Alcuni lettori mi hanno chiesto di commentare un articolo a firma di Melania Rizzoli, medico e deputato del Pdl, apparso oggi su il Giornale (Il feto sopravvissuto? È l’aborto choc che nessuno racconta). Devo premettere che avevo intenzione di intrattenermi sulla vicenda trattata nell’articolo già prima che mi fosse chiesto, però prendendo spunto da quanto oggi vi ha dedicato Avvenire (un editoriale di Assuntina Morresi, a pag. 2, e tre pezzi a pag. 4), robetta un po’ più seria, ma nemmeno troppo, e dunque partirò proprio da quanto leggo su il Giornale:
“Il cappellano del nosocomio di Rossano, in provincia di Cosenza, sabato scorso aveva saputo che la mattina presto era stato eseguito un aborto terapeutico nel suo ospedale, e verso le 12, dopo aver celebrato la messa e aver fatto il giro dei malati nelle corsie, si è avviato nella sala operatoria dove era avvenuta l’interruzione di gravidanza, per pregare per un’altra anima mai venuta al mondo. Il prete si è avvicinato al tavolo di metallo dove, in un fagottino di tela bianca, era stato deposto il feto di 22 settimane abortito da oltre quattro ore… e con orrore ha notato un movimento. Quando ha scostato il telo ha potuto constatare che il feto non solo non era morto, ma era ancora vivo”.
Lasciando da parte ogni considerazione sulla suspense affidata ai puntini sospensivi e sull’omaggio a Lapalisse (“non solo non era morto, ma era ancora vivo”), molte cose non quadrano.
Violazione della privacy: un cappellano in servizio in un ospedale non ha alcun diritto di accedere a informazioni come quelle che qui gli sono state date dal personale sanitario o parasanitario (sennò da chi?).
Violazione delle norme igieniche: non si può accedere liberamente in una sala operatoria se non si è medico o infermiere, ed è superfluo rilevare che l’esser prete non autorizza a entrare, ispezionare, toccare, ecc.
Prima di mettere da parte l’articolo della Rizzoli, però, c’è da segnalare un grave tentativo di disinformazione:
“Casi del genere succedono di frequente. Proprio così. Una gravidanza regolare dura quaranta settimane, per cui se un feto viene abortito oltre la metà delle settimane di gestazione, ma spesso anche prima, è molto probabile che nasca vivo. Anzi molto spesso nasce vivo”.
Bene, questo è falso: è molto probabile che nasca morto, anzi molto spesso nasce morto. Non sopravvive più del 2% dei feti nati a 21 settimane, non più del 5% a 22, non più del 12% a 23 e, in caso di feti con gravi malformazioni (è il caso di Rossano), queste percentuali hanno un drastico abbattimento.
Ma questo non è ancora il problema vero, credo. Il problema vero è che qui, ammantandosi di sentimentalismo, la disinformazione cerca di distogliere l’attenzione dai fatti.
In primo luogo, il feto in questione era gravemente malformato: se in grado di arrecare danno alla salute fisica e psichica della gravida, questa condizione è ragione sufficiente perché ella possa chiedere e ottenere l’interruzione della gravidanza (legge 194/1978, art. 6).
Pesava 300 grammi, il feto: in un’epoca gestazionale alla quale solitamente un feto pesa il 35-70% in più, questo rende estremamente probabile che le gravissime malformazioni di cui era portatore fossero incompatibili con la sopravvivenza a medio termine. In più, non si ha notizia di feto di così basso peso sopravvissuto più di 48/60 ore dall’espulsione, anche se sottoposto a forsennato accanimento terapeutico.
Un medico come la Rizzoli dovrebbe sapere tutto questo, ma è molto probabile che, quando scrive per il Giornale, se lo dimentichi, tutta presa da un fervore ideologico che la spinge addirittura a usare citazioni a cazzo di cane:
“In proposito mi vengono solo in mente i versi del poeta francese Guillaume Apollinaire il quale, scrivendo delle madri rinunciatarie, recitava: «Mettono bruscamente al mondo dei bambini, che hanno appena il tempo di morire»”.
Si dà il caso, infatti, che qui (Calligrammes, 1918) Apollinaire stia parlando dei giovanissimi caduti in guerra e delle madri che non hanno fatto in tempo a metterli al mondo per perderli al fronte, ancora giovanissimi. Tutt’altro che “rinunciatarie”, insomma.
Che dire? Che si cavalca e si strumentalizza di tutto pur di.
RispondiEliminaMi chiedo, da donna e da madre, come si può sentire in questo momento quella donna, che ha scelto per motivi suoi e insindacabili di non portare avanti la gravidanza e non credo possa essere stata una decisione presa con leggerezza, a vedersi ora alla gogna pubblica. Sono disgustata da queste cronache del dolore, non dico della tua, che riporti i fatti con considerazioni condivisibili, ma da chi non si preoccupa di sbattere il "mostro" in prima pagina. Silenzio e rispetto del dolore: per qualcuno ma non per tutti.
S'ha da essere proprio dei fanatici per falsificare e manipolare così vistosamente e grossolanamente.
RispondiEliminaÈ usuale lasciare morire i rari feti sopravvissuti in sala operatoria (e tenerla occupata fino al decesso) come dice la Rizzoli? Mi sembra assurdo su ogni piano.
