sabato 4 settembre 2010

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Ieri mi è capitata sotto gli occhi un’intervista concessa l’anno scorso a La Stampa dal professore di latino e greco che ebbe in classe la giovane Gelmini, e lì ho capito tutto: “Era più brava nelle traduzioni o in letteratura? «Era senz’altro meglio negli orali»”.

«Insopportazione»



Certi politici hanno una «lingua di legno», Fedele Confalonieri ha ragione e l’immagine è calzante. Nulla da obiettare, passiamo dunque a cercare un’immagine altrettante calzante per la lingua di certi imprenditori che riescono a partorire spropositi come «insopportazione»: proporrei «lingua di merda».

Le diable probablement



«Innegabile che Ratzinger sia stato e sia sotto attacco», questa è la tesi del libro scritto a quattro mani da Andrea Tornielli e Paolo Rodari, che, non avendo prove di un complotto, si limitano a insinuarne l’esistenza, con la stessa obliquità dei loro ispiratori e committenti, secondo i quali c’è «un piano ben ideato con un scopo evidente» (José Saraiva Martins), c’è «qualcuno che cerca di minare la fiducia nella Chiesa» (Tarcisio Bertone), sono in atto «campagne mediatiche miranti a screditarla» (Angelo Bagnasco), a cominciare dagli «ignobili attacchi per screditare il Papa» (Federico Lombardi).
Si può far meglio (o peggio, dipende dai gusti), è complicato, ma si può: si può far forte tale insinuazione chiamando lo stesso Ratzinger ad avallarla, anche se è proprio Ratzinger ad essersi espresso in più occasioni contro l’ipotesi di una regia esterna. E lo fa un Sandro Magister che stavolta supera se stesso: elogia il lavoro dei due colleghi, si chiede «se vi sia una ragione unificante che spieghi attacchi così aspri e continui, tutti concentrati sull’attuale papa», produce un discreto numero di citazioni di Benedetto XVI che ne escludono una esterna, se non come occasione offerta dall’interno al “nemico” (il diavolo probabilmente).
A differenza di Tornielli e Rodari, Magister non si genuflette dinanzi ai cortigiani, raccattandone il vittimismo, ma striscia tra le loro gambe e va a genuflettersi dinanzi al Papa, cogliendo fior da fiore il nettare della sua teodicea: la Chiesa è attaccata in quanto Chiesa, i preti sono attaccati in quanto preti – parola di Benedetto XVI. E dunque, sì, il libro di Tornielli e Rodari «fornisce una ricostruzione molto accurata, con retroscena anche inediti», ma tutto sommato è superfluo: se la Chiesa è sotto attacco, è perché – con le parole del Papa – «era da aspettarsi che al “nemico” questo nuovo brillare del sacerdozio non sarebbe piaciuto».
Vi risulta che le ordinazioni siano aumentate di numero sotto il pontificato di Benedetto XVI? Tutto il contrario, piuttosto. E tuttavia il “nemico” si scatena adesso: è adesso che vede brillare il sacerdozio e, se il ragionamento non vi convince, non vi resta che chiedere udienza al Papa o mandare una email a Magister.

venerdì 3 settembre 2010

“Non c’è niente di più trasgressivo ed eccitante dell’ortodossia”


Le masse inclinano ad emulare con scarso senso critico i modelli che le vengono adeguatamente offerti come appetibili e il personaggio pubblico che li incarna ne esalta l’appetibilità in misura proporzionale alle virtù che le masse gli hanno conferito, dando piena ragione dell’uso che la pubblicità fa dei volti noti al grande pubblico e del carattere esemplare che la propaganda religiosa dà alla conversione di un nome prestigioso. E tuttavia non c’è linearità nell’uso del testimonial.
Per esempio, sono le virtù conferite dagli juventini a Ciro Ferrara che rendono “cioccolatoso” il dessert che tanto piace a lui e ai suoi cari, mentre il proselitismo religioso può avvantaggiarsi nel conferire le virtù che sarebbero intrinseche alla fede al personaggio pubblico che fin lì ne era privo. E così accade che, dopo aver allenato la Juventus con risultati non troppo esaltanti, Ciro Ferrara scompaia un po’ dagli schermi, mentre catorci da tempo messi via per deludenti prestazioni professionali vengano rimessi sotto i riflettori per l’aver ritrovato Gesù. Si esagera in entrambi i casi: basta un fallaccio e alla Vodafone non conviene più servirsi di Francesco Totti, basta aver ritrovato la fede e la stampa cattolica offre Giovanni Lindo Ferretti come grande artista.
Non c’è limite all’esagerazione in quest’ultimo caso: basti considerare ciò che il giornale del papa scrive di Nina Hagen ora che la cantante ha riabbracciato la fede in Cristo dopo il punk, dopo l’induismo e dopo l’ufologia. L’Osservatore Romano va a scomodare Chesterton: “Non c’è niente di più trasgressivo ed eccitante dell’ortodossia”. Non è difficile accertare quanto sia ortodossa la fede della Hagen, basta uno sguardo alla homepage del suo website. Ma a caval donato non si guarda in bocca e Silvia Guidi scrive: “L’incontro personale con Gesù è stato il più grande successo della sua vita”. Perché dubitarne?


