui sopra, che oggi mi dà modo di fantasticare insieme a voi.
È la primavera del 1997, siamo in Piazza San Pietro: sorridono in posa, il cardinale Joseph Ratzinger e un ragazzino con una t-shirt sulla quale c’è scritto Milwaukee. È una t-shirt di quelle che indossano i pellegrini in visita a Roma, con l’indicazione della diocesi di provenienza.
Da Milwaukee, nei mesi precedenti, erano arrivate ben due lettere a Sua Eminenza, nelle quali il vescovo di quella diocesi, monsignor Rembert Weakland, chiedeva alla Congregazione per la Dottrina della Fede la riduzione allo stato laicale di padre Lawrence Murphy, incorreggibile stupratore di bambini sordomuti. Sua Eminenza non s’era degnato di rispondere a quelle due lettere.
Guardo la foto e mi chiedo: vuoi vedere che monsignor Weakland ha cercato di infrangere quel muro di silenzio inviando al cardinal Ratzinger una vittima di quegli abusi, come allegato di una terza lettera? Certo è che, di lì a poco, la Congregazione cederà alle richieste del vescovo di Milwaukee e consentirà che padre Murphy sia sottoposto a processo (canonico).
Impossibile desumere dalla foto se il ragazzino sia audioleso. Un accenno di pterigio e l’arcata dentaria superiore che fa presupporre un palato ogivale potrebbero anche essere compatibili con una sindrome di Turner, nella quale è frequente la sordità…
Niente, troppo poco, solo fantasie.
Pre-bozze
Riformare, riformare, questa maggioranza ne ha una grande smania. Fisco, giustizia, istituzioni, gli stessi connotati dello Stato, l’Italia dovrebbe uscirne tutta riformata. Questo dovrebbe dare per scontato che questa maggioranza – o almeno chi la guida – abbia un progetto di società, un disegno che la rappresenti, e che progetto e disegno siano tanto chiari da produrre una visione, sia pure virtuale, chessò, due righe, uno schemino…
Macché, sulle riforme da fare urgentemente – Cetto Laqualunque aggiungerebbe “comunquemente” – questa maggioranza non ha uno straccio di traccia. Cioè, detto col garbo del notista politico di classe: “Sarebbe imprudente ignorare che per ora non esiste un progetto della maggioranza. Anzi, a sentire il ministro Ignazio La Russa, «siamo alle pre-bozze» della riforma” (Corriere della Sera, 15.4.2010).
Cosa siano le pre-bozze, non so. A volte, ascoltando gli uomini di questa maggioranza, avverto in loro la smania di riformare pure il dizionario. E tuttavia, a naso, pre-bozza dovrebbe significare al massimo due righe, forse pure sprovviste di schemino. E allora mi pare evidente che queste patetiche macchiette, pericolose come tutte le iperboli della miseria umana, vadano nutrendo smanie di riforme senza neanche sapere un cazzo del come. È un impietoso squarcio di luce su una classe politica di merda.
Il progetto di società di questo centrodestra non sa che esprimere pre-bozze, e siamo all’ora X, mica al ruminamento convegnistico. Al confronto, le riformucce della Prima Repubblica appaiono costruzioni titaniche, i ritocchetti allo statu quo degli anni ’60 e ’70 appaiono ardite rivoluzioni, il Piano di rinascita democratica di Gelli appare un affascinante trattato di filosofia politica.
Persi nello slip di un bambino, manco danno più una ripassatina ai vangeli
La vicenda relativa alla mensa scolastica di Adro prende una piega interessante. Finora, infatti, offriva spunto solo a una questione che in senso lato è politica, e cioè se fosse adeguatamente motivato e opportuno applicare il no meal is for free di Milton Friedman nella sospensione dei pasti ai figli di quanti in arretrato nel pagamento della retta.
Questione politica, ma anche sentimentale, e a ragione, perché anche il più selvaggio dei liberisti non può rigettare l’impegno della collettività nell’assicurare ad ogni individuo, e almeno nei servizi essenziali, una parità “in partenza”. Sentimentale, dunque, non già (e non solo) perché c’erano di mezzo dei ragazzini e la loro vulnerabilità psicologica, ma anche, e a priori, per il patente consumarsi di un abuso dei confronto di individui discriminati “in partenza”.
Ridotto l’elemento emotivo al piano della ragione, possiamo riconoscere meglio quali fossero le opinioni in campo: da un lato, il familismo, che in un figlio non sa vedere altro che il membro di una famiglia, destinato al benessere (fino al lusso) o al malessere (fino alla fame) che dipendono dai mezzi materiali che sono nella disponibilità di quella famiglia; dall’altro, molto sentimentalismo. Voglio dire: non ho sentito una sola voce liberale – se mi è sfuggita, faccio ammenda – che argomentasse contro la decisione del sindaco di Adro, in quanto liberale, e cioè contrario a porre disparità “in partenza” tra individuo e individuo. Qualche sedicente liberale ha parlato, sì, ma solo per dire che il liberismo deve saper essere anche compassionevole. Liberali dei miei coglioni.
Sempre meglio del grugnito leghista, tuttavia.
Sarà che sono distratti da guai grossi, ma stavolta i vescovi italiani non hanno rotto molto il cazzo su questa questione, che – abbiamo detto – è politica. Non c’è stata troppa ingerenza, diciamo. E sì che avrebbero legittimamente potuto urlare dai tetti che Cristo ha detto di dare da mangiare agli affamati, eccetera, quale laicista avrebbe potuto far più che arricciare il naso?
Voci sparse, anche autorevoli, ma non quel coro ben orchestrato che abbiamo udito in altre occasioni. Nemmeno in relazione alla piega interessante che ha preso la vicenda. È accaduto, infatti, che un benefattore si sia offerto di pagare la retta della mensa scolastica ai bambini cui il sindaco di Adro aveva sospeso i pasti, e questo ha scatenato le reazioni dei genitori che erano in regola coi pagamenti: “Non è giusto. Paghi la retta anche per noi”.
La disparità di trattamento era considerata motivata e opportuna, evidentemente: quando è venuta meno per il generoso intervento di un compassionevole, i paganti si sono sentiti vittime di una discriminazione, subito sentita immotivata e inopportuna. Su questo sarà meglio ch’io non mi esprima, perché risulterei sgradevole.
Ma qui, proprio a questo punto, la voce della Cei sarebbe stata necessaria fino all’indispensabile, perché la Parabola dei lavoratori della vigna (Mt 20, 1-16) parla chiaro: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te. Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”.
Sarebbe stata una grande lezione di morale cristiana agli invidiosi della bontà. E invece niente. Persi nello slip di un bambino, manco danno una ripassatina ai vangeli. Cristiani dei miei coglioni.
mercoledì 14 aprile 2010
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