Affermare che «Dio non è necessario per spiegare l’universo» (Stephen Hawking) equivale a negarne l’esistenza: se è possibile spiegare l’universo senza dover ricorrere a un creatore, o quello che viene indicato come creatore è superfluo o non è creatore, e così a Dio viene meno l’attributo della sua necessità, senza la quale cadono le cinque prove ontologiche di Tommaso, che pongono ogni cosa in una relazione di necessità creaturale secondo il moto, la causa, la contingenza, il grado e il fine.
È che Tommaso si muoveva in un ambito relativamente ristretto, entro il quale le sue prove possono ancora sembrare schiaccianti: appena si esce da quell’ambito, nel quale il tempo e lo spazio conservano la rappresentazione ormai dimostrata aleatoria, la logica di Tommaso va in frantumi. Tempo e spazio non sono quello che ci sembrano e, soprattutto, non sono rigidi come gli assi sui quali costruiamo per comodità la rappresentazione degli eventi. Appena fuori dal ristretto ambito delle percezioni sensoriali, gli stessi eventi diventano irriducibili alle regole della logica corrente e, insieme a spazio e tempo, sfuggono alla comprensione della mente dell’uomo medievale.
Tuttavia Hawking è disposto a chiamare «Dio» ciò che può dare ragione della creazione dell’universo dal nulla, ma in questo caso non sarebbe un Dio creatore, tanto meno personale, né potrebbe essere entità preesistente al nulla o esterno ad esso, prima, e all’universo, poi: coinciderebbe col nulla, prima, e con l’universo, poi. Anche in questo caso, di fatto, Dio sarebbe negato, almeno per come è immaginato dalla sensibilità religiosa: sarebbe tutt’al più funzione, non causa, legge che obbedisce a se stessa. Potrebbe tutt’al più star bene ad un buddhista, ma sappiamo che il buddhismo è l’unica religione senza un Dio (né deismo, né teismo, nel buddhismo, tutt’al più filosofia o, meglio ancora, mistica fisica e precettistica).
Nell’ultimo suo libro (The Grand Design), di cui The Times ha pubblicato in questi giorni ampi stralci, Hawking è particolarmente esplicito su questi punti e l’uomo medievale non può che ricavarne irritazione.
Naturalmente, c’è Medioevo e Medioevo. C’è quello di don Livio Fanzaga di Radio Maria, che non si lascia neanche sfiorare dagli argomenti di Hawking, ma li respinge impugnando la logica di Tommaso (e, in contraddizione con se stesso, quella di Anselmo, contestata da Tommaso). È marasma, non si può definire in altro modo.
Ma poi c’è un Medioevo altrettanto buio, però meno rozzo (Piero Benvenuti – Avvenire, 7.9.2010). Giacché l’ipotesi di Hawking troverebbe una conferma in una Teoria del Tutto che dovrebbe poter dar ragione di ogni fenomeno fisico osservabile nell’universo – l’equivalente di una causa prima, che in Dio è esterna al fenomeno fisico, ma nella Teoria del Tutto coincide con la natura del Tutto – e giacché questa Teoria, ancorché dimostrabile, dovrebbe essere assunta con gli effetti di un atto di fede (perché il Tutto è così grande da non poter escludere eccezioni a qualsivoglia legge), nulla vieta di credere che possa essere successivamente destituita di fondamento. E perché? Potrebbe rivelarsi l’esistenza di un quid che non trovi adeguata spiegazione nel Tutto.
Siamo – se non si fosse compreso – alla ben nota elaborazione logica che assegna al soprannaturale tutto ciò che non si può afferrare ancora del naturale, nella convinzione che i mezzi umani non saranno mai in grado di afferrare tutto (o il Tutto). Privato dell’attributo della necessità, Dio se lo ripiglia: diventa necessario a riempire i buchi che l’uomo dovesse avere difficoltà a riempire nel caso la Teoria del Tutto rivelasse la necessità – eccola, la necessità! – di essere rivista.
Eppure Hawking è stato chiaro sul punto: col suo metodo «la scienza funziona», finisce sempre col funzionare meglio di ieri, e costringe l’idea di Dio ad arretrare sempre più laddove non funziona oggi, ma funzionerà domani. È così che Dio è stato sfrattato dai domini di ignoranza e di superstizione. Certo, all’uomo rimarrà sempre una domanda da porsi e nell’attesa di una risposta razionale ci sarà sempre qualcuno che offrirà la soluzione della fede, ma questa si va rivelando sempre meno funzionante dove la scienza funziona. L’incompatibilità tra ratio e fides si è fatta ormai irriducibile, lo dimostra il fatto che agli uomini di fede non basta più una condanna della ragione quando questa non voglia farsi ancella della fede: è sempre meno buio, è sempre meno Medioevo.