giovedì 2 settembre 2010

Che brutta fine


Giorgio Forattini non è mai stato un grande disegnatore, ma da qualche tempo il suo tratto s’è fatto sempre più grossolano, qua e là perfino incerto, con una drastica caduta della qualità estetica della vignetta. Ma il segno più evidente di quello che ormai appare un irreversibile inaridimento della sua produzione è l’ormai costante ripiego nello stereotipo propagandistico, col compiaciuto e compiacente cedimento allo sbrego che insulta ma non offende, colpendo ma senza lasciar segno, come a cercare unicamente la risata grassa e col massimo risparmio.
Guardi una sua vignetta, riconosci la mano di Forattini e ormai non puoi più fare a meno di pensare: si ripete sempre peggio, sopravvive di autocitazioni che vanno a elemosinare credito a una attenzione sempre più pigra, a un lettore sempre più fidelizzato in una complicità di cui si sono smarrite le ragioni del patto e che rimane sospesa nell’abitudine a una cifra sempre meno curata. Non ha più niente da dire, Forattini, e tuttavia lo sbraita. Il sornione ha lasciato posto al bolso, il caustico all’irritante, lo schiaffo allo sputo. Che brutta fine.

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Da qualche giorno ho una rubrichina su Giornalettismo.

Il tic di un furfantello in giornata poco felice

Non vi sarà sfuggito il post in cui Camillo si lamenta dell’ipocrisia di quanti hanno storto il muso per la lezione di Corano tenuta a Roma da Gheddafi ma non hanno sollevato alcuna perplessità riguardo all’eventuale costruzione di una moschea a due isolati da Ground Zero, concludendo: “Gheddafi no, moschea a Ground Zero sì. La differenza? Berlusconi”. A me era sfuggito, ma Nicola Bergonzi me lo ha segnala e mi chiede di commentarlo.
In realtà, la questione sollevata da Camillo non meriterebbe alcun commento, perché è costruita su una correlazione così goffamente surrettizia da costituire implicitamente offesa a chiunque venga offerta. La moschea a due isolati da Ground Zero, se e quando sarà costruita, potrà essere considerata una “vergognosa indecenza”, come lo stesso Camillo è disposto ad ammettere sia stata la “baracconata islamista” di Gheddafi a Roma? Non si tratterebbe di un edificio eretto su un terreno privato e destinato al culto islamico, in un paese che riconosce il pieno diritto alla proprietà privata e alla libertà di credo religioso, compreso quello islamico?
Camillo è disposto ad ammettere che Gheddafi “prova comicamente a fare proselitismo islamico a Roma”, ma può ragionevolmente sostenere sia lo stesso per una moschea a New York? Ha notizia di moschee – di quelle già presenti a New York (una non lontana da Ground Zero, di cui nessuno s’è sognato di chiedere l’abbattimento o la chiusura dopo l’11 settembre) o di altre in qualche altro paese – che offrano 80 euro a ogni visitatore non musulmano disposto ad ascoltare una lezioncina di Corano, e 300 a chi sia disposto a convertirsi all’islam? E dunque: se in premessa non c’è alcuna sostenibile analogia tra le due cose, perché Camillo si aspetta identica opinione su entrambe? Una risposta c’è ed è proprio lui a darla: Berlusconi.
È stato Berlusconi a consentire l’indecente show di Gheddafi, e questo è chiaro anche a Camillo: ora cosa può congruamente neutralizzare l’indecenza? Il non trovare indecente ciò che per Camillo dovrebbe esserlo, senza però essere in grado di produrre argomenti decenti per dimostrarne l’indecenza.
Ma forse non è necessario andare tanto a fondo, perché il patetico azzardo polemico di Camillo può essere liquidato già in superficie: il tic di un furfantello in giornata poco felice.

mercoledì 1 settembre 2010

41 bis


Ancora una volta la vile teppa giustizialista rivela la sua bruta ottusità: dà del mafioso a Dell’Utri per impedirgli di parlare, invece di dargli del pataccaro dopo averlo fatto parlare. La procedura che ha portato alla sua condanna in appello potrebbe trovare in Cassazione una censura tale da vaporizzare la mafiosità di un bibliofilo che si ostina – e questo sì che è un crimine – a spacciarci per genuini quei suoi diari di Mussolini che storici, filologi, grafologi e chimici hanno irrevocabilmente sentenziato come farlocchi. Per questo meriterebbe il 41 bis, mica per altro.

