lunedì 24 maggio 2010

Non gli si può dar torto, stavolta


Giuliano Ferrara si dice “scettico sul destino della legge che regola e limita le intercettazioni”, perché pensa che “sarà stravolta al punto da consentire che tutto prosegua come prima”, con la pubblicazione di “quelle trascrizioni orrende” che istigano al “disprezzo per la vita privata delle persone pubbliche”, malvezzo di un “giornalismo tarato” che non ha analoghi altrove: “altrove, anche dove esistono mafie e criminalità organizzate, anche dove accadono fenomeni di lobbying e di corruzione politica, non si usa pubblicare lenzuolate di intercettazioni” (Il Foglio, 23.5.2010).
Non gli si può dar torto, stavolta. Anzi, per dar misura di quanto abbia ragione, qui produrrò un esempio.

Nell’estate del 1988, un ex militante di Lotta Continua, Leonardo Marino, ha un pentimento assai tardivo e afferma di essere stato esecutore materiale, insieme a Ovidio Bompressi, dell’omicidio di Luigi Calabresi, su mandato di Adriano Sofri e di Giorgio Pietrostefani. I quattro vengono arrestati e uno dei telefoni che viene messo sotto controllo è quello di casa Sofri. L’ipotesi degli inquirenti è che gli ex militanti di Lotta Continua, organizzazione politica ormai sciolta da tempo, siano ancora legati fra di loro in una lobby che non tarderà a muoversi in soccorso di Sofri, Bompressi e Pietrostefani: dalle intercettazioni si aspettano di raccogliere elementi che possano in qualche modo confermare l’accusa di Marino.
Fra le trascrizioni di queste telefonate, agli atti del processo, ce n’è una che Giuliano Ferrara fa a Randi Krokaa, compagna di Sofri, il 28 luglio di quell’anno. È riportata in una gustosa biografia di Ferrara, di cui ho più volte lamentato nel mio intimo la troppo tardiva pubblicazione (Pino Nicotri, L’arcitaliano, Kaos Edizioni 2004). La riporto qui di seguito.
G.F. Pronto, Randi.
R.K. Sì…
G.F. Sono Giuliano.
R.K. Oh, Giuliano. Ti volevo cercare, non sapevo dove cercarti.
G.F. Mi hanno cercato… Ero a casa, tesoro, ero a casa. Mi hanno cercato Marco Boato e […] della cosa, e mi hanno detto... Adesso cerchiamo subito di combinare una cosa su queste...
R.K. Eh, cioè, insomma, perlomeno di…
G.F. No, pensavo di fare un’intervista a Marco per il Corriere (adesso devo chiamare il Corriere e vedere se mi danno lo spazio), in cui si racconti tutta la storia, diciamo, del tentativo che nel corso degli anni c’è stato, ripetuto, eccetera, di coinvolgere... e tutto è sempre andato in bolle di sapone. Capito? Perché mi sembra la cosa più utile fare una cosa (...) in cui, con un personaggio come Marco, in fondo abbastanza integrato, e poi che sa parlare un linguaggio istituzionale...
R.K. Appunto…
G.F. … parla di questa vicenda dicendo: «No, ma guardate, queste sono pazzie»... Mi sembra la persona più giusta...
R.K. Sì, sì, indubbiamente…
G.F. Senti, Adriano è andato via tranquillo, mi ha detto Marco...
R.K. Sì, cioè, aveva un bel giramento di coglioni, diciamo.
G.F. Immagino.
R.K. No, perché già mi ha telefonato un giornalista, amico nostro, qui di Firenze, che gli hanno telefonato da la Repubblica a Roma, chiedendogli: «Ma è vero che hanno arrestato Sofri nella sua villa toscana?». Insomma, queste cose qui, guarda… mamma mia, che palle…
G.F. Insopportabili. Io sono ossessionato da giornalisti che hanno pubblicato le mie foto nude al mare.
R.K. Sì, sì, me ne hanno parlato. Io non sono riuscito a vederle, e le voglio vedere assolutamente.
G.F. E allora devi prendere Gente e Eva Express
R.K. Va bene…
G.F. Portale anche ad Adriano a San Vittore…
C’è prova, come per le altre telefonate agli atti del processo, dell’esistenza di una lobby, ma nulla di compromettente v’è sul piano penale, né a carico di Sofri, né a carico degli intercettati. L’esempio riportato è solo – e questo è il primo punto sul quale bisogna dar ragione a Ferrara – una “trascrizione orrenda”, che istiga al “disprezzo per la vita privata di una persona pubblica” – lo stesso Ferrara, in questo caso – che trova il modo di parlare delle sue “foto nude al mare” in un drammatico frangente come quello dell’arresto di un amico, spingendo la sua vanità e il suo egocentrismo fino alla richiesta di mostrarne copia a un poveretto che è in carcere e che presumibilmente avrà ben altri cazzi per la testa cui pensare.
Il secondo punto sul quale bisogna dar ragione a Ferrara è relativo al fatto – così scrive – che “siamo un paese impazzito”. In quale altro paese, infatti, se ti arrestano un amico, per consolarlo gli mandi le tue “foto nude al mare”?

