domenica 18 aprile 2010

L’azione della grazia eucaristica


L’ultima timida voce in favore dell’eucaristia ai divorziati s’era udita, fra le alte gerarchie vaticane, nel corso dei lavori preparatori del Sinodo dei Vescovi del 2005, ma il relatore generale, il cardinale Angelo Scola, fece subito capire, fin dalla sua relazione introduttiva, che su quel punto c’era poco da discutere. Segnalando con preoccupazione e una puntina di sdegno “la diffusa tendenza alla comunione eucaristica dei divorziati risposati, al di là di quanto indicato dall’insegnamento della Chiesa”, rimandò a un testo della Congregazione per la Dottrina della Fede del 1994, ultimo di una lunga serie di testi ufficiali licenziati dalla Santa Sede che l’avevano bollata come “inammissibile”. A questa inflessibilità – spiegava l’allora cardinale Joseph Ratzinger, autore del testo – la Chiesa era obbligata per “fedeltà assoluta alla volontà di Cristo”.

Nel commentare il fatto che “il divorziato Berlusconi fa la comunione al funerale di Vianello”, io chiuderei un occhio sul prete. Parlo da laico, per giunta non credente, e so bene che contravvenire alle norme che regolano un sacramento è cosa grave, e tuttavia mi auguro che anche la Santa Sede sappia essere indulgente, almeno per mostrarsi equanime, giacché nessun provvedimento raggiunse il prete che somministrò l’eucaristia a Berlusconi al funerale di Craxi.
Idem sulla confessione. Dovrebbe sempre precedere l’eucaristia, a Segrate, a Tunisi, ovunque, ma eviterei di imbarazzare il prete che oggi ha somministrato l’eucaristia a Berlusconi, per non imbarazzare pure quello che gliel’ha somministrata la scorsa volta: imbarazzare più di un prete alla volta configura gli estremi di attacco alla Chiesa in toto, evitiamo.
Parliamo del divorziato che non si rassegna a “quanto indicato dall’insegnamento della Chiesa”.

In questo caso, si tratta di un divorziato che non tollera alcun genere di limite o freno alle sue voglie, e che ha dato larga prova di riuscire sempre ad ottenere ciò che vuole, in un modo o in un altro: quando qualcuno gli fa presente che la norma lo considera “inammissibile”, se può, cambia la norma, sennò la aggira, come può.
Qui è in questione una cosa cui tiene tanto, e si può capire: la comunione ti fa personcina che ha confessato i propri peccati ed è stata assolta. Nel mostrarti mentre prendi l’eucaristia compri una coscienza da poter esibire a quanti ne hanno una decente almeno quanto la tua. Si può capire che “quanto indicato dall’insegnamento della Chiesa” conti solo fino a un certo punto.

Solo fino a un certo punto, ma non nulla del tutto. A monsignor Sebastiano Sanguinetti, nel giugno del 2008, chiedeva: “Eccellenza, perché non cambiate le regole per noi divorziati e ci permettete di fare la comunione?”. Due giorni dopo gli rispondeva Benedetto XVI in persona: “Il peccato grave si oppone all’azione della grazia eucaristica”. Più spietato di una Corte Costituzionale, ma Berlusconi mica aveva chiesto l’azione della grazia eucaristica, aveva chiesto solo di potersi mostrare come personcina dalla coscienza conformisticamente decente. Spietato e insensibile, il vecchio.
Ma come pretendere che uno come Berlusconi rinunci ad esibire una coscienza decente almeno quanto quella dei telespettatori? Si trattava di una diretta su Rai e Mediaset, cribbio. Chiudo un occhio pure su di lui, come sul prete. Non vorrei ad essere solo io, laico, per giunta non credente, a sostenere che l’azione della grazia eucaristica non è la grandissima cazzata che è.   

5 commenti:

  1. Eh, già. Perché, se un divorziato fa la comunione, poi sanguina il cuoricino del bambin gesù ....

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  2. Nel vedere quella scena da madre pietosa recitata in occasione dei funerali mediatici non avevo fatto caso alla comunione.
    Delle due l'una: o il premier è legibus solutus anche di fronte a Dio, e allora può accostarsi ai sacramenti come e quando vuole, oppure la Chiesa, per non cadere in contraddizione con se stessa e con i suoi fedeli, dovrebbe prendere una decisione coerente.

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  3. L'Esortazione Apostolica Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II :
    http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/apost_exhortations/documents/hf_jp-ii_exh_19811122_familiaris-consortio_it.html
    che al punto 83 dice:

    d) Separati e divorziati non risposati

    83. Motivi diversi, quali incomprensioni reciproche, incapacità di aprirsi a rapporti interpersonali, ecc. possono dolorosamente condurre il matrimonio valido a una frattura spesso irreparabile. Ovviamente la separazione deve essere considerata come estremo rimedio, dopo che ogni altro ragionevole tentativo si sia dimostrato vano.

    La solitudine e altre difficoltà sono spesso retaggio del coniuge separato, specialmente se innocente. In tal caso la comunità ecclesiale deve più che mai sostenerlo; prodigargli stima, solidarietà, comprensione ed aiuto concreto in modo che gli sia possibile conservare la fedeltà anche nella difficile situazione in cui si trova; aiutarlo a coltivare l’esigenza del perdono propria dell’amore cristiano e la disponibilità all’eventuale ripresa della vita coniugale anteriore.

    Analogo è il caso del coniuge che ha subito divorzio, ma che – ben conoscendo l’indissolubilità del vincolo matrimoniale valido – non si lascia coinvolgere in una nuova unione, impegnandosi invece unicamente nell’adempimento dei suoi doveri di famiglia e delle responsabilità della vita cristiana. In tal caso il suo esempio di fedeltà e di coerenza cristiana assume un particolare valore di testimonianza di fronte al mondo e alla Chiesa, rendendo ancor più necessaria, da parte di questa, un’azione continua di amore e di aiuto, senza che vi sia alcun ostacolo per l’ammissione ai sacramenti.

    Questo significa che formalmente Berlusconi se ATTUAMENTE non convive con nessuna donna e si è confessato non dovrebbero esserci particolari impedimenti alla comunione?

    Pietro

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  4. "Quindi, se un divorziato si risposa
    con successo, nel senso che col secondo coniuge
    trova finalmente il suo equilibrio, la
    comunione non gliela si può dare. Se invece
    ridivorzia, allora potrà di nuovo avvicinarsi
    all’altare perché «è tornato a una situazione,
    diciamo così, ex ante». In teoria
    uno potrebbe passare da un matrimonio all’altro
    senza mai smettere di comunicarsi,
    purché abbia cura di farlo negli intervalli" (Massimo Gramellini, La Stampa, 22.4.2010).

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