Dimenticavo: impedire di parlare a chicchessia non è carino.

Verifiche


Nel programma che il centrodestra sottopose agli elettori nel 2008 non v’era traccia di quel “processo breve” che oggi il governo intende inserire tra i cinque punti da sottoporre a verifica parlamentare, pretendendo la fiducia dei 344 deputati e dei 174 senatori che a loro volta la ottennero dagli elettori sulla base di quel programma, come a conferma di un impegno di cui l’esecutivo intenda farsi garante. In quel programma v’era un cenno alla “attuazione dei principi costituzionali del giusto processo per una maggiore tutela delle vittime e degli indagati” (prima delle vittime, poi degli indagati) – se è per questo, ve n’era pure uno all’“aumento delle risorse per la giustizia”, e uno alla “costruzione di nuove carceri e ristrutturazione di quelle esistenti” – ma non si capisce quale tutela delle presunte vittime sia assicurata da quella che col “processo breve” sarebbe un’amnistia di fatto per i presunti colpevoli. Sulla capacità di “attuazione dei principi costituzionali”, poi, questo governo dovrebbe porre una verifica a monte: in quel programma non v’era traccia neppure di una “sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato” (lodo Alfano), fatta legge nel 2008 e bocciata dalla Corte Costituzionale nel 2009.


martedì 31 agosto 2010

“Io sono Oriana Fallaci, non un paziente qualsiasi”


«Oriana stava ormai male, tossiva continuamente. La convinsi a farsi visitare allo Sloan Kettering, il maggiore istituto per la cura dei tumori del mondo. Non fu facile ottenere l’appuntamento; ma una bella mattina di una bellissima giornata andai a prenderla a casa e andammo a piedi allo Sloan Kettering. Lì, come per tutti, un segretario le presentò un lungo questionario da compilare. Oriana si infuriò (“Io sono Oriana Fallaci, non un paziente qualsiasi”) e si presentò al luminare con il questionario in bianco; e lui, tempo un minuto, la rimandò a casa. Oriana tornò allo Sloan circa un anno dopo, ma era troppo tardi»

Giovanni Sartori, Corriere della Sera, 25.8.2010

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Ben le sta


Anna Foa scrive: «Un elemento accomuna, almeno a partire dall’età dei ghetti, l’architettura sinagogale, qualunque ne fosse lo stile, ed è quello di non essere opera di architetti ebrei: le norme giuridiche proibivano infatti agli ebrei, insieme agli altri divieti, anche l’esercizio dell’arte dell’architettura». Avrebbe dovuto ricordare che i ghetti furono voluti da un papa e che fu un papa a proibire agli ebrei l’esercizio dell’architettura, ma la reticenza le è d’obbligo, perché ciò che scrive è destinato alle pagine del giornale del papa (L’Osservatore Romano, 30-31.8.2010). Ben le sta, dunque, che il titolista le dia quanto è dovuto ad ogni ebreo che si mette nelle mani di un cattolico: «Il paradosso delle sinagoghe costruite sempre da non ebrei». Dove stia il paradosso del non poter costruire sinagoghe, stante il divieto di costruirle, ora spetta chiarirlo alla reticente.