"Obama salva il Papa"?


La sintesi giornalistica – “Obama difende la Santa Sede”, “Obama salva il Papa”, ecc. – è buona solo per i titoli. In realtà, basta poco per capire che l’iniziativa della Casa Bianca presso la Corte Suprema – in appoggio alla tesi difensiva del legale della Santa Sede, contro quella accusatoria del Tribunale distrettuale dell’Oregon, recepita dalla Corte d’appello federale – è un atto dovuto, congruamente motivato da ragioni che sono di natura squisitamente giuridica e che, pur assecondandole, precedono di gran lunga quelle di natura politica e diplomatica.
Il caso in oggetto presenta un’analogia con quanto avvenne con l’amministrazione Bush, nel 2005, anche se l’analogia sta solo – ma non è poco – nel principio che, anche qui, a fronte delle istanze poste dall’ipotesi accusatoria che un Tribunale distrettuale avanza nei confronti di un capo di stato estero, la Casa Bianca è tenuta a far valere, per ribadire l’esclusività di tale prerogativa.
Oltre questa analogia, tutto è diverso: in Texas, nel 2005, il processo era in sede civile; si discuteva di fatti avvenuti quando Joseph Ratzinger non era ancora un capo di stato estero; la denuncia nei suoi confronti era a titolo individuale, e non in quanto prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede; infine, la questione non pendeva dinanzi alla Corte Suprema, ma dinanzi al Presidente degli Stati Uniti, il solo a poter concedere l’immunità ad un capo di stato estero.
Stavolta la questione è un po’ diversa, come sottolinea l’avvocatura della Casa Bianca: “La Corte d’appello [federale] ha errato nel ritenere che il Tribunale distrettuale [dell’Oregon] abbia la giurisdizione per discutere le accuse nei confronti della Santa Sede a causa degli abusi sessuali commessi da un prete”, perché – come opposto dai legali della difesa – “i contestati abusi sessuali non rientrano nella finalità dell’impiego del prete” ed è per questo – solo per questo, ma mi pare di poter dire che non sia poco – che viene meno ogni possibilità di coinvolgere il rappresentante di uno stato straniero nei risvolti penali della “finalità d’impiego” di un “lavoro dipendente”. L’ipotesi accusatoria è stata costruita in modo pedestre, diciamocelo chiaramente.
La stessa cosa è accaduta anche in Kentucky, e anche in questo caso la questione è stata portata dinanzi alla Corte Suprema, nello stesso periodo, verso fine marzo: qui non sappiamo se l’ipotesi accusatoria si sia basata, come in Oregon, su quel “rapporto di impiego” che vi sarebbe tra papa e sacerdoti, fatto sta che non abbiamo notizia di analoga iniziativa degli avvocati della Casa Bianca. Seguirà a breve, senza meno, ma anche qui, quand’anche i legali delle vittime abbiamo costruito una più solida argomentazione, rimane l’insormontabile l’ostacolo posto dai privilegi di cui gode un capo di stato estero come il papa.

