giovedì 3 novembre 2011

Franco Garelli - Religione all’italiana. L’anima del Paese messa a nudo - Il Mulino, 2011

Volentieri archivieremmo, dunque, anche il convegno di Todi, se non fosse che oggi, nella stessa giornata, sul Corriere della Sera è pubblicato un intervento di Natale Forlani, portavoce delle associazioni di ispirazione cattolica del mondo del lavoro, dal titolo Una voce unitaria per i cattolici. La sfida dopo il seminario di Todi (pag. 53), nel quale prevalgono i toni da sergente di esercito invincibile, e in libreria arriva Religione all’italiana. L’anima del Paese messa a nudo, un’indagine firmata da Franco Garelli, per Il Mulino. Ne ho letto solo l’introduzione e le conclusioni, limitandomi a sfogliare il resto, sicché rimando ad ulteriori considerazioni, se ve ne fosse bisogno, e tuttavia mi pare di poter dire che siamo dinanzi a un quadro del cattolicesimo italiano deprimente almeno quanto quello che Maurizio Ferraris dipinse alcuni anni fa (Babbo Natale, Gesù adulto. In cosa crede chi crede? – Bompiani 2006). Ma forse tutto sarà più chiaro con qualche esempio, che piglio dai campioni più eloquenti.
Credere nella risurrezione dei morti è un “elemento essenziale” (Catechismo, 991) della fede cattolica. Se, infatti, “la fede cristiana nella risurrezione ha incontrato incomprensioni ed opposizioni” (Catechismo, 996), è pressoché impossibile dirsi cattolico senza aver fede nel fatto che “con la morte l’anima viene separata dal corpo, ma nella risurrezione Dio tornerà a dare la vita incorruttibile al nostro corpo trasformato, riunendolo alla nostra anima” (Catechismo, 1016). E tuttavia, alla domanda “Che cosa crede vi sia dopo la morte?”, il 14,6% degli italiani risponde “Nulla”, l’1,7% risponde “Non si può sapere”, il 3,5% dice “Non so”, il 21,4% ritiene che si reincarnerà “in un altro/a uomo/donna o essere vivente” e solo il 36,3% risponde “Penso vi sia un’altra vita”, ma solo in misura assai modesta (meno di un terzo) fa un cenno, peraltro vago, alla resurrezione dei morti; il resto, insieme a un altro 22,5%, che Garelli rubrica alla voce “Varie”, ha le più svariate idee sull’al di là, tutte assai poco cattoliche. Né va meglio con Dio. Tra atei, agnostici, scettici di ogni risma e credenti a intermittenza si arriva al 54,2%, mentre il restante 45,8% crede che “Dio esiste veramente”, ma è a chiedergli chi sia che sono dolori: è più spesso Manitù, che Trinità.
È il cattolicesimo all’italiana: una religione ridotta a vademecum morale, comodamente interpretato e largamente inosservato, mentre il Credo è un vuoto bla-bla che, a una attenta analisi, impietosa negli esiti, si rivela largamente incompreso. Cattolico è il profilo sociologico, di tipo familistico-tribale, non quello dottrinario, tanto meno quello teologico. Il libro di Garelli deprime innanzitutto chi polemizza col cattolicesimo sul piano dottrinario e su quello teologico, appunto. Fa capire che è polemica sterile, da petardo in seminario.

3 commenti:

  1. Cattolico è il profilo sociologico, di tipo familistico-tribale, non quello dottrinario, tanto meno quello teologico.

    Credo che queste poche parole identifichino perfettamente il tipico italiano democristiano, che è tutt'ora la maggioranza nel paese...

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  2. C'è quella vignetta di Pazienza con il papa polacco che sorseggia un cocktail sul bordo della piscina e guarda il cielo stellato, e pensa: "e se esistesse veramente?".
    Siamo proprio sicuri che nel corpo ecclesiastico (alte sfere incluse) ci credano tutti in dio? Insomma, che quello che vale per i fedeli (la religione come un dettato di spicciole norme morali), non valga anche per i chierici?

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  3. Io ci credo incondizionatamente, di cosa si parla?

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