RispondiEliminaIl racconto del cappellano che arriva in sala parto, scosta il telo e - orrore! - scopre il feto ancora vivo, assomiglia tanto a un "nanetto" edificante di "sani gesualdi" (vd. Nino Frassica in "Quelli della notte"). Stessa struttura, stesso fine apologetico, stesso grado di attendibilità.
RispondiEliminaUn medico con uno spiccato senso dello humor e pure della privacy altrui, avrebbe potuto mettere un bel cartello, sotto quel telo, con la scritta "merda per i curiosi!", come si faceva da bambini nei confronti dei compagni di scuola ficcanaso, che avevano il brutto vizio di frugare inopportunamente nelle cose altrui.
Avevo scritto una cazzatina delle mie, avendo letto la notizia su Repubblica.
RispondiEliminahttp://www.repubblica.it/cronaca/2010/04/26/news/feto_in_vita_20_ore_dopo_l_aborto_la_curia_sanitari_superficiali-3643820/
Io concordo con te su quasi tutto di quello che hai scritto di questa vicenda. Però c'era una frase nell'articolo di repubblica che mi ha fatto scrivere di barbarie, ed è questa:
"La legge prevede l'aborto terapeutico - si lascia sfuggire uno dei sanitari che intende mantenere l'anonimato - ma nei casi in cui il feto dovesse rimanere in vita va almeno tenuto in una termoculla".
Io la legge non la conosco, ma se è vero quello che dice questo medico, lì non ha sbagliato solo il cappellano.
Se il bambino nasce vivo immagino che le cure che gli vengono prestate siano le stesse sia che si tratti di parto prematuro che di parto indotto per un aborto terapeutico. O sbaglio?
RispondiElimina@ Paolo C
RispondiEliminaCerto, gli sono dovute cure, ma non devono configurare - come per chicchessia - accanimento terapeutico: se le condizioni cliniche sono tali da escludere ogni buon esito delle cure, il prolungamento di quella che è da considerare una agonia diventa sadismo travestito da pietà. Poi c'è anche un'altra questione: nei feti espulsi in bassa epoca gestazionale è assai difficile la diagnosi di avvenuta morte, c'è una possibilità di errore anche quando il feto è espulso per aborto spontaneo (o parto spontaneo in bassa epoca gestazionale).
Insomma, è più grave che i medici abbiano violato la privacy della donna: consiglierei di non azzardare l'ipotesi di negligenza a loro carico, soprattutto in mancanza di rudimenti medici e di dettagliata anamnesi.
Provo a immaginare - solo a immaginare - che "gravi malformazioni" possa significare, per esempio, il complesso oloprosencefalico raffigurato in foto, con frequente associazione di patologie cardiache non correggibili chirurgicamente: perché prolungare la sua agonia, se sarebbe comunque destinato a morire all'uscita dall'utero, quand'anche a nove mesi finiti?
Ancora non ho trovato un solo abortista che sappia giustificare perché un feto abortito, volontariamente, non debba, per principio, essere accudito, curato, fatto crescere. La scienza medica e la tecnologia sanitaria compiono continui progressi per consentire la gestazione extrauterina ed è prevedibile che, in un non lontano futuro, sia addirittura possibile permettere che l'intero processo di sviluppo dell'embrione si svolga in placente artificiali. Tuttavia, agli abortisti sembra che questo non piaccia o che lo ignorino deliberatamente, come se li imbarazzasse l'idea di dare una possibilità a chi non è voluto nemmeno dalla propria madre. Ho sentito addirittura qualcuno argomentare che per la madre che ha abortito, l'idea che il feto possa sopravvivere è un vero e proprio trauma e che, quindi, il benessere psicologico della madre impone non solo l'aborto in sé (che è già una prevaricazione indegna sui diritti di un'altra persona, per giunta indifesa), ma la sua deliberata soppressione.
RispondiEliminaLei dice un sacco di sciocchezze. In primo luogo, un "feto abortito" è morto per definizione, dunque non può essere "accudito, curato, fatto crescere". Probabilmente, accanto al difetto logico lei ne mette uno lessicale: intende riferirsi ad un feto fatto nascere prima del termine e, nonostante ciò, in grado di essere autonomo. Bene, in questa fattispecie l'autonomia del nato non confligge con l'autonomia della donna e dunque il diritto ad interrompere la gravidanza non è posto in questione. Mi spiego in modo più semplice perché la rozzezza del suo argomentare mi fa presumere che lei non riesca ad afferrare il principio qui descritto in assunto: il diritto all'aborto è diritto all'autodeterminazione della donna sul proprio corpo. In altri termini: se una donna non vuole un figlio, provvederà a interrompere la gravidanza in un'epoca gestazionale assai antecedente a quella oltre la quale il feto è in grado di una vita extrauterina autonoma; in caso contrario, non è costretta a riconoscere il neonato; e quindi lei straparla, perché ad un feto fatto nascere prima del termine e, nonostante ciò, in grado di essere autonomo non è mai negata la possibilità di essere accudito curato e fatto crescere. In quanto al prospettare che "in un non lontano futuro sia addirittura possibile permettere che l'intero processo di sviluppo dell'embrione si svolga in placente artificiali", consenta che le rida in faccia, perché l'embrione dovrebbe essere comunque il risultato della fecondazione di un ovulo e di uno spermatozoo: si darebbe il caso, cioè, di una donna che doni un suo ovulo e di un uomo che doni un suo spermatozoo per dar vita ad un embrione che non vogliono. L'ultima sciocchezza che ha scacazzato è nell'implicito dell'embrione come persona: falso sul piano biologico e su quello giuridico.
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