Quando
si è dentro al cambiamento, è pressoché impossibile aver piena
comprensione della sua portata, tanto meno prevedere quali ne saranno
i tempi e i modi, e ancor meno prospettarne gli esiti. Già è tanto
riuscire a cogliere alcune delle forze in atto, tentare di
individuarne i vettori, costruire gerarchie di probabilità, ma
nutrire convinzioni su quella che ne sarà la direttrice, o
addirittura darle solidità di visione, non è che una scommessa: ci
si può azzeccare, e allora ci si guadagna fama di profeta, oppure
no, ma almeno l’ansia
si è stemperata in letteratura di evasione.
Altra
cosa, ovviamente, è osservare il cambiamento dall’esterno,
e altra ancora è analizzarne lo sviluppo e il risultato quando il
processo può dirsi concluso, dove comunque nulla garantisce una
migliore comprensione di cosa stia cambiando o sia cambiato, e di
quanto, e di come, per limitarsi a esserne condizione minima
necessaria.
A voler essere pignoli, in realtà, nessuna osservazione
prescinde mai del tutto dall’osservatore,
che inevitabilmente altera sempre ciò che intende analizzare per il
solo fatto di doverci necessariamente metter mano. In tal senso, anche senza dover ricorrere ad esempi come l’entanglement
di Schrödinger o il controtransfert di Freud, potremmo
dire che si è sempre dentro al cambiamento che si intende
comprendere, sia quando è in atto, sia quando è già compiuto, e
nondimeno il bisogno di capire resta: la certezza di non poter mai
cogliere del tutto l’essenza
del fenomeno non può paralizzarci, abbiamo il dovere di produrre
modelli sempre migliori, pur rassegnandoci a sapere che non ne esiste
uno perfetto.
Ma quale soluzione ci è data quando il cambiamento
dentro il quale siamo ci ha sottratto ogni strumento per
produrre un modello di realtà che sia dotato almeno di una coerenza
di sistema? Non ci resta che la fierezza della contraddizione,
l’orgoglio
della confusione, l’esibizione
di un Io-ossimoro che si fa vanto di essere «poco
razionale», ma che nel saper «pensare con la sua testa» riesce a trovare, chissà come poi, garanzia di autocoscienza e di autodeterminazione.
Nessuno meglio di
un esperto in messaggi pubblicitari sa cogliere lo spirito dei tempi,
e allora ecco lo sproposito di un umanesimo «emozionalmente
pragmatico», sospeso nel vuoto lasciato dalla crisi dei «veri
valori» a urlare «sono», «posso», «voglio», senza saper dire
cosa, nella convinzione che questo basti a dargli senso,
«semplicemente».
Siamo davvero messi male, almeno questo mi pare emerga chiaramente dal monologo di uno che non sa neppure trovare il bandolo del groviglio che lo avvolge e tuttavia pare decisamente convinto che il solo agitarvisi dentro possa bastare a renderlo «clever». Consegniamo agli storici questo documento che meglio di ogni altro parla della nostra impotenza.
Vabbè tutta sta pippa per una cagata di macchina come una SKODA???
RispondiEliminaE se era una PRINZ?
Cronaca annunciata di morte cerebrale.......
RispondiEliminaPrima ancora di esser impotenza è magari delirio d'onnipotenza poichè c'è una certa autoreferenzialità, una certa boria ed alterigia nonostante uno style vittimistico e soccombente autocompiaciuto, narcisistico, forse un altro abito alla moda.
RispondiEliminaCiò che caratterizza invece pensatori come Galileo, ma anche Socrate, è prima di tutto la curiosità e la predisposizione allo stupore. Nella società contemporanea, ipertecnologica, trovo paradossale il progressivo allontanamento da un metodo scientifico, una forma mentis, talvolta antiintuitiva e quindi antiemozionale.
Penso che spesso i paradossi della logica siano un alibi e una giustificazione per evitar di affrontare la fatica della complessità. Penso poi che il peso epistemologico di quei paradossi sia largamente sopravvalutato ma questo richiede una dimostrazione che oggi non saprei dare.
non sono d'accordo nel delegare ai pubblicitari la "rappresentanza" del nostro tempo.
RispondiEliminaIn effetti è più facile che sia il nostro tempo a rappresentare i pubblicitari: basti pensare al modo in cui certi slogan si sono incastonati nel linguaggio ordinario (https://www.youtube.com/watch?v=DFCMhSzeGuA), magari giungendo ad influenzare il modo in cui esprimiamo il nostro mondo. "Was das Individuum betrifft, so ist ohnehin jedes ein Sohn seiner Werbung", se mi si passa il détournement, "so ist auch die Philosophie".
Eliminasì, ma Hegel non è la soluzione bensì l'origine del problema. Pretendere di appropriarsi del senso del proprio tempo tramite il pensiero è sempre oltre che assurdo anche angosciante.
EliminaMa siamo davvero sicuri che "l'osservatore" esiste?
RispondiEliminaMah.
RispondiEliminaIeri ho provato due volte a segnalare che lo spot in questione ha un antecedente sia nella presentazione di Hansel, personaggio interpretato da Owen Wilson in "Zoolander", che in un qualunque intervento di tre minuti di Lorenzo Cherubii, in arte Jovanotti.
Forse stavolta riuscirò a inserire il commento, o devo ritenete di essere stato censurato?
Sempre utile passar di qua, stia bene e buone feste.
Ghino La Ganga
Vorrà scherzare? Io censurarla? Mi faccia buone feste, Ghino. In quanto al suo commento, ho controllato nel cestino e nella cartella spam: non l'ho trovato.
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