sabato 28 agosto 2010

Sempre di rantoli si tratta


“Spero che si concluda rapidamente l’era Berlusconi”, scrive Veltroni (Corriere della Sera, 24.8.2010). “Non per mettere la pietra al collo al bipolarismo”, precisa, perché “bisogna considerare il tempo delle decisioni come una variante non più secondaria” nell’azione di governo e solo il bipolarismo può assicurarci a tal fine una “repubblica forte e decidente”. Però questo “comporta profonde e coraggiose innovazioni”, non escluso un “ammodernamento” della Costituzione, basta non sia nel segno di quella “democrazia autoritaria” verso la quale ci trascina l’“insopportabile anomalia” di un premier che è proprietario di “giornali e tv con i quali promuovere se stesso e randellare i suoi avversari”.
Rammentate una sola iniziativa di Veltroni tesa a impedire il consolidarsi di questa “anomalia” che oggi gli è tanto “insopportabile”? Io no, anzi, direi che Veltroni si sia sempre speso in senso contrario (Michele De Lucia, Il baratto, Kaos Edizioni 2008). E cosa mette in gioco, oggi, per una rapida conclusione dell’era Berlusconi? La speranza. Non chiedetegli altro, per piacere: questo “vero bipolarismo” che sta nelle speranze di Veltroni è di fatto possibile solo con l’implosione di uno dei due poli di questo bipolarismo che non gli piace, e Veltroni spera. Non parlategli di una “santa alleanza contro Berlusconi”, sarebbe andare un po’ troppo oltre la speranza.
Bersani, invece, osa e immagina “un’alleanza democratica per sconfiggere Berlusconi” (la Repubblica, 26.8.2010) e “per una legislatura costituente”, “un’alleanza che può assumere, nell’emergenza, la forma di un patto politico ed elettorale vero e proprio, o che invece può assumere forme più articolate di convergenza che garantiscano comunque un impegno comune sugli essenziali fondamenti costituzionali e sulle regole del gioco”. Si tratta di “una proposta che potrebbe coinvolgere anche forze contrarie al berlusconismo che in un contesto politico normale (come già avviene in Europa) avrebbero un’altra collocazione; una proposta che dovrebbe rivolgersi ad energie esterne ai partiti interessate ad una svolta democratica, civica e morale”. Un arco costituzione antiberlusconiano sotto il quale potremmo trovare Casini e Pannella, Fini e Vendola, Di Pietro e Bonelli. Bene, ma chi li guiderebbe, e dove? “Tocca al Pd innanzitutto, come maggiore forza dell’opposizione, indicare una strada”. Ma quale? Bersani non lo dice, ma vedrete che se li tirerà tutti dietro.

Due rantoli da un Pd che sembrava già morto, ma sempre di rantoli si tratta. Già è qualcosa – finché c’è vita, c’è speranza – ma considerarli un segno di ripresa è troppo: il Pd non ha un progetto di società che di fatto sia in grado di mettere in crisi il blocco sociale che esprime questo centrodestra; e non ha un programma di governo; e ha voce ambigua, contraddittoria, contorta, equivoca, al punto che Fioroni (In onda – La7, 26.8.2010) arriva a dire che trova un “comune sentire” in Veltroni e in Bersani.

venerdì 27 agosto 2010

Bestie straordinarie


Pur non avendo pungiglione, quest’anno abbiamo visto le meduse pungere (La Stampa, la Repubblica, Il Messaggero, Libero, ecc.). Pur non avendo denti o artigli, chissà, l’anno prossimo le vedremo mordere o graffiare. Il Mediterraneo pullula di una strabiliante fauna marina, le redazioni pullulano di singolari bestie.
 
 

Rettifica preventiva


Almeno Avvenire, L’Osservatore Romano e Il Foglio non tarderanno a segnalare – vedrete – un articolo a firma di Cleave Seale per il Journal of Medical Ethics, on line dall’altrieri, sul ruolo della fede religiosa nelle decisioni prese da un medico che sia posto di fronte ad un paziente terminale, e verrà sottolineato – vedrete – che “doctors who described themselves as non-religious were more likely than others to report having given continuous deep sedation until death, having taken decisions they expected or partly intended to end life…”, ma verrà tralasciato “… and to have discussed these decisions with patients judged to have the capacity to participate in discussions”. La decisione di risparmiare al paziente terminale una lunga e atroce agonia parrà così essere presa autonomamente dal medico non credente e la penna produrrà qualche specioso artificio teso a insinuare che, quando non ha fede, un medico sia incline ad ammazzare con troppa leggerezza chiunque, a suo parere, stia soffrendo troppo.
In realtà, l’articolo dà conto solo di una maggiore disponibilità del medico non credente a rendere libera e responsabile quella scelta che dovrebbe spettare al paziente e che un medico credente solitamente tende a sottrargli, per metterla nelle mani del suo Dio, che quasi sempre è un mostro avido di sofferenza. La mostruosità diventa piena quando il Dio del medico non è neppure lo stesso Dio del paziente.

