lunedì 12 aprile 2010

Il presidente e il feticcio


Due vecchi libri - Di una riforma costituzionale in senso presidenzialista si parla da quasi mezzo secolo. Sul finire degli anni Cinquanta e nei primi anni Sessanta cominciò Pacciardi, ma qualche accenno vi era già stato in Valiani e in Calamandrei; una decina d’anni dopo ne parlò Sogno; poi fu Gelli, nel suo Piano di rinascita democratica, scritto a cavallo tra gli anni Settanta e gli Ottanta; poi ne parlarono Almirante, Craxi, Miglio, Segni, Fini, D’Alema…

[Ecco, per dichiarare da subito donde nasce questo post, dico che, fra i tanti, è in Gianfranco Miglio (Come cambiare, Mondadori 1992) che si trova il nodo che si ripropone qui e ora. Ma di questo, poi.]

Oggi è Berlusconi che torna a parlarne e, ancora una volta, com’è sempre stato, si pone la questione del modello che, levata la tara, può essere – pare – solo francese o americano (centralista o federalista). E qui, per l’attuale quadro politico italiano, mi pare si pongano difficoltà non inferiori a quello del tabù dell’intangibilità della Costituzione, che ha sempre fatto abortire l’idea. Perché non c’è dubbio che Berlusconi abbia in testa un presidenzialismo di tipo gollista, mentre la Lega (senza la quale ormai non si può mettere mano alla Costituzione) fa chiaramente intendere che non è intenzionata ad appoggiare quel modello.

[Potremmo rintracciare tracce un elemento storico di questa ostilità leghista ad un presidenzialismo di tipo centralista in un altro volume, stavolta di Umberto Bossi: “Berlusconi è la materializzazione di un sogno antico, accarezzato da quel tale Licio Gelli. Andate a rileggervi il Piano di rinascita...” (Tutta la verità, Sperling & Kupfer 1995). E tuttavia l’Italia non è paese nel quale un libro possa impegnare chi l’ha scritto.]

Siamo ai preliminari - Ancora siamo ai preliminari, in quella fase in cui tutti – anche una consistente parte delle opposizioni – si dicono disposti a parlare di presidenzialismo senza pregiudizi, con pragmatismo aperto a innovazioni sostanziali, in realtà per non consegnarsi ad una mortifera irrilevanza. E però già si profilano linee di tendenza che, salvo colpi di mano, dovrebbero portare ancora una volta all’accantonamento della questione, per lasciare a Berlusconi quel presidenzialismo che i suoi alleati leghisti sono disposti a concedergli di fatto (come già è avvenuto in molte occasioni), ma non sulla carta, dove sarebbe impegnativo oltre Berlusconi (e soprattutto dopo Berlusconi).
È ancora presto per parlarne, ma è inevitabile che se ne parli, perché parlare della partita nel mentre si dispongono i pezzi sulla scacchiera fa pretattica, saggi gli umori e serve a riscaldare i giocatori. E tuttavia, levata la tara, ad impedire una riforma costituzionale in senso presidenzialista, o a farne passare una che non è affatto quella che Berlusconi ha in testa (naturalmente mettendo a rischio il governo), pare possa essere solo la Lega (naturalmente mettendo a rischio il governo), con l’ennesimo bizzarro paradosso della politica italiana: chi parte per destabilizzare finisce per stabilizzare (“bisogna che tutto cambi perché tutto resti uguale”).

[Paradosso solo apparente, perché se il leghismo fotografa una mutazione nella cultura e nel costume prim’ancora che nella politica, gli italiani restano italiani, anche quando si fanno chiamare padani: sono animati da un elemento identitario che non può essere nazionale, e che dunque non si può identificare in un potere prevalente che si ponga (anche se con legittimità costituzionale, in qualsivoglia modo si cerchi di bilanciarlo) al di sopra delle parti, per rappresentarle tutte in una sola figura istituzionale. L’Italia non è mai stata una, probabilmente non lo sarà mai.]

E dunque? - Senza una riforma del sistema elettorale non ha alcun senso riscrivere la Costituzione in senso presidenzialista. Il bilanciamento ai poteri del presidente sarebbe in realtà nullo da parte di parlamentari che con la “porcata” vigente sono scelti dallo stesso presidente: gli bilanciano un beneamato cazzo, e scusate il colore.
Faccio fatica a immaginare una riforma costituzionale tanto profonda senza nuove elezioni con sistema proporzionale e senza una proporzionata costituente a deciderla. Possiamo (e forse dobbiamo) rivedere la Costituzione, ma a sbagliare il metodo non si fa nulla o ne esce un pericolosissimo pastrocchio, fotografia di un’Italia che non è mai stata una, e probabilmente non lo sarà mai, ma che è a un passo dal dissolversi, da sempre.
Tante distinte identità, tutte di forte impronta familistico-tribale, possono essere rappresentate da uno o più feticci del potere, non già da un presidente americano o da un De Gaulle. Vedrete, anche stavolta se ne farà a meno. Al momento, il feticcio non manca. Poi si vedrà.

[Può darsi che questo post sia stato eccessivamente influenzato da un’intera notte passata a rileggere Giuseppe Prezzolini.]

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