È qui che si rilevano ridicole – mi pare – le fantasie di chi immagina un papa sul banco degli imputati. Praticamente impossibile. E meno male, aggiungo. Sul piano propagandistico – e la propaganda è tutto per le autocrazie – la cosa tornerebbe di enorme vantaggio alla Santa Sede, qualunque fosse l’esito del processo, anche se celebrato in contumacia.
A un anticlericale serio torna assai più utile che la Chiesa di Roma si mostri ancora una volta, come sempre, salda nei suoi “odiosi privilegi”, priva di ogni scrupolo pur di difenderli, e felicemente amorale, forte di quel potere che costringe lo stato a fare i conti, prima che con la ragion di stato, con le procedure del diritto internazionale, in quell’inestricabile connubio di interessi che sacrifica senza pietà i poveracci. Incontestato, infatti, si legge su Wikipedia: “La Santa Sede è il Governo del Vaticano e come tale ne esercita i diritti diplomatici attivi e passivi. Lo Stato della Città del Vaticano e la Santa Sede sono entrambi soggetti sovrani di diritto pubblico internazionale, universalmente riconosciuto e sono indissolubilmente uniti nella persona del Papa, monarca assoluto per via elettiva, che è il Capo dello Stato. Pertanto il Vaticano non ha una vita politica propria, che non sia perfettamente combaciante con l’attività della Santa Sede. Se ne deduce che il Vaticano deve rimanere soggetto alla pienezza assoluta del Pontefice”. Ed è per questo che gli “odiosi privilegi” del papa tornano utili a chiunque voglia sottolineare la natura più intima dell’autocrazia che incarna.
E dunque la notizia che giunge dagli Stati Uniti è un’ottima notizia: un papa processato e condannato sarebbe un Crocifisso vivente; processato e assolto sarebbe un Cristo trionfante; improcessabile e impunito rimane emblema dell’arroganza e della prepotenza, come d’altronde è, ed è utile venga visto.



Nota
A parte, e per chiarire che questo post non vuole neanche indirettamente portare buone ragioni alla Casa Bianca, vorrei rammentare che questo blog non ha mai speso eccessive simpatie per Obama, né prima né dopo la sua elezione. Anzi, anche quando si è trattato di considerarlo “meno peggio” del suo sfidante nella corsa alla presidenza degli Stati Uniti, qui non si è mai evitato di sottolinearne le ambiguità. 

domenica 23 maggio 2010

[...]



“L’omosessualità è gradita a Satana in quanto induce l’uomo a violare le sacre leggi naturali”

sabato 22 maggio 2010

Quando era "persona", adesso neanche è "vita"


Chi sostiene che la persona sia già presente nell’ovocellula fecondata – solitamente per equiparare l’aborto a un omicidio – la individua nel patrimonio genetico umano che lì viene a determinarsi dalla fusione dei due gameti, e cioè dalla fusione dei loro nuclei aploidi in un nucleo diploide, in cui il Dna ha l’unicità e l’irripetibilità che sarebbero proprie – appunto – della persona.
Mi sono intrattenuto molte volte sulla debolezza di tale argomento, ma oggi voglio considerarlo incontestabile e sottoscriverlo: “Da quando si uniscono i patrimoni genetici dell’ovulo e dello spermatozoo, inizia un processo che è unico e irripetibile proprio perché nessuno al mondo ha un Dna uguale a quello di quella cellulina fecondata” (1). Sì, voglio sottoscrivere anche quel tenero “cellulina”.

Non faccio in tempo a sottoscriverlo che su L’Osservatore Romano, a commento del fatto che è stata “ottenuta in laboratorio una cellula con Dna artificiale”, leggo: “Pur essendo un ottimo motore, [il Dna] non è la vita” (2).
Da quando era persona, adesso neanche è vita.


(1)  Carlo Bellieni (zenit.org, 28.4.2004)
(2)  Carlo Bellieni (L’Osservatore Romano, 22.5.2010)

venerdì 21 maggio 2010

Grosse seghe



Le maglie che la Juve indosserà nel prossimo campionato sono tutto un programma.

Tra “i politici che in questi anni lo hanno difeso”



“Giovane democratico ci spiega tutto quello che il Pd pensa davvero di Santoro” (Il Foglio, 21.5.2010). Tolte le pagine che citano quello che pensa di Santoro, e che Il Foglio gli fa l’onore di fargli dire a nome di tutto il Pd, Google è assai avaro di voci sull’onorevole Stefano Esposito: è citato quasi esclusivamente per indicarlo tra i parlamentari del Pd che erano assenti in aula quando lo “scudo fiscale” passò per una manciata di voti, e per la sua attivissima presenza su Facebook.
Ennesima dimostrazione di quanto Google non dia a ciascuno il suo, perché a dispetto del poco che se sa, l’Esposito ha doti eccezionali: prima che Santoro spiegasse le sue ragioni, ieri sera, ne aveva già un’opinione, ieri mattina. Non è geniale?

Santoro avrebbe detto: “Gli unici ad avere sicuramente ragione, e che possono dire di tutto, e di più, e che possono perfino insultarmi, sono gli spettatori. E sono gli spettatori perché c’è una ragione profonda. Un programma come il nostro non crea un movimento politico, non crea un partito, ma crea una comunità in cui si investono sentimenti, emozioni, passioni, dialoghi, si riesce a parlare con qualcun altro la mattina dopo”.
Errato. La mattina dopo era inutile parlare, l’Esposito l’aveva fatto, e a nome di tutto il Pd: “Michele Santoro dice di essere stanco di una battaglia con l’azienda che va avanti ormai dal 2002, dal famoso «editto bulgaro» di Silvio Berlusconi. Giustificazioni che offendono per la loro scarsa sostanza i telespettatori e i politici – tra cui me – che in questi anni lo hanno difeso in nome della libertà di informazione”.
Non c’erano state ancora le giustificazioni, ma l’Esposito già sapeva che fossero di “scarsa sostanza”. Geniale, senza dubbio.

A questo punto non varrebbe nemmeno la pena di ascoltarle e tuttavia, giusto per mettere in risalto le straordinarie doti dell’Esposito, vediamo Santoro cosa dice: “Nonostante due sentenze dei giudici di primo grado e di appello, i partiti di destra e di sinistra, e di sinistra, che controllano la Rai e la stanno conducendo, a mio parere, sull’orlo di una crisi molto grave, non hanno mai voluto prendere atto di questa sentenza fino in fondo e infatti hanno fatto sempre ricorso, la prima volta, la seconda volta e adesso in Cassazione. Che cosa è successo? Che mentre loro facevano ricorso – adesso in Cassazione – nel frattempo Annozero andava in onda per quattro stagioni, 122 puntate, e la Rai grazie al fatto che Annozero andava in onda e che un giudice l’aveva messo in onda, badate bene, ha realizzato grandissimi profitti e tutti questi profitti la Rai li ha incassati e giustamente li ha spesi per fare anche altri programmi magari meno nobili di Annozero. Ora, che cosa succedeva mentre la Rai incassava questi profitti? Contratti bloccati, posizioni congelate, punizioni, minacce di punizione…”.

Una descrizione dei fatti che non corrisponde a ciò che l’Esposito ha scritto e che Il Foglio gli ha tempestivamente pubblicato, ma è chiaro chi dei due abbia ragione e, anche se non c’è traccia in giro di uno Stefano Esposito che abbia mai “difeso” Santoro, perché non credergli sulla parola? Non lo difende adesso, certo, ma chissà quante volte l’ha difeso in cuor suo.

Psicoantropologia clericale applicata


Alla sola descrizione di certi esperimenti in vivo c’è gente che ha bisogno dei sali: non riuscendo a cogliervi il fine scientifico, non vede altro che crudeltà gratuita, protesta, sta male, si lamenta, sviene. E dunque non so se faccio bene a raccontarlo.
Facciamo che i delicatucci sono avvisati, così evitiamo storie. Agli amanti della scienza, che in questo caso è la psicoantropologia clericale applicata, passo a illustrare l’esperimento.

Di ritorno a casa dopo una dura mattinata di lavoro, oggi, trovo nel parco il mio posto auto occupato da una Opel. Controllo l’istinto primordiale, scendo e vado a controllare se l’usurpatore abbia almeno lasciato le chiavi nel cruscotto. Buon per lui, ci sono.
Sposto la sua auto, lasciandola lì dove possa dare il massimo fastidio all’intero parco, e parcheggio la mia. Dalla quale sono appena uscito quando vedo sopraggiungere di corsa una suorina sulla sessantina: “Mi scusi, era solo un attimino… Dovevo solo lasciare… Mi scusi, pensavo…”.
Ero lì per dire: “Fa niente, sorella, problema risolto…”, quando la mia indole speculativa ha preso il sopravvento.

“Mi scusi, un cazzo… [spalancamento d’occhi, tremore al labbro inferiore] Sempre a chiedere scusa, e sempre dopo, mai una volta a pensarci prima… [tenue rossore sulle gote] Il mio posto auto, i poveracci bruciati vivi, Galileo Galilei, gli ebrei… [abbozzo d’un sorriso] e i bambini stuprati dai preti pedofili… [trasalimento repentino] Fate sempre il cazzo che vi pare, e poi chiedete scusa. Un attimino dopo, trenta, cinquanta, cento anni dopo, cinque secoli dopo, sempre dopo… [apre bocca come a dire, ma non dice niente] Basta, ci avete rotto i coglioni…”. Fine dell’esperimento.

Conclusioni: se non avevo l’argomento dei bambini abusati, probabilmente la suorina avrebbe in qualche modo sottolineato l’evidente sproporzione tra il massacro dei catari e il parcheggio della Opel, ma con quello non c’è stata partita. È cosa che ha lasciato il segno. Da considerare duraturo.

La vita è stupida di suo

È nel preciso istante in cui non è più possibile trovare alcuna differenza tra il “diamante artificiale” e quello “naturale” che il maggior pregio di quello “naturale” non si capisce più in cosa consista: stessa fisica, stessa chimica.
Ci si è riusciti con l’inorganico, nonostante le resistenze delle compagnie diamantifere, ci si riuscirà pure con l’organico, nonostante tutto: ci vorrà molto tempo ancora, ma alla fine non sarà più possibile trovare differenza tra “vita artificiale” e quella cosiddetta “naturale”, e discriminare sarà prima impossibile che insensato. Perché? Gesù, che domande, perché si può. Ogni volta che si è potuto, prima o poi si è fatto.
Tutti a sputare nel piatto dove mangeremo, intanto, come se fossimo certi di poterne fare a meno. Che stupidi siamo, speriamo che quelli “artificiali” vengano meglio. E tuttavia è pressoché certo che è inutile sperarlo: la vita è stupida di suo, il suo intramontabile fascino è tutto lì.
E dunque grazie a chi resiste.

"Chi amiamo, e se amiamo qualcuno, dovrebbe essere irrilevante per la legge"



(progetto fotografico di Chiara Lalli)

giovedì 20 maggio 2010

Comunicazione di servizio


Anche Makia lascia il Cannocchiale, annotate il nuovo indirizzo: http://makia.wordpress.com/.

Il vescovo e la sciocchina


Quasi tutti positivi, i commenti alle belle parole della Carfagna, anche se adesso non guasterebbe un bel gesto, “fatti concreti”, perché incidentalmente la signora è ministro.
Quasi tutti positivi, i commenti, fatta eccezione per qualche acidità de il Giornale e de Il Foglio: non una parola di Avvenire, men che meno de L’Osservatore Romano. Capita, cioè, che un personaggio pubblico, addirittura un ministro, abbandoni la Verità e sposi la moda del secolo, quella che riconosce piena parità di diritti ai non-eterosessuali e condanna ogni discriminazione ai loro danni, e non c’è uno straccio di tonaca che voglia dire due parole: per sentire un prete che mugugna bisogna andare per catacombe. Qui, il vescovo emerito di Alghero, monsignor Antonio Vacca, dà un saggio straordinario di cosa capita a un ministro, quando abbandona la Verità.

“Il ministro poteva risparmiarsela quella dichiarazione”. Duole che un politico non sia aderente al magistero morale della Chiesa, ma duole assai di più che faccia scandalo dichiarandolo pubblicamente. Soprattutto se a capo di un dicastero pertinente.
Se “il governo si è sempre dichiarato vicino ai valori cattolici”, com’è possibile? “Bisogna vedere nei fatti quanto ci sia di cattolico nelle singole persone”. Non è un darle della troia, senza dubbio, ma forse c’è qualcosa che è pure peggio: “La politica é ricerca del consenso anche a buon mercato. Esiste la convenienza politica e l’appoggio dei gay é importante, vista la loro influenza”. Insomma, la Carfagna s’è venduta i valori.
C’è di più: se “il governo si è sempre dichiarato vicino ai valori cattolici” e nel singolo ministro c’è poco di cattolico, quel ministro è in qualche modo fuori dal governo, ectopico perché atipico.

Basta? Macché. Sua Eccellenza chiude la sua riflessione con un gesto di carità: “Sono certo che in realtà il ministro non la pensi esattamente così”. Mente o parla senza sapere cosa dice, la sciocchina.

George Carlin



[...]

Santoro è convincente.

Segnalazione

Ismaele sul riflusso della blogosfera (1, 2).

Enciclica (2005)



Lunga premessa a una riflessione su cosa sia questa benedetta «agenda progressista» della Chiesa del Terzo Millennio (più la rimandiamo e meglio è per i cosiddetti «progressisti»)


Da tempo – e il tempo muta il significato delle parole – si usa suddividere i cattolici che capiscono qualcosa del cattolicesimo (a naso, non mi paiono più del 2-3%) in «progressisti» e «tradizionalisti», con una semplificazione accettata anche da chi la ritiene ingannevole, sicché quasi più nessuno ne fa uso rammentando gli effetti indesiderati.
Capita, così, che quanti accettano per sé – sempre con fierezza – la definizione di «tradizionalisti» siano poco disposti a considerare cattolici quelli che così finirebbero per essere «progressisti»: un «cattolico progressista», in realtà, non sarebbe altro – dicono – che un eretico (luterano, calvinista, ecc.), perché «cattolico» – sostengono – non può che essere sinonimo di «tradizionalista», giacché senza piena fedeltà alla tradizione – affermano – non c’è cattolicesimo. Sembra argomento ragionevole.
E tuttavia questa opinione è contestata da quei cattolici per i quali, se è possibile una progressio populorum, è possibile anche una progressio ecclesiae: nel corpo mistico di Cristo – sostengono – è possibile un divenire, sicché la tradizione – affermano – è chiamata a darsi forme sempre nuove, se davvero vuol essere anima viva di un corpo vivo. Sembra argomento ragionevole, pure questo. E tuttavia costoro non accettano volentieri la definizione di «progressisti».
Non è tutto così semplice, perché ci sono i cattolici che rigettano per se stessi entrambe le definizioni: una suddivisione del genere – dicono – è impossibile, perché frequentemente si è costretti a constatare che vi sono più elementi comuni tra un «progressista» e un «tradizionalista» che non tra due «progressisti» o due «tradizionalisti». Non è argomento irragionevole, e in più ha la forza che gli dà il rilievo empirico: i «progressisti» – ciascuno a suo modo – si sentono i reali interpreti della tradizione; i «tradizionalisti» – ma non tutti – ritengono addirittura che la tradizione non vada interpretata, ma vissuta; i cattolici che rigettano la suddivisione finiscono per utilizzarla, ma solo e quando c’è da mostrarla come paradossale, perché foriera di grave danno a quanto del cristianesimo sta nel cattolicesimo.
Sarà il caso di usare una soda di carotaggio per verificare quanto abbiamo fin qui detto, e l’abbiamo: Joseph Ratzinger. I «progressisti» lo considerano «tradizionalista», ma abbiamo detto che essi hanno un gran rispetto per la tradizione, sicché usano sinonimi come «restauratore», «immobilista», ecc.; i «tradizionalisti», al contrario, ritengono Joseph Ratzinger un «progressista» (o «criptoprogressista»; o «progressista dei due passi avanti e uno indietro»; o addirittura – i lefebvriani, per lo più – «interprete [superfluo aggiungere: infedele] della tradizione»); piace, invece, e piace molto, a quei cattolici che capiscono poco o nulla del cattolicesimo, ma a quelli che ne capiscono qualcosa e con quel tanto arrivano a ritenere che il kerigma può cambiare senza cambiare, e che quindi in Joseph Ratzinger trovano l’ambiguità ad hoc (l’incarnazione dell’ambiguità come capo di una Chiesa che può ormai sopravvivere solo nell’ambiguità).