E infine il topolino ha partorito una montagna



E infine il topolino ha partorito una montagna – anzi, due montagne – di parole, sul Corriere della Sera e su la Repubblica. Leggo Veltroni, leggo Bersani e il Pd mi sembra avere una sola chance: mettersi cenere in testa, battersi pugno in petto e implorare Prodi di tornare, sarebbe l’unico a poter guidare sia ciò che immagina Veltroni sia ciò che immagina Bersani, non ce n’è altri. E questo dà la misura di tutto il possibile che resta al Pd.


giovedì 26 agosto 2010

Chiedo scusa al lettore se mi ripeto



Farete fatica a trovare uno storico che sia stato benevolo nel trattare la figura di papa Alessandro VI, fatta eccezione per un tal Lorenzo Pingiotti, che infatti non è uno storico, ma un dipendente di ente pubblico con una laurea in economia e l’hobby dell’apologetica (La leggenda nera di papa Borgia, Fede & Cultura, 2008). Anche il Pingiotti, tuttavia, riesce a concludere assai poco nel suo disperato tentativo ed è costretto ad ammettere ciò che è abbondantemente documentato: tre figli (forse quattro) da cardinale, diversi altri da papa, un numero imprecisato di amanti fra le quali una concubina papae ufficialmente riconosciuta, crudeltà pari alla dissolutezza, mostruosa avidità, insuperabile smania di simonia e, soprattutto, un feroce nepotismo. Su quest’ultimo punto non v’è alcuna controversia pendente: Alessandro VI s’era posto l’obiettivo di secolarizzare lo Stato Pontificio sotto il regime dei Borgia.
Il povero Pingiotti non nega, ma lima, smussa, indora e, non riuscendo a trovare altre virtù, finisce per puntare l’ultimo suo soldino sulla santa caccia all’eretico che Alessandro VI promosse in difesa dell’ortodossia.

Ora, “in difesa di Alessandro VI”, “un papa ingiustamente solo malfamato”, scende in campo anche Sandro Magister. Cosa dovrebbe farci rivedere il giudizio su papa Borgia? È presto detto: “Amava la cifra, l’emblema, il simbolo, lo incuriosivano l’araldica e il mito, lo affascinavano le genealogie degli dei, le favole esotiche, le credenze misteriche”, lo afferma il professor Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani, che lo deduce da un ritratto di Alessandro VI fattogli dal Pinturicchio.
Ricapitoliamo: il Pinturicchio ritrae papa Borgia in modo tale che il professor Paolucci riesce a leggere nel ritratto del committente le strabilianti virtù di cui sopra e Magister ci invita a revisionare la storia, “in difesa di Alessandro VI Borgia. Come giusto”. Un po’ come rivedere il giudizio storico su Adolf Hitler, perché acquarellista, vegetariano e tanto affezionato ai cani. Non vi pare “giusto”?
Chiedo scusa al lettore se mi ripeto: perciò li schifo, i vaticanisti italiani.

Attacco al Papa


Due vaticanisti italiani firmano a quattro mani un volume che in questi giorni arriva in libreria e che non pare valga la pena di comprare. Pare trattarsi, infatti, del collage dei pezzulli che nel corso del pontificato di Benedetto XVI i due hanno firmato per i giornali sui quali scrivono, a commento dei tanti infortuni che, divertendoci non poco, Benedetto XVI ha causato a se stesso e alla sua Chiesa. Il titolo del libro – Attacco a Ratzinger – rivela l’impostazione del volume e conferma il carattere cortigiano della vil razza dannata dei vaticanisti italiani, ben rappresentata nell’anticipazione oggi offertaci da Il Foglio. «Questo libro – si legge nel capitolo finale – non intende presentare una tesi precostituita. Non intende accreditare in partenza l’ipotesi del complotto ideato da qualche “cupola” o spectre, neanche quella del “complotto mediatico”, divenuto spesso il comodo lasciapassare dietro al quale alcuni collaboratori del Pontefice si trincerano per giustificare ritardi e inefficienze. È però innegabile che Ratzinger sia stato e sia sotto attacco». Provoca, ma il mondo dovrebbe chiudere un occhio, bonario, e invece non lo chiude, reagisce alla provocazione: chiaramente è un attacco al Papa, perché al Papa sarebbe dovuto rispetto, sempre e comunque, e questa non costituirebbe “tesi precostituita”.
Una boccata d’aria, tuttavia, nell’opinione di un vaticanista non italiano (Jean-Marie Guénois), altra razza, che i due citano senza porre mano a personale riflessione: «È Benedetto XVI a trovarsi nel mirino? È davvero lui l’obiettivo ultimo delle campagne mediatiche? O non è piuttosto lui, con la sua mitezza ma con la sua altrettanta chiarezza, ad “attaccare”? […] Più che un attacco al Papa, direi piuttosto che è partito un “attacco” del Papa contro molti soggetti…». I quali, per Tornielli e Rodari, autori di questo inutile volume edito da Piemme, non dovrebbero reagire. E invece reagiscono, sicché il Papa è sotto attacco. E io perciò li schifo, i vaticanisti italiani.

mercoledì 25 agosto 2010

Tentare le primarie o rifare le elementari?



Intervista a Nichi Vendola (il manifesto, 25.8.2010 - pag. 6)