Semplificare può tornare utile in qualche raro caso, ma è sempre pericoloso, e perciò mettevo avanti le mani con una così lunga premessa. Dovendo affrontare una riflessione di carattere generale sulla Chiesa degli ultimi due pontificati, era il caso che chiarissi come e dove si può spendere lessicalmente questo soldo di latta che sul recto è «progressista» e sul verso è «tradizionalista» (o al contrario).

E io che mi pensavo fosse alterigia


“Sto in trenta mq scarsi al terzo piano a Trastevere per 1.250 euro al mese. Non uso riscaldamento né acqua calda, neanche in inverno”
Marco Perduca, Libero, 19.5.2010

Index




Tutti a pigliarlo per il culo, senza capire che ogni sua gaffe e ogni suo strafalcione rivelano un pezzo della realtà che si è costruito attorno, e che ridere di quella è pericoloso. Gogol non è l’errata pronuncia del celeberrimo motore di ricerca, ma è quel tal Google che ti dà solo la prima pagina di risultati, la più vista, spesso l’unica vista. Quando dice Gogol, non ridete: immaginate che gli venga l’uzzolo di comprare Google e cominciate a tremare.

mercoledì 19 maggio 2010

Tutto è relativo, d’altronde


Ogni volta che a un ebreo è stato impedito di prendere parola in una università italiana o europea, Il Foglio non ha mai mancato di protestare: in nome della libertà di espressione, prima ancora che in solidarietà di Israele, bastione di democrazia e tolleranza nell’assai poco democratica e dell’ancor meno tollerante realtà del Medioriente
 Anche quando a Benedetto XVI fu vietato di parlare alla Sapienza, Il Foglio fu in prima linea: in nome della libertà di espressione, prima ancora perché il papa è papa, e non sta bene vietargli di parlare.
Stavolta che a Noam Chomsky è impedito di parlare in un ateneo israeliano, la libertà d’espressione diventa un fatto relativo (tutto è relativo d’altronde) e in primo piano Il Foglio mette in evidenza che Noam Chomsky sarebbe un pezzo di fetente.

Non male


Sull’intervista concessa a la Repubblica dalla moglie di Scajola, subito smentita dal marito, a Parla con me (Raitre, 18.5.2010), Fiorenza Sarzanini avanza la mia stessa ipotesi con uguale argomento: i due hanno confezionato la classica richiesta d’aiuto ai compari non ancora fottuti, tra disperazione e ricatto. Naturalmente, la cronista del Corriere della Sera usa espressioni più felpate.
Altra questione che tocca, e che anch’io ho segnalato come centrale in questa Tangentopoli ancora allo stato gassoso, è quella dei 280 mila euro dati da Angeli Balducci a monsignor Franco Camaldo (“prestito a fondo perduto”): insieme a «don Bancomat», crea il link con lo Ior e il Vaticano, da un lato, e mostra di rivelare la funzione svolta nel governo (Gianni Letta) e presso i singoli ministri e sottosegretari (Angelo Balducci) da questi Gentiluomini della Casa Pontifici che paiono indispensabili per avere la benedizione delle gerarchie ecclesiastiche, dall’altro.

Su cosa vogliano le gerarchie ecclesiastiche dall’Italia, intesa come stato e come nazione, non c’è bisogno di trattenerci a lungo. Idem, su cosa possa volere questo o quel vescovo, questo o quel prete, immancabile tonaca ad ogni posa di prima pietra, di ogni congresso di partito, in ogni piega del welfare, sotto ogni forma di volontariato a pagamento.
Cosa la Chiesa offra quando non si è in campagna elettorale, adesso è più chiaro: socia di malaffare, paravento di prestigio, via di fuga per i protetti, garanzia di massima discrezione.
Non male, non male, davvero non male. Dopo tutta la merda piovuta su San Pietro in questi ultimi due anni, altra ne pioverà al primo no che il Vaticano darà alle rogatorie dei magistrati. Leggeremo complicatissime spiegazioni di questi no, e avranno tutte dei bei risvolti canonistici, ecclesiologici, teologici… Già mi figuro il nostro caro Angelus: “Cari amici, in questa domenica la liturgia ci invita all’adorazione del mistero dello